Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 febbraio 2021, n. 4816

Tributi - IVA - Credito - Istanza di rimborso - Presentazione istanza di sanatoria ex art. 9 della legge n. 289 del 2002 - Omessa presentazione dichiarazione annuale - Diniego - Illegittimità

 

Rilevato

 

che l'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR del Lazio, emessa in sede di riassunzione di un giudizio, a seguito di sentenza della Corte di Cassazione, che aveva cassato con rinvio una precedente sentenza emessa dalla medesima CTR;

che, con tale ultima sentenza, la CTR aveva respinto l'appello proposto dalla contribuente s.r.l. "OIGA" avverso una sentenza della CTP di Roma, di rigetto del ricorso dalla medesima proposto avverso una cartella di pagamento, con la quale l'ufficio aveva chiesto il pagamento di IVA 2002, avendo disconosciuto il relativo credito, per avere la società contribuente presentato istanza di sanatoria ex art. 9 della legge n. 289 del 2002;

che, in sede di riassunzione, la CTR del Lazio aveva accolto il ricorso della società contribuente, ritenendo che il suo diritto al rimborso IVA non poteva ritenersi precluso né dall'avere essa presentato istanza di condono tombale, né dall'avere essa omesso di presentare la dichiarazione IVA per l'anno 2001;

 

Considerato

 

che il ricorso è affidato ad un unico motivo, con il quale l'Agenzia delle entrate lamenta nullità della sentenza per violazione art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., in quanto erroneamente la CTR, dopo aver argomentato circa la sussistenza del diritto della società contribuente ad ottenere il controverso credito IVA, in accoglimento dell'appello proposto dalla società, aveva stabilito  non solo l'annullamento dell'impugnata cartella di pagamento, ma anche il rimborso del credito IVA vantato dalla società

contribuente, unitamente agli interessi legali; tale ultima statuizione era da ritenere affetta dal vizio di ultrapetizione, in quanto la società contribuente non aveva mai chiesto il rimborso del credito IVA; in ogni caso, tale ultima determinazione avrebbe comportato un'indebita duplicazione di benefici in favore della società contribuente, in quanto quest'ultima, oltre ad ottenere l'annullamento della cartella impugnata, avrebbe conseguito il rimborso dell'importo IVA sgravato, e ciò sebbene la società contribuente avesse chiaramente optato per riportare a nuovo l'eccedenza IVA nel successivo periodo d'imposta;

che la società contribuente non si è costituita;

che l'unico motivo di ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate è infondato;

che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. SS.UU. n. 17757 del 2016), tenuto conto della natura dell'IVA, di essere cioè un'imposta sostanzialmente neutrale, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l'eccedenza d'imposta, risultante da dichiarazioni periodiche e da regolari versamenti per un'annualità, purché dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta come dovuta in restituzione dal giudice tributario, non essendo contestato che la società contribuente avesse, nella specie, sostanzialmente titolo ad ottenere della detrazione; pertanto il diritto di detrazione non poteva essere negato alla contribuente neppure nel giudizio di impugnazione di una cartella emessa dal fisco, laddove, pur non avendo la stessa presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia stato dimostrato in concreto che si sia trattato di IVA su acquisti fatti da un soggetto passivo d'imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili; d'altra parte questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 12313 del 2016, con la quale, su ricorso della società contribuente, ha cassato con rinvio la precedente sentenza emessa dalla CTR del Lazio, ha affermato il principio di diritto, secondo il quale neppure l'adesione da parte della società contribuente al condono tombale di cui all'art. 9 comma 9 della legge n. 289 del 2002 poteva escludere il suo diritto di ottenere in restituzione il credito IVA esposto nella dichiarazione per il 2000, pur avendo la stessa omesso di presentare la dichiarazione IVA per l'anno 2001, sussistendo, nella specie, i presupposti sostanziali del credito chiesto in restituzione;

che in tale contesto, non è condivisibile la distinzione fatta dall'Agenzia delle entrate ricorrente fra la cartella, con cui l'ufficio ha chiesto alla contribuente il pagamento del credito IVA disconosciuto ed il diritto al rimborso del medesimo credito IVA spettante alla contribuente, atteso che, con l'annullamento della cartella impugnata, è stato contestualmente riconosciuto il diritto della società contribuente di ottenere il rimborso del credito IVA, si che legittimamente la CTR ne ha disposto il rimborso in favore della medesima (cfr. Cass. n. 31236 del 2019);

che da quanto sopra, consegue il rigetto del ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate, nulla disponendosi sulle spese, per non essersi la società contribuente costituita in giudizio;

che la ricorrente, siccome amministrazione dello Stato, non è tenuta a corrispondere il doppio del contributo unificato (cfr. Cass. n. 1778 del 2016);

 

P.Q.M.

 

respinge il ricorso; nulla sulle spese.