Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 02 settembre 2016, n. 17539

Contratto di agenzia - Recesso senza giusta causa - Indennità di mancato preavviso - Indennità meritocratica - Spettanza

 

Fatto

 

Con sentenza 17 gennaio 2011, la Corte d'appello di Ancona dichiarava il recesso per giusta causa di (...) (agente senza rappresentanza di (...) s.r.l. per contratto (...) per (...) ed (...) con ampliamento della zona dal (...) (...) alle province di (...) (...), (...) e alla (...), agente generale dal (...) per l'area (...) comprensiva delle regioni (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...), (...) e della (...) (...); condannava la società preponente al pagamento in suo favore del complessivo importo di € 45.727,89 (di cui € 28.316,05 per indennità di mancato preavviso, € 931,81 per acconto provvigioni dell'anno 2004, € 632,89 per indennità meritocratica e € 15.874,14 per provvigioni del quarto trimestre 2003), oltre rivalutazione ed interessi legali; rigettava nel resto le domande del predetto.

Essa così riformava la sentenza di primo grado, che aveva invece accertato il diritto di (...) s.r.l. all'indennità sostitutiva del preavviso per il recesso senza giusta causa del 29 gennaio 2004 dell'agente e condannato la società preponente, previa compensazione dell'importo da questa richiesto con quello a titolo di conguaglio provvigioni maturate nel quarto trimestre 2003 e indennità di risoluzione del rapporto spettanti a (...) al pagamento in suo favore della somma di € 199,03 nonché, di € 931,81 per acconto provvigioni 2004, oltre accessori.

Sulla base delle scrutinate risultanze istruttorie, la Corte territoriale riteneva il recesso dell'agente per giusta causa, per l'effettiva volontà dell'amministratore unico della preponente di estrometterlo dall'azienda, provocandogli disagio nello svolgimento dell'attività (per mancata consegna di materiale ad essa necessario, rifiuto immotivato di incontrarlo e soprattutto per l’ordine di affiancamelo a settimane alterne di due agenti operanti uno in (...) e l'altro in (...) dopo essersi informato sulle zone più lontane affidategli). La Corte marchigiana gli riconosceva pertanto il diritto all'indennità sostitutiva del preavviso, da calcolare, in ragione della durata ultraquinquennale del rapporto e della disciplina legale e contrattuale tra le parti, in cinque mesi di provvigioni, pari a € 28.316,05.

Essa accertava quindi la spettanza, in quanto provata, dell’indennità meritocratica in misura di € 632,89 e delle provvigioni del quarto trimestre 2003 in quella di € 15.874,14, come determinata dal Tribunale e in giudicato, siccome non oggetto di impugnazione.

La Corte territoriale negava, invece, la differenza richiesta dai lavoratore a titolo di anticipo sulle provvigioni dell'anno 2004, in difetto di prova di loro maturazione in misura maggiore di quella già riconosciuta dal primo giudice in € 931,81.

Con atto notificato il 15 luglio 2011, (...) s.r.l. ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste (...) con controricorso contenente ricorso incidentale sulla base di un unico motivo, cui ha replicato la società con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con il primo motivo, la ricorrente deduce vizio di motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., in riferimento all'erroneo assunto di giusta causa del recesso di (...) per asserita mancata consegna di materiale necessario alla sua attività, in realtà di natura pubblicitaria e destinato alla clientela, essendo state le informazioni tecniche per lo svolgimento delle campagne promozionali fornite nel corso delle riunioni mensili (e segnatamente, per la campagna del febbraio 2004, in occasione della riunione del 18 - 20 dicembre 2003, cui il predetto aveva regolarmente partecipato).

Con il secondo, la ricorrente deduce vizio di motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., in riferimento all'erroneo assunto di giusta causa del recesso di (...) per la richiesta di affiancamelo, rientrante nella sua normale attività di capo area, dei due agenti di (...)(...) e (...) (...), in forte calo di vendite, senza che essa fosse indotta da alcuna particolare ragione di dissidio tra il predetto e l'amministratore unico della società preponente: essendo poi inverosimile la previa richiesta di informazione delle due zone di massima lontananza geografica, all'interno dell'area di sua competenza, secondo l'inattendibile dichiarazione del teste (...), in lite giudiziaria con la società.

