Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 11 marzo 2020, n. 6796

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Sentenza di appello - Vizio di motivazione - Riesame con rinvio. - ICI - Avviso di accertamento - Mancanza di possesso di alcuni immobili accertati

 

Fatti di causa

 

La società M. S.p.A. impugnava l'avviso di accertamento n. 6, emesso per ICI, anno di imposta 2008, da Società P. s.r.L, in qualità di concessionaria del Comune di Caserta. Con l'atto impositivo veniva accertata un'imposta di complessivi euro 131.576,80, oltre interessi e spese, in relazione a 26 cespiti immobiliari ubicati nel Comune di Caserta, di cui n. 15 fabbricati e n. 11 aree fabbricabili. La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, con sentenza n. 453/14/13, rigettava il ricorso della contribuente, confermando integralmente la pretesa impositiva. La società impugnava la sentenza innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, denunciando, inter alia, il difetto di motivazione dell'atto impugnato, la mancata allegazione di altri atti richiamati, la mancanza di possesso di alcuni cespiti, e l'omessa emanazione da parte I dell'ente impositore del regolamento ai sensi dell'art. 59 del d.lgs. n. 446 del 1997. L'appellante illustrava la reale situazione debitoria, correggendo gli errori commessi dall'Ufficio accertatore e riproponendo un autonomo prospetto riepilogativo da cui risultava un diverso importo ai fini ICI.

L'adita Commissione accoglieva parzialmente l'appello, con sentenza n. 6064/50/14, in relazione ad alcuni cespiti non più in possesso del contribuente.

La Curatela del Fallimento della S.p.A. M. propone ricorso per cassazione, svolgendo quattro motivi, illustrati con memorie. Società P. s.r.l. si è costituita con controricorso.

Il Comune di Caserta non ha svolto difese.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 5, in relazione alla mancata indicazione della rendita catastale, atteso che con il ricorso in appello la società M. S.p.A. aveva evidenziato come l'avviso di accertamento non contenesse tutti gli elementi essenziali previsti dalla legge, con riferimento alla indicazione dell'ubicazione di alcuni cespiti tassati, alle relative rendite catastali e, per tutte le aree edificabili, alla indicazione delle superfici considerate ed ai criteri utilizzati per la determinazione del valore venale attribuito. I giudici di appello replicavano il contenuto della sentenza di primo grado circa l'esistenza della motivazione contenuta nell'avviso di accertamento, sebbene il concessionario comunale avesse emesso l'avviso limitandosi ad indicare semplicemente il valore attribuito e tassato, senza esplicare le ragioni giuridiche ed i presupposti di fatto che lo avevano determinato. La Commissione Tributaria Regionale avrebbe emesso una motivazione contraddittoria, atteso che la mancata indicazione della rendita catastale determinava chiaramente una mancanza dei presupposti di fatto dell'avviso di accertamento, con inevitabile vizio motivazionale.

1.1. Il motivo è inammissibile, per avere cumulativamente rappresentato il detto vizio motivazionale sotto tutte le possibili angolazioni consentite dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. n. 19443 del 2011, Cass. n. 1310 del 2017) così mescolando critiche e doglianze diverse tra loro ("contraddittoria, insufficiente ed omessa") non conformi alla regola di chiarezza, intendendosi così affidare alla Corte un compito integrativo dei motivi del tutto precluso dalla legge. Il motivo è, altresì, inammissibile, posto che nel vigore del nuovo testo dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. introdotto dal d.l. 22.6.2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4 del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass. n. 13928 del 2015; Cass. S.U. n. 8053 del 2014).

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 della legge n. 241 del 1990 ed art. 7 della legge n. 212 del 2000, dei commi 161 e 162 dell'art. 1 della I. n. 296 del 2009, dell'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992 e dell'art. 59, comma 1, lett. g. del d.lgs. n. 446 del 1997 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., atteso che l'avviso di accertamento dovrebbe specificare il criterio seguito dall'Ufficio per la determinazione delle imposte richieste in pagamento, con necessaria allegazione dei documenti presupposti. La motivazione dell'avviso, inoltre, non potrebbe mai essere integrata o modificata nella successiva fase contenziosa.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992, dell'art. 59, comma 1, lett. g) del d.lgs. n. 446 del 1997, in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c., ed omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.. Si lamenta che l'art. 5, comma 5, del d.lgs. n. 504 del 1992 prevede che la base imponibile per le aree edificabili è costituita dal valore venale in comune commercio alla data del 1 gennaio dell'anno di imposta, nonché dell'art. 59, comma 1, lett. g. del d.lgs. 446 del 1997 che dispone che i comuni, con regolamento adottato ai sensi dell'art. 52 della stessa norma, possono determinare periodicamente, e per zone omogenee, i valori venali in comune commercio delle aree edificabili. In sede di impugnazione la società contribuente avrebbe sollecitato l'esame del mancato rispetto della normativa citata, al fine di annullare il provvedimento di accertamento impugnato. I giudici di appello, invece, non avrebbero esaminato la censura, ritenendo, apoditticamente, che l'atto impugnato avesse tutti i requisiti di legge.

