Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 ottobre 2016, n. 42845

Omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali - Pagamenti "in nero" - Configurabilità del reato

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 24 settembre 2014 la Corte d'appello di Bari ha respinto l'impugnazione proposta da M.M. nei confronti della sentenza del 22 ottobre 2012 del Tribunale di Bari, che lo aveva condannato alla pena di mesi uno e giorni dieci di reclusione ed euro 150,00 di multa in relazione al reato di cui all'art. 2, comma 1 bis, I. 638 del 1983, per avere, quale legale rappresentante della società cooperativa L., omesso di versare all'INPS le ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti relativamente ai mesi di aprile e maggio 2007.

Nel disattendere l'impugnazione dell'imputato la Corte d'appello ha escluso la fondatezza della eccezione di giudicato dallo stesso sollevata, sulla base di decreto penale di condanna del Tribunale di Bari divenuto definitivo e relativo ad omissioni contributive relative alla medesima impresa, evidenziando come tale decreto riguardasse unicamente le omissioni relative ai mesi di gennaio, febbraio e marzo 2007, con la conseguente correttezza della affermazione di responsabilità in relazione alle omissioni successive, relative ai mesi di aprile e maggio 2007.

La Corte d'appello ha, poi, escluso la rilevanza, sia sul piano oggettivo sia quanto alla sussistenza dell'elemento psicologico, del pagamento delle retribuzioni dei dipendenti della cooperativa L. da parte del Consorzio C., in forza di accordo intervenuto tra tali soggetti per fare fronte alla crisi di liquidità in cui versava la cooperativa, essendo emerso che le retribuzioni erano state corrisposte al netto dei contributi previdenziali attraverso assegni emessi dal Consorzio C. a favore della L. e da quest'ultima girati ai propri dipendenti.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del suo difensore di fiducia, che lo ha affidato a tre motivi.

2.1. Con il primo motivo ha denunciato violazione dell'art. 649 cod. proc. pen., ribadendo che le omissioni contributive oggetto della condanna confermata dalla Corte d'appello di Bari erano già state considerate nel decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti dal medesimo Tribunale di Bari e divenuto definitivo.

2.2. Con un secondo motivo ha denunciato violazione dell'art. 2, comma 1 bis, d.l. 463 del 1983, per l'insufficiente considerazione del pagamento delle retribuzioni dei dipendenti della Cooperativa L., amministrata dal ricorrente, con somme provenienti dal Consorzio C., da cui deriverebbe l'insussistenza dell'elemento oggettivo del reato contestato, e cioè del pagamento delle retribuzioni da parte del soggetto a ciò obbligato.

2.3. Con il terzo motivo ha denunciato violazione degli artt. 192, comma 1, e 533, comma 1, cod. proc. pen. e mancanza ed illogicità della motivazione, per l'omessa considerazione di circostanze decisive che avrebbero, se compiutamente esaminate, consentito di escludere la consapevolezza dell'imputato.

3. Con memoria depositata il 12 luglio 2016 il ricorrente ha evidenziato l'intervenuta approvazione del d.lgs. 8 del 2016, che all'art. 3, comma 6, ha introdotto il limite di euro 10.000,00 annui quale soglia di rilevanza degli omessi versamenti contributivi, con la conseguente necessità di verificare in concreto il superamento di tale soglia, e dell'art. 131 bis cod. pen., applicabile alla fattispecie contestata, ricorrendo tutti i presupposti contemplati da tale disposizione.

Il ricorso è inammissibile.

1. Il primo motivo, mediante il quale è stata denunciata violazione dell'art. 649 cod. proc. pen., per essere le omissioni contributive/oggetto della decisione impugnata, già state considerate nel decreto penale di condanna emesso nei confronti del ricorrente, con la conseguente violazione del divieto di un secondo giudizio per i medesimi fatti, è inammissibile, sia a causa della sua genericità, sia perché tende a conseguire una rivisitazione dell'accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito circa gli importi non versati nei mesi in contestazione, inammissibile nel giudizio di legittimità in assenza di vizi della motivazione, nella specie non prospettati.