Con il terzo, la ricorrente deduce vizio di motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., in ordine alla mancanza di prova dei requisiti per il riconoscimento dell'Indennità meritocratica.

Con il quarto, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., per inesistenza di alcun inadempimento ad obbligo fondamentale della preponente integrante giusta causa di recesso dell'agente, né ai sensi della disciplina legale né dell’art. 10 AEC e pertanto meramente pretestuoso, in quanto non ravvisabile né nella richiesta di affiancamelo suindicata, né nell'asserita mancata corresponsione di acconto provvigionale neppure spettante, né nell'invio del materiale pubblicitario sopra citato.

Con unico motivo, a propria volta, (...) deduce, in via di ricorso incidentale, errata applicazione e violazione dell’art. 1223 c.c. e vizio di contraddittoria ed illogica motivazione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., per erronea esclusione del minimo provvigionale di € 80.000,00 (previsto dalla pattuizione del 20 giugno 2003, con decorrenza dal 1° settembre 2003, secondo cui: "qualora il totale delle provvigioni dovesse essere per il periodo dall'1.9.2003 al 31.8.2004 inferiore a € 80.000,00 le corrisponderemo una provvigione minima garantita di € 80.000,00"), detratti i compensi provvigionali maturati e percepiti nello stesso periodo, sulla scorta di una non corretta elaborazione del giudizio prognostico, ben plausibile in quanto non ancora decorso il termine stabilito per il relativo riconoscimento del diritto al compenso, sull'assunto di un difetto di prova della certezza di percezione del suindicato importo, con travisamento dei principi in materia di risarcimento del danno da "perdita di chance".

Il primo motivo (vizio di motivazione sull'erroneo assunto di giusta causa del recesso di (...) per asserita mancata consegna di materiale necessario alla sua attività) può essere congiuntamente esaminato, per ragioni di stretta connessione, con il secondo (vizio di motivazione sull'erroneo assunto di giusta causa del recesso dell'agente per la richiesta di affiancamento, rientrante nella sua normale attività di capo area, dei due agenti di (...) e (...) ed il quarto (violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., per inesistenza di alcun Inadempimento ad obbligo fondamentale della preponente integrante giusta causa di recesso dell'agente).

Essi sono inammissibili.

Tutti i mezzi si risolvono in una diversa ricostruzione del fatto, con sollecitazione ad una rivisitazione critica del suo accertamento e aperta contestazione della valutazione probatoria, di competenza esclusiva del giudice di merito, cui esso ha provveduto con argomentata, seppur sintetica ma esauriente, motivazione, in esito a critica selezione delle risultanze istruttorie, in piena coerenza logica e giuridica con esse (per le ragioni illustrate a pgg. 5 e 6 della sentenza).

Sicché, l'accertamento del fatto e la valutazione probatoria in tal modo compiuti integrano esercizio di un potere insindacabile dai giudice di legittimità, al quale solo pertiene la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).

Né ricorre la denunciata violazione dell'art. 2119 c.c., non rilevando qui (come ancora recentemente ritenuto da Cass. 15 aprile 2016, n. 7568) una questione di sindacabilità, sotto il profilo della falsa interpretazione di legge, del giudizio applicativo di una norma cd. "elastica" (quale indubbiamente la clausola generale della giusta causa), che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico - sociale: in tal caso ben potendo il giudice di legittimità censurare la sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell’ambito della giusta causa (piuttosto che del giustificato motivo di licenziamento), in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro (Cass. 18 gennaio 1999, n. 434; Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514).

E ciò per la sindacabilità, da parte della Corte di cassazione, dell'attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095).

Il controllo di legittimità si deve poi limitare, alla luce dell'esperienza applicativa della Corte, almeno nella sua enunciazione teorica, quando il giudice del merito sia chiamato ad applicare concetti giuridici indeterminati, alla verifica di ragionevolezza della sussunzione dei fatto e quindi ad un sindacato su vizio di violazione di norma di diritto ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., ben lontano da quello dell'art. 360, primo comma, n 5. c.p.c. (Cass. s.u. 18 novembre 2010, n. 23287).

