Lavoratrici madri e interdizione post partum, i chiarimenti dell'Ispettorato

Lavoratrici madri e interdizione post partum, i chiarimenti dell’Ispettorato

Con nota n. 553 del 2 aprile 2021, l’Ispettorato del lavoro fornisce una serie di chiarimenti al personale ispettivo, al fine di uniformare l’attività degli Uffici nell’emanazione dei provvedimenti di interdizione al lavoro delle lavoratrici madri in periodo successivo al parto.

Come noto, al fine di tutelare la salute della lavoratrice madre e della prole, per il periodo successivo al parto è prevista l’adozione di misure di protezione in relazione alle condizioni di lavoro e alle mansioni svolte ovvero l’astensione prolungata dal lavoro.
Nello specifico, è disposto (art. 7, co. 1, D.Lgs. n. 151/2001) il divieto di adibire la lavoratrice al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi faticosi ed insalubri (elencati specificamente negli allegati A e B del decreto), fermo restando che gli organi di vigilanza possono autorizzare l’interdizione dal lavoro laddove non sia possibile adibire la lavoratrice ad altre mansioni. Ai fini dell’adozione del provvedimento di tutela, è sufficiente la mera constatazione della adibizione della lavoratrice madre a mansioni di trasporto e al sollevamento di pesi, a prescindere dalla valutazione del rischio inerente all’interno del DVR (Ministero del lavoro, interpello n. 28/2008 e nota n. 7553/2013). Ne consegue che, anche qualora il rischio attinente al sollevamento dei pesi non sia stato espressamente valutato nel DVR, l’adibizione a tali mansioni costituisce comunque condizione sufficiente per il riconoscimento della tutela della lavoratrice con la conseguente emanazione del provvedimento di interdizione da parte dell’Amministrazione competente, ferma restando una valutazione circa l’impossibilità di adibizione ad altre mansioni. Tale conclusione, peraltro, è coerente con l’orientamento della giurisprudenza (Tribunale di Perugia, ordinanza del 20 novembre 2020), che, nelle ipotesi richiamate e in presenza dei presupposti previsti, qualifica la posizione giuridica vantata dalla lavoratrice in termini di diritto soggettivo, non riscontrandosi significativi margini di valutazione neanche in termini di discrezionalità tecnica in ordine alla verifica delle effettive condizioni di lavoro della lavoratrice.
Altresì, l’Ispettorato del lavoro può autorizzare l'interdizione prorogata dal lavoro, quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino (art. 17, co. 2, D.Lgs. n. 151/2001). Al riguardo, in riferimento alle ipotesi in cui il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, i giorni antecedenti al parto non goduti a titolo di astensione obbligatoria si aggiungono non solo al periodo di congedo obbligatorio di maternità da fruire dopo il parto (art. 16, co. 1, lett. d), D.Lgs. n. 151/2001), ma anché, nelle ipotesi di interdizione fino al settimo mese dopo il parto, al termine della fruizione dei sette mesi decorrenti dalla data effettiva del parto (Inps, circolare n. 69/2016). Ne deriva che il provvedimento di interdizione adottato dall’ITL deve indicare la data effettiva del parto e far decorrere da tale data i sette mesi di interdizione post partum aggiungendo, ai predetti sette mesi, i giorni non goduti a causa del parto prematuro.
Infine, in tema di interdizione a seguito di pronuncia giurisdizionale, sul piano procedimentale, pur in presenza di sentenza dichiarativa circa la sussistenza del diritto all’astensione, è in ogni caso necessaria l’emanazione da parte dell’ITL del relativo provvedimento amministrativo di interdizione.