Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 07 maggio 2025, n. 12090
Avviso di accertamento - Imposte dirette e IVA - Definizione agevolata - Art. 6 D.L. 119/2018 - Diniego - Art. 360 c.p.c. - Scudo fiscale - Indagini finanziarie - Rigetto
Fatti di causa
La Direzione Provinciale I di Roma dell'Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di Va.En. un avviso di accertamento con il quale, per quanto in questa sede ancora interessa, recuperava a tassazione, ai fini delle imposte dirette e dell'IVA, compensi non dichiarati per un importo complessivo di 1.564.755,66 euro, corrispondente al totale delle movimentazioni finanziarie su conti correnti esteri asseritamente riferibili al contribuente e ritenute dall'Ufficio prive di idonea giustificazione.
Il Va.En. impugnava l'atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, la quale, in parziale accoglimento del suo ricorso, annullava le riprese fiscali in questione.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che con sentenza n. 1355/14/17 del 15 marzo 2017, rigettava l'appello dell'Amministrazione Finanziaria.
Contro tale sentenza l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi, al quale il Va.En. ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale condizionato affidato a un unico mezzo di censura.
Nelle more del giudizio, il contribuente presentava alla predetta Direzione Provinciale dell'Agenzia delle Entrate domanda di definizione agevolata della controversia tributaria ex art. 6, comma 8, del D.L. n. 119 del 2018, convertito in L. n. 136 del 2018.
Con provvedimento notificato al contribuente in data 28 maggio 2020 l'Ufficio respingeva l'istanza, rilevando che l'importo versato per la definizione della lite risultava inferiore a quello dovuto per legge.
Avverso il diniego il Va.En. ha spiegato tempestivo ricorso fondato su due motivi di doglianza, al quale l'Agenzia delle Entrate ha a sua volta resistito con apposito controricorso.
I ricorsi sonno stati avviati alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c.
Nel termine di cui al comma 1, secondo periodo, del predetto articolo il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale S.V., ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto sia del ricorso avverso il diniego di definizione agevolata che del ricorso principale per cassazione contro la sentenza d'appello.
Nel successivo termine di cui al terzo periodo dello stesso comma entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
(A) Ricorso avverso il provvedimento di diniego della definizione agevolata della controversia tributaria emesso dalla Direzione Provinciale I di Roma dell'Agenzia delle Entrate
1. Nell'ordine logico-giuridico si appalesa prioritario l'esame del ricorso proposto dal Va.En. avverso il provvedimento di diniego della definizione agevolata della controversia emesso dalla Direzione Provinciale I di Roma dell'Agenzia delle Entrate, giacché il suo eventuale accoglimento condurrebbe alla declaratoria di estinzione del presente giudizio di legittimità per il verificarsi della fattispecie di cui all'art. 6 del D.L. n. 119 del 2018, convertito in L. n. 136 del 2018.
1.1 Con il primo motivo di tale ricorso, formulato ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è denunciata la violazione dell'art. 6, commi 1, 2, lettera b), e 2-ter, del D.L. n. 119 del 2018, convertito in L. n. 136 del 2018.
1.2 Si assume che il provvedimento di diniego risulterebbe illegittimo per avere l'Ufficio erroneamente ritenuto che l'importo da versare per il perfezionamento della definizione agevolata dovesse essere determinato in misura pari al 15 per cento del valore originario della controversia, ai sensi dell'art. 6, comma 2, lettera b), del citato decreto-legge, laddove la norma applicabile al caso di specie sarebbe, invece, da individuare nel successivo comma 2-ter dello stesso articolo, specificamente riguardante le controversie tributarie pendenti davanti a questa Corte.
In base a tale disposizione, ove l'Agenzia delle Entrate sia risultata soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, la lite può essere definita con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del predetto valore.
1.3 Si deduce, in proposito, che, per effetto del giudicato interno formatosi sulle statuizioni relative agli altri rilievi fiscali posti a base dell'impugnato avviso di accertamento, la "controversia pendente" fra le parti deve ormai considerarsi limitata alla sola ripresa a tassazione dell'importo di 1.564.755,66 Euro, rispetto alla quale l'Amministrazione Finanziaria è risultata totalmente soccombente sia in primo che in secondo grado.
2. Con il secondo motivo, pure proposto a norma dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è lamentata la violazione degli artt. 6, comma 1, e 12 del D.L. n. 119 del 2018, convertito in L. n. 136 del 2018.
2.1 Si sostiene che l'Ufficio non avrebbe comunque potuto rigettare la domanda di definizione agevolata a causa dell'erronea determinazione dell'importo all'uopo da pagare, non essendo una simile ipotesi contemplata dall'art. 6 del menzionato decreto-legge come causa di decadenza dal beneficio condonistico.
Al contribuente andava, quindi, quantomeno consentito di rettificare la propria dichiarazione di adesione, prima che nei suoi confronti fosse adottata la gravosa "sanzione" del diniego.
3. Il primo motivo è infondato.
3.1 L'art. 6, comma 2-ter, del D.L. n. 119 del 2018 dispone che "le controversie tributarie pendenti innanzi alla Corte di cassazione, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per le quali l'Agenzia delle entrate risulti soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, possono essere definite con il pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia".
3.2 Detta norma deve essere coordinata con quelle recate dai commi 1, 1-bis, 2 e 2-bis dello stesso articolo, le quali così recitano:
"1. Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l'Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a sèguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia.
Il