Ed infatti, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), per l'esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma, della cui esatta interpretazione non si controverte (in caso positivo vertendosi in controversia sulla "lettura" della norma stessa), non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata "male" applicata, e cioè a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007, n. 22348). Sicché, il processo di sussunzione, nell'ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata; al contrario del sindacato ai sensi dell'art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053), che invece postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti.

Ebbene, nel caso di specie, la Corte territoriale ha correttamente integrato il precetto "elastico" della giusta causa, in riferimento alla peculiare ipotesi del recesso (nell'ipotesi in esame: dell'agente) nel contratto di agenzia, cui l'istituto (seppure esplicitamente previsto in relazione al contratto di lavoro subordinato) è ben applicabile, dovendosi tuttavia tener conto, per la valutazione della gravità della condotta, che in quest’ultimo ambito il rapporto di fiducia (in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell'attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle finalità aziendali) assume maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato: sicché, ai fini della legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore consistenza, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata (Cass. 26 maggio 2014, n. 11728; Cass. 17 febbraio 2011, n. 3869).

La Corte marchigiana ha, infatti, ritenuto sussistere la giusta causa del recesso di (...) (...) nell'improvvisa ed immotivata impossibilità di "conferire con il proprio datore di lavoro, che ami ha cercato di rendergli più difficoltoso l'esercizio delle attività probabilmente non facendogli consegnare il materiale necessario e certamente ordinandogli, senza alcuna richiesta preventiva di consenso, di affiancare i due agenti operanti proprio nelle zone più lontane tra loro, così costringendolo a viaggiare ogni settimana tra il nord e il sud Italia" (così al primo capoverso di pg. 6 della sentenza). E proprio "tale circostanza in particolare", a parere della Corte territoriale, "di rilevante gravità, ... da essa" desumendosi "la volontà di arrecare disagio netto svolgimento dell'attività al (...) (così al terzultimo capoverso di pg. 5 della sentenza): tenuto conto dell'importanza del suo ruolo di capo area dell'Italia orientale, responsabile di un'attività di coordinamento nella sua autonomia di programmazione e non soggetto a direttive vincolanti.

Si comprende allora come nessun errore di diritto sussista; neppure in realtà esso configurandosi, per la censura non già di erronea sussunzione del fatto accertato in funzione integrativa del precetto Indeterminato della norma "elastica", ma della sua valutazione tout court.

Il terzo motivo, relativo a vizio di motivazione, in ordine alla mancanza di prava dei requisiti per il riconoscimento dell'indennità meritocratica, è infondato.

Ed infatti, la Corte territoriale ha ritenuto provato, sulla scorta delle risultanze istruttorie criticamente scrutinate, l'incremento dei clienti: senza tuttavia poter verificare se la sommatoria delle Indennità di risoluzione dei rapporto e suppletiva di clientela fosse inferiore ai valore massimo previsto dall’art. 1751, terzo comma c.c.: così che l'indennità "meritocratica" aggiuntiva spettasse in misura non superiore alla differenza tra detta somma e il valore massimo previsto dalla citata disposizione, secondo i criteri indicati dall'art. 12 AEC 26 febbraio 2002. In proposito, giova sottolineare come, nel regime precedente ad esso, introduttivo dell'indennità "meritocratica", a fronte della prova dall’agente di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti, ricevendone quello ancora vantaggi, ai sensi dell'art. 1751, primo comma c.c., si dovesse verificare secondo un esame dei dati concreti ex post, se, fermi i limiti dell’art. 1751, terzo comma c.c., l'indennità determinata a norma dell'art. 12 dell'accordo citato, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e in particolare delle provvigioni perse dall'agente, fosse equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità (Cass. 14 gennaio 2016, n. 486; Cass. 1 agosto 2013, n. 18413; Cass. 22 settembre 2008, n. 23966).

