Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 maggio 2025, n. 11576
Licenziamento - Periodo di prova - Contratto a tempo determinato - Inefficacia del recesso - Principio dell'apparenza - Comunicazione di licenziamento - Tempestività - Atto unilaterale recettizio - Prova del rilascio dell’avviso - Rigetto
Rilevato che
1. V.P. deduceva di essere stato assunto dalla I.C.A. (...) srl, con contratto di lavoro a tempo determinato dal 10.6.2019 e con scadenza al 31.12.2019, in cui era stato indicato un periodo di prova di trenta giorni e di avere ricevuto, con nota del 15.7.2019, ricevuta il 19.7.2019, il recesso per mancato superamento del periodo di prova.
Chiedeva al Tribunale di Larino di dichiarare l’illegittimità del licenziamento in quanto comminato dopo la scadenza del periodo di prova, avendo lavorato nelle prime due settimane anche nelle giornate di sabato con la conseguenza che, al 19.7.2019, data di ricezione della lettera di licenziamento, aveva già svolto 32 giorni di lavoro effettivo.
2. L’adito Tribunale, in fase sommaria, rigettava la impugnativa del licenziamento mentre dichiarava inammissibile l’opposizione ex lege n. 92 del 2012.
3. La Corte di appello di Campobasso, con la sentenza n. 18/2023, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava l’inefficacia del recesso e condannava l’I.C.A. al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni dovute dal 20.7.2019 alla scadenza del contratto a termine originariamente prevista, oltre accessori e spese di lite.
4. I giudici di seconde cure evidenziavano che il Tribunale, con pronuncia del 21.6.2022, aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione, ritenendo che solo per errore materiale il provvedimento impugnato aveva assunto la forma dell’ordinanza emessa ai sensi del cd. rito Fornero quando, invece, trovando applicazione la diversa disciplina di cui al D.lgs. n. 23/2015, in realtà era una sentenza appellabile innanzi alla Corte di appello; tale statuizione era però errata perché, per il principio della apparenza, avendo il Giudice della fase sommaria qualificato la domanda come ricorso ex art. 1 co. 48 e ss. legge n. 92 del 2012 e avendola decisa con ordinanza, aveva incolpevolmente indotto il P. ad impugnare il provvedimento con il mezzo del gravame costituito dalla opposizione ex art. 1 co. 51 legge n. 92 del 2012.; nel merito, una volta ritenuta ammissibile la impugnazione, rilevavano che effettivamente il licenziamento intimato era inefficace in quanto giunto a conoscenza del destinatario in data successiva alla scadenza del periodo di prova e, cioè, il 19.7.2019 allorquando la datrice di lavoro provvide alla consegna a mano del plico una volta verificato che il tentativo di inoltro attraverso il servizio postale non era andato a buon fine, con il riconoscimento della tutela, come sopra indicato, non essendo stata precisata alcuna allegazione circa lo svolgimento, da parte del lavoratore, di altra attività nel periodo compreso tra l’intimato recesso e la fine del contratto a termine.
5. Avverso la sentenza di secondo grado la I.C.A. (...) srl proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi cui resisteva con controricorso V.P.
6. Le parti depositavano memoria.
7. Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 323, 339, 341, 433 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere errato la Corte territoriale nell’applicare, al caso in esame, il principio dell’apparenza in quanto il provvedimento reso dal giudice di prime cure, avendo natura di sentenza e prevalendo la sostanza rispetto alla forma, avrebbe dovuto essere impugnato con l’appello.
3. Il motivo è infondato.
4. La sentenza impugnata, che ha fatto corretta applicazione del principio dell’apparenza, prevalente su quello della natura del provvedimento, per individuare il mezzo di impugnazione da intraprendere, attraverso una corretta individuazione degli elementi quali, nel caso di specie, la qualificazione della domanda rientrante nel cd. Rito Fornero e quella del reso provvedimento quale ordinanza ex lege n. 92/2012, è coerente con i precedenti di questa Corte (Cass. n. 38587/2021 e Cass. n. 18182/2021) secondo cui, ai fini dell'individuazione del mezzo di impugnazione di un provvedimento, deve contemperarsi il principio secondo il quale il giudice non ha il potere di sottrarlo al gravame rivestendolo di una forma diversa da quella prevista dalla legge con quello che impone di non consentire alla parte di esperire un mezzo vietato, sicché il principio dell'apparenza deve prevalere sul contrario principio cd. "sostanzialistico" nelle ipotesi in cui la forma e la qualificazione del provvedimento, sebbene non corrette, risultino determinate da consapevole scelta del giudice, ancorché non esplicitata con motivazione espressa, così ingenerando un affidamento incolpevole della parte in ordine al regime di impugnazione.
5. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1334, 1335 e 2096 cc, 149 cpc e 106 CCNL Terziario Distribuzione e Servizi Confcommercio del 30.3.2015, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto che, ai fini della tempestività del licenziamento per mancato superamento della prova, occorresse fare riferimento non al momento dell’invio ma a quello de ricevimento del plico postale, contenente la relativa comunicazione.
6. Il motivo è anche esso infondato.
7. La cessazione unilaterale del rapporto per mancato superamento della prova rientra nella eccezionale fattispecie del recesso ad nutum di cui all’art. 2096 cc, sottratto all’ordinaria disciplina di controllo delle ragioni del licenziamento (Cass. n. 1180/2017).
8. Tuttavia, si tratta pur sempre di un recesso e la Corte Costituzionale, con la pronuncia n. 189 dell’anno 1980, ha prospettato la illegittimità del recesso, tra l’altro, quando la prova sia stata superata con esito positivo: infatti, ai sensi dell’art. 2096 co. 4 cod. civ., compiuto il periodo di prova, l’assunzione diviene definitiva.