3.1. Il secondo ed il terzo motivo vanno esaminati congiuntamente per connessione logica. Le censure sono infondate, per le considerazioni che seguono:

a) È stato più volte affermato da questa Corte che: "In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI) l'obbligo di motivazione dell'accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, a contestare efficacemente l'"an" ed il "quantum" dell'imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l'indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'ente impositore nell'eventuale successiva fase contenziosa, restando poi affidate al giudizio di impugnazione dell'atto le questioni riguardanti l'effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva" (Cass. n. 26431 del 2017; Cass. n. 21571 del 2004). Ove, pertanto, l'accertamento specifichi detti estremi del rapporto sostanziale, lo stesso deve ritenersi correttamente effettuato. Ciò, pertanto, in coerenza con il carattere di "provocatio ad opponendum" riconosciuto all'avviso di accertamento e, quindi, con l'esigenza che esso consenta al contribuente di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, onde poterla efficacemente contrastare (Cass. n. 1209 del 2000, Cass. n. 21571 del 2004; Cass. n. 14385 del 2010).

b) E' noto a questo Collegio l'indirizzo secondo il quale, con specifico riferimento alla determinazione della base imponibile ai fini ICI, è stato precisato che: "la motivazione dell'atto di accertamento non può limitarsi a contenere indicazioni generali sul valore del terreno, ma, ai sensi dell'art. 7 della I. n. 212 del 2000, deve specificare, a pena di nullità, a quale presupposto la modifica del valore dell'immobile debba essere associata, così documentando l'ambito delle ragioni deducibili dall'Amministrazione finanziaria nell'eventuale fase contenziosa e consentendo al contribuente di valutare l'opportunità dell'impugnazione" (Cass. n. 25709 del 2016), "con specifico riferimento ai parametri indicati dall'art. 5 d.lgs. n. 546 del 1992" (Cass. n. 2555 del 2019; Cass. n. 12658 del 2016).

Tale orientamento nella fattispecie non può essere richiamato, atteso che, per come emerge dal tenore dell'atto impugnato, allegato da Società P. S.r.l. in ossequio al principio di autosufficienza, l'imponibile è stato ricavato dal valore dichiarato e comunicato dalla stessa società contribuente.

c) Ciò premesso, il tenore dell'atto impugnato (il cui contenuto è stato illustrato anche dalla motivazione della sentenza impugnata) corrisponde ai requisiti richiesti, contenendo una adeguata motivazione, idonea a rendere edotto il contribuente della pretesa impositiva, in quanto basato sugli stessi dati dichiarati dallo stesso (v. pag. 13 ricorso per cassazione e pag. 5 sentenza impugnata) e, quindi, sui criteri indicati dall'art. 5 del d.P.R. 504 del 1992.

In particolare, il giudice del merito, con accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità, ha rilevato che tali dati trovavano riscontro nelle "risultanze catastali peraltro allegate dalla P. in sede di costituzione innanzi al primo giudice", sicché, contrariamente a quanto sostenuto dalla società contribuente, l'adita Commissione ha potuto esaminare ed apprezzare le risultanze catastali, introdotte in giudizio in sede di costituzione della parte intimata. Tali risultanze catastali, inoltre, sono riportate nell'atto impositivo alla voce "dati identificativi catastali", leggendosi nella parte indicate "nota bene" che per le aree edificabili le superfici considerate ai fini della determinazione della relativa base imponibile non tengono conto delle porzioni di terreno interessate dalle opere di urbanizzazione primaria ed oggetto di provvedimenti di occupazione di urgenza adottati dal Comune di Caserta.