Ma, a fronte della comprovata acquisizione dall’agente di nuovi clienti, la suddetta impossibilità di verifica per indisponibilità della documentazione contabile della proponente (così al terzultimo capoverso di pg. 8 della sentenza), siccome non trasmessa, non può ridondare in danno di (...), cui correttamente l’indennità è stata riconosciuta nella misura richiesta (€ 632,89).

L’unico motivo incidentale, relativo ad errata applicazione e violazione dell'art. 1223 c.c. e vizio di contraddittoria e illogica motivazione, per erronea esclusione del minimo provvigionale di e 80.000,00, sulla scorta di una non corretta elaborazione di giudizio prognostico, per travisamento dei principi in materia di risarcimento del danno da "perdita di chance", è invece fondato.

Ed infatti, il recesso per giusta causa del 29 gennaio 2004 ha privato l’agente del minimo provvigionale di € 80.000,00 previsto dalla pattuizione del 20 giugno 2003, con decorrenza dal 1° settembre 2003, secondo cui: "qualora il totale delle provvigioni dovesse essere per il periodo dall’1.9.2003 al 31.8.2004 inferiore a € 80.000,00 le corrisponderemo una provvigione minima garantita di € 80.000,00" (detratti i compensi provvigionali maturati e percepiti nello stesso periodo).

Una tale perdita non integra una mera occasione sfumata di conseguire un determinato bene, alla stregua di una perdita di chance, ma un mancato guadagno (quasi) certo, quale conseguenza immediata e diretta a norma dell’art. 1223 c.c., del suddetto recesso, esclusivamente dipendente dalla consumazione del termine finale (31 agosto 2004), indipendentemente dal volume dì provvigioni conseguito, inferiore a quello minimo garantito.

Rispetto ad una tate qualificazione giuridica non ricorre pertanto alcun inammissibile mutamento della domanda originaria di risarcimento da lucro cessante in quella di perdita di chance, per l'obiettiva diversità delle due tipologie di danno: siccome configurabile il primo come effettiva diminuzione patrimoniale, quale naturale sviluppo di fatti concretamente accertati ed inequivocamente sintomatici di una rilevante probabilità secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto (Cass. 27 aprile 2010, n. 10072) e la seconda come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, ancorché non consistente in una mera aspettativa di fatto, ma in un’entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di valutazione autonoma, che deve tenere conto della proiezione sulla sfera patrimoniale del soggetto (Cass. 25 agosto 2014, n. 18207; Cass. 20 giugno 2008, n. 16877). Sicché, per tale ragione, deve essere escluso che la domanda risarcitoria in questione non possa essere esaminata, per il divieto di proposizione per la prima volta in cassazione una domanda di determinazione del danno da perdita di chance, in quanto danno potenziale non assimilabile ad un danno futuro, in termini di lucro cessante (Cass. 13 giugno 2014, n. 13491).

Ebbene, tanto chiarito, il giudizio prognostico della Corte territoriale ("non si ha prova della certa percezione dell'importo nella ipotesi in cui egli non fosse stato costretto a recedere dal rapporto, in quanto nel tempo intercorrente tra la data in cui il recesso è stato effettivamente esercitato e quella in cui sarebbe spettata la erogazione dell'importo si sarebbero potute verificare le più varie circostanze, tali da escludere il diritto alla provvigione minima garantita così all'ultimo alinea di pg. 6 e al primo periodo di pg. 7 della sentenza) è assolutamente inadeguato.

Esso è, infatti, la negazione un giudizio prognostico, posto che l'attesa della maturazione del termine suddetto (come testualmente affermato, in funzione di negazione di "una valutazione prognostica sulla impossibilità nel tempo mancante di un fatto idoneo ad escludere il diritto alla corresponsione dell'importo", al primo capoverso di pg. 7 della sentenza) contraddice radicalmente la formulazione di un giudizio secondo un criterio di rilevante probabilità e non in base ai medesimi criteri di certezza che presiedono alla liquidazione del danno già completamente verificatosi nel momento del giudizio (Cass. 27 aprile 2010, n. 10072).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento dell’incidentale, con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione ad esso e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Ancona in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale; accoglie l'incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso incidentale accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.