A fronte di quanto esposto nella motivazione della sentenza impugnata, circa l'oggetto del decreto penale di condanna emesso nei confronti dell'imputato, concernente omissioni contributive relative a mensilità del 2006 ed ai mesi di gennaio, febbraio e marzo 2007, e la conseguente insussistenza di preclusioni derivanti dal giudicato in ordine alle omissioni relative ai mesi di aprile e maggio 2007, in relazione alle quali è stata affermata la responsabilità del ricorrente, quest'ultimo si è limitato a ribadire l'esistenza di tale decreto penale, omettendo di considerare che l'affermazione di responsabilità era stata limitata, proprio per l'esistenza della precedente condanna, alle sole omissioni relative ai mesi di aprile e maggio 2007, con una censura priva, dunque, della necessaria specificità e di correlazione con le argomentazioni della sentenza impugnata. La deduzione relativa alla errata determinazione delle somme di cui sarebbe stato omesso il versamento (peraltro, come esposto nel ricorso, indicate dal funzionario INPS S. nella somma complessiva di euro 52.659,00 per i mesi di gennaio, febbraio, marzo, aprile e maggio 2007), è volta a censurare la ricostruzione della vicenda compiuta in linea di fatto dai giudici di merito, ed in particolare l'ammontare dei contributi di cui è stato omesso il versamento nel corso di tutto il 2007, e dunque risulta inammissibile nel giudizio di legittimità e non sindacabile sul piano del merito.

2. Il secondo motivo, mediante il quale è stata prospettata violazione dell'art. 2, comma 1 bis, I. 638 del 1983, è manifestamente infondato.

Va al riguardo ricordato che ai fini della configurabilità del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro, è necessario e sufficiente il materiale esborso degli emolumenti dovuti ai lavoratori dipendenti a titolo di retribuzione (Sez. 3, n. 18503 del 10/12/2014, Previati, Rv. 263740), anche "in nero" (Sez. 3, n. 29037 del 20/02/2013, Zampiccoli, Rv. 255454; Sez. 3, n. 38271 del 25/09/2007, Pellé, Rv. 237829), non rilevando la provenienza delle somme utilizzate per provvedere a tale pagamento, cui consegue l'obbligo di accantonare le somme necessarie per provvedere ai versamenti dei contributi agli enti previdenziali.

Ne consegue l'irrilevanza, sul piano della sussistenza dell'elemento oggettivo del reato e della conseguente configurabilità della fattispecie, della provenienza delle somme utilizzate per provvedere al pagamento delle retribuzioni ai dipendenti della Cooperativa L. dal Consorzio C., trattandosi di vicenda rilevante nei rapporti interni tra tali soggetti (posto che il Consorzio C., aggiudicatario di appalti per la pulizia di edifici pubblici, ne aveva affidato l'esecuzione alla Cooperativa L., di cui era di conseguenza debitrice, e nell'ambito di tali rapporti aveva corrisposto alla L. le somme necessarie per provvedere al pagamento delle retribuzioni, tanto che l'imputato aveva provveduto, a seguito di tale pagamento, a trasmettere all'INPS i modelli DM10 attestanti il pagamento di tali retribuzioni), ma che non esclude l'avvenuto pagamento delle retribuzioni direttamente da parte del soggetto a ciò obbligato e la conseguente sussistenza dell'elemento oggettivo del reato.

3. Il terzo motivo è inammissibile a causa della sua genericità, essendo del tutto privo di correlazione con gli argomenti posti a fondamento della affermazione di responsabilità e, in particolare, della sussistenza dell'elemento psicologico del reato in capo all'imputato.

La Corte d'appello ha al riguardo escluso la rilevanza della crisi di liquidità in cui versava la Cooperativa L. amministrata dall'imputato, richiamando il consolidato orientamento interpretativo circa l'irrilevanza di difficoltà finanziarie dell'obbligato e della sua scelta di destinare le proprie risorse a debiti ritenuti più urgenti.

A fronte di tale argomento, del tutto conforme all'orientamento interpretativo di legittimità secondo cui, al fine della dimostrazione della assoluta impossibilità di provvedere ai versamenti contributivi omessi, occorre l'allegazione della non addebitabilità all'imputato della crisi economica che ha investito l'azienda e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262), il ricorrente si è limitato ad affermare, del tutto genericamente e senza alcuna correlazione con la motivazione della sentenza impugnata, l'errata interpretazione di non meglio specificate dichiarazioni testimoniali, con la conseguente inammissibilità della censura a causa della sua genericità.

4. Risulta, poi, superata la attuale soglia di rilevanza penale di euro 10.000 annui stabilita dall'art. 3 d.lgs. n. 8 del 2016 citato, che al comma 6 ha modificato il comma 1 bis dell'art. 2 della I. 638/83, nel senso di qualificare come illecito amministrativo l'omesso versamento di ritenute previdenziali non superiore ad euro 10.000 annui, con la conseguente abolizione della rilevanza penale degli omessi versamenti inferiori a tale soglia, in quanto, nella specie, gli omessi versamenti contributivi relativi a tutto l'anno 2007 ammontano, come evidenziato nel ricorso, a complessivi euro 52.569,00.