9. Trattandosi, quindi, di un licenziamento, seppure discrezionale e senza obbligo di fornire alcuna motivazione, esso è comunque soggetto alle disposizioni (artt. 1334 e 1335 cc) in virtù delle quali, vertendosi in ipotesi di atto unilaterale recettizio, vi è l’onere del datore di lavoro di consegnare la relativa comunicazione materialmente nelle mani del lavoratore prima della scadenza ovvero di fornire la prova che essa sia pervenuta all’indirizzo del destinatario, da intendersi come luogo rientrante nella sua sfera di dominio e di controllo (Cass. n. 19524/2019).
10. Correttamente, pertanto, per la comunicazione riguardante il licenziamento per mancato superamento del periodo di prova, essendo in ogni caso questo un negozio unilaterale recettizio, non è stato ritenuto dalla Corte territoriale rilevante il momento in cui è stato maturato il proposito di licenziare il dipendente attraverso l’eventuale esternazione dell’atto a terzi mediante invio della spedizione, ma è necessario che l’intento negoziale si traduca in un atto che giunga alla persona nella cui sfera giuridica esso era destinato a produrre effetti.
11. Con il terzo motivo si obietta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1334, 1335, 2096 e 2697 cc, 106 CCNL Terziario Distribuzione e Servizi Confcommercio del 30.3.2015, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere errato la Corte territoriale nel ritenere non perfezionatosi l’esito della spedizione del plico nonostante la circostanza che l’estratto del sito di Poste Italiane spa riportasse che il plico stesso, preso in carico il 16.7.2019, era in consegna il 17.7.2019 e, quindi, che a quella data fosse da presumersi che era stata tentata la consegna e rilasciato l’avviso di giacenza.
12. Con il quarto motivo si eccepisce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 132 e 156 cpc (ex art. 360 co. 1 n. 4 cpc) nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cc (ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc) perché la Corte territoriale, non avendo rilevato che il quadro indiziario era nel senso che la comunicazione del licenziamento ed il rilascio del relativo avviso di giacenza erano avvenuti in data 17.7.219, aveva travisato platealmente un fatto secondario ritenendolo, per questo motivo, inidoneo a costituire argomento di prova, adottando una motivazione illogica ed incomprensibile.
13. I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente per la loro interferenza, sono ugualmente infondati.
14. La Corte territoriale, con un accertamento di fatto adeguatamente motivato e, quindi, insindacabile in questa sede, ha ritenuto, da un lato, che difettava la prova del rilascio dell’avviso e, dall’altro, ancor prima, che il plico fosse stato portato dall’operatore postale all’indirizzo del lavoratore: ciò, evidentemente, in un contesto probatorio in cui mancava la specifica attestazione da parte dell’operatore postale ovvero una richiesta, da parte del mittente, del duplicato del medesimo atto da cui desumere quanto asserito dalla società e, quindi, limitandosi la Corte di appello ad una verifica dei dati processuali, senza ritenere necessario ricorrere ad un procedimento logico deduttivo.
15. L’estratto del sistema web di trattamento del sito internet di Poste Italiane spa, ove era riportata la dicitura “in consegna”, a fronte di tali emergenze istruttorie, è stato, infatti, ritenuto non idoneo a dimostrare il tentativo di consegna asseritamente effettuato in data 17.7.2019.
16. Ciò premesso, in ordine agli asseriti vizi di motivazione va rilevato che la violazione dell’art. 132 cpc sussiste solo quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
17. Il controllo di logicità del giudizio, poi, del giudice di merito non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell'opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass. n. 16526/2016).
18. Dalle argomentazioni svolte nella gravata sentenza è, invece, agevole dedurre tutto l’iter logico-giuridico che ha condotto i giudici del merito a ritenere che alla data del 17.7.2019 non vi era la prova né che il plico fosse stato consegnato né che fosse stata tentata la consegna mediante la successiva compilazione dell’avviso di giacenza.
19. Le doglianze, pertanto, al di là delle denunciate violazioni di legge, concernono, in sostanza, l’accertamento della Corte territoriale circa le suddette circostanze.
20. In relazione a tale profilo va ribadito che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
21. In diritto, deve invece rilevarsi che è infondata la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull'esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all'art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020) non sussistente nel caso de quo.
22. Con il quinto motivo si lamenta l’omesso esame di due diversi fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, costituiti dal rifiuto del lavoratore, in data 19.7.2019, di rilasciare una ricevuta circa la comunicazione del recesso consegnata a mano, sul presupposto che avrebbe provveduto al ritiro della raccomandata, e dal mancato deposito del plico ritirato presso l’Ufficio Postale, ove vi era l’attestazione del giorno del tentativo di consegna e della immissione in cassetta dell’avviso di giacenza, da cui desumere appunto che la comunicazione del licenziamento era da intendersi effettuata alla data del 17.7.2019
23. Pure questo motivo, infine, non è meritevole di accoglimento.
24. Premesso che, come sopra detto, a fronte di un esame accurato, da parte dei giudici di merito, delle risultanze istruttorie ritenute non idonee a provare i fatti non si può invocare, in questa sede, la mancata applicazione di un ragionamento presuntivo da porre a base della decisione, deve rilevarsi che le due circostanze indicate nella censura sono prive del carattere di decisività rispetto al fatto storico, accertato in sentenza, in virtù del quale era emerso che, i giorni 18.7.2019 e 19.7.2019, il lavoratore comunque aveva reso la propria prestazione lavorativa, svolgendo, conseguentemente, trentadue giorni di lavoro effettivo e, quindi, un numero di giorni superiori ai trenta previsti in contratto per la prova, così rendendo illegittimo il recesso intimato.
25. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.
26. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
27. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.