Il giudice del merito, inoltre, ha tenuto conto, per le sue conclusioni, di una perizia esibita in giudizio da parte ricorrente, dalla quale è stato possibile desumere che l'avviso opposto contenesse tutti gli elementi che rendeva esplicita la pretesa tributaria, tanto da poter consentire un controllo sulla esatta quantificazione del tributo (v. pag. 4 sentenza impugnata). In particolare, si precisa che:" A pag. 3 viene esplicitato il criterio di valutazione adottato per le aree edificabili in relazione alle quali viene anche versata in atti copia di atti pubblici di cessione di aree similari aventi caratteristiche analoghe a quelle in questione, tutte situate in territorio comunale di Caserta in viale A.L., zona industriale (v. pag. 1 perizia di parte)". Infondata appare, inoltre, la doglianza relativa alla omessa allegazione all'atto impugnato di delibere e regolamenti comunali, atteso che, per indirizzo ampiamente condiviso: "Le delibere comunali relative all'applicazione del tributo non rientrano tra i documenti che devono essere agli avvisi di accertamento, ai sensi dell'art. 7 della I. n. 212 del 2000, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili al contribuente, ma non anche agli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili" (Cass. n. 30052 del 2018).

Mentre, con riferimento alla censura proposta con il terzo motivo di ricorso, va chiarito che l'ente ha la facoltà e non l'obbligo di determinare periodicamente e per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili ai fini della delimitazione del potere di accertamento dell'ente stesso (Cass. n. 20872 del 2010), ai sensi dell'art. 59 del d.lgs. 446 del 1997, sicché una eventuale mancanza comporta solo la non assoggettabilità del contribuente, incorso in errore, alle sanzioni amministrative, difettando nella sua condotta l'elemento psicologico ex art. 5 d.lgs. 472 del 1997 (Cass. n. 26077 del 2015).

4. Con il quarto motivo si denuncia omessa motivazione relativamente ad un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., e violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 commi 1 del d.lgs. 504 del 1992 in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., atteso che, nel giudizio di appello, la contribuente aveva impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui, nel confermare integralmente l'ingiunzione contenuta nell'avviso di accertamento, non aveva invece riconosciuto che il tributo non fosse più dovuto in relazione ai cespiti che non erano più nella sua disponibilità. La Commissione Tributaria Regionale avrebbe limitato, inspiegabilmente, l'accoglimento dell'appello soltanto alle aree fabbricabili sub. 3 e 4, omettendo di considerare gli ulteriori cespiti, che erano dismessi o comunque non più assoggettati a tributo, nonché omettendo di pronunciarsi sulla richiesta di riduzione del tributo per i cespiti posseduti soltanto per 7/12 dell'anno di imposta e per quelli non più esistenti, in quanto confluiti in autonoma partita ed, infine, per le aree destinate a verde pubblico.

4.1. Il motivo è fondato.

Il giudice di appello ha stabilito testualmente che: "il tributo legittimamente riscuotibile va parametrato al periodo di effettivo possesso come documentato. Fermi, i relativi valori così come accertati", ha poi precisato che solo alcuni cespiti (riportati in catasto al foglio 59 alle particelle 5161, 5162, 5163, 5164), per i quali la cessione risultava avvenuta in annualità precedente a quella in esame, non erano soggetti a tassazione. Ne consegue che nella fattispecie sussiste il predicato vizio motivazionale, tenuto conto che dallo sviluppo illustrativo della sentenza impugnata non emerge per quale ragione il giudice di appello non abbia tenuto conto di tutte emergenze probatorie offerte dalla contribuente (il giudice del merito precisa che "la Società ha versato in atti documenti attestanti la loro cessione in periodi antecedenti quello in esame o durante il suo corso"), anche al solo fine di confutarle, e, quindi, per escludere, come implicitamente ritenuto, che alcuni immobili non erano più tassabili ai fini ICI, perché non in possesso della società, limitando il suo accertamento solo ad alcuni senza illustrare le ragioni per le quali si è ritenuto, sulla base della documentazione allegata, di non condividere le deduzioni difensive proposte dalla contribuente. Ne consegue che la sentenza impugnata, in parte qua, va cassata.

5. In definitiva, va accolto il quarto motivo di ricorso, rigettati i restanti, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, per il riesame con riferimento alla censura accolta, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quarto motivo di ricorso e rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia per il riesame alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.