La circostanza che le violazioni relative alle omissioni concernenti le mensilità comprese tra gennaio 2007 e marzo 2007 siano state oggetto di altro giudizio (e cioè del citato decreto penale di condanna relativo alle mensilità del 2006 ed ai mesi di gennaio, febbraio e marzo 2007) non esclude il superamento della citata soglia di rilevanza penale, in conseguenza dell'ammontare complessivo di tutti i versamenti omessi nella medesima annualità, avendo il legislatore chiaramente inteso far riferimento all'importo complessivo dei contributi non versati nel medesimo anno, senza eccezioni ed a prescindere dalle eventuali cause estintive delle violazioni diverse dal pagamento (Sez. 3, n. 14729 del 09/02/2016, Ratti, Rv. 266633), o ad altri giudizi, con la conseguenza che occorre comunque avere riguardo all'ammontare complessivo dei contributi non versati nell'anno di riferimento, nella specie superiori alla attuale soglia di rilevanza penale, con il conseguente permanere della illiceità penale della condotta e la manifesta infondatezza della censura.

5. La doglianza relativa alla applicabilità della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis cod. pen. è manifestamente infondata.

L'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all'art. 131 bis cod. pen., ha natura sostanziale ed è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs. 16 marzo 2015 n. 28, compresi quelli pendenti in sede di legittimità, nei quali la Corte di cassazione può rilevare d'ufficio, ex art. 609, comma 2, cod. proc. pen., la sussistenza delle condizioni di applicabilità di tale istituto, dovendo peraltro limitarsi, attesa la natura del giudizio di legittimità, ad un vaglio di astratta non incompatibilità della fattispecie concreta (come risultante dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali) con i requisiti ed i criteri indicati dal predetto art. 131 bis (Sez. 3, n. 31932 del 02/07/2015, Terrezza, Rv. 264449; Sez. 4, n. 22381 del 17/4/2015, Mauri, Rv. 263496; Sez. 3, n. 15449 del 8/4/2015, Mazzarotto, Rv.263308).

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno poi chiarito che ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590). Tale valutazione può essere compiuta anche nel giudizio di legittimità, sulla base di un apprezzamento limitato alla astratta compatibilità dei tratti della fattispecie, come risultanti dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali, con gli indici-criteri e gli indici- requisiti indicati dal legislatore, cui segue in caso di valutazione positiva, sentenza di annullamento con rinvio al giudice di merito (Sez. 3, Sentenza n. 38380 del 15/07/2015, Ferraiuolo, Rv. 264795, che in motivazione ha sottolineato come ciò consenta di contemperare l'obbligo di rilevazione d'ufficio, discendente dal disposto dell'art. 129 cod. proc. pen., con la fisiologia del giudizio di legittimità, che preclude valutazioni in fatto).

Peraltro, nel caso in esame non emerge alcuna particolare tenuità del fatto, essendo sufficiente, per escluderla, considerare che, con una condotta assai pregiudizievole per l'interesse protetto, l'imputato ha ripetutamente omesso il versamento delle ritenute operate sulle retribuzioni dei dipendenti dell'impresa che amministrava, per plurime mensilità del 2006 e del 2007, ponendo dunque in essere plurime violazioni, per un ammontare complessivo di euro 52.569,00, assai superiore alla soglia di rilevanza penale, che già determina il discrimine stabilito dal legislatore tra fatti costituenti meri illeciti amministrativi e fatti costituenti reato, con la conseguenza che deve essere esclusa l'esiguità del pregiudizio derivante dal reato commesso dall'imputato e con essa anche l'esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto.

6. L'inammissibilità originaria del ricorso esclude il rilievo della eventuale prescrizione verificatasi successivamente alla sentenza di secondo grado, giacché essa impedisce la costituzione di un valido rapporto processuale innanzi al giudice di legittimità e preclude l’apprezzamento di una eventuale causa di estinzione del reato intervenuta successivamente alla decisione impugnata (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463; Sez. 2, n. 53663 del 20/11/2014, Rasizzi Scalora, Rv. 261616).

7. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (Corte Cost. sentenza 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.500.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 in favore della Cassa delle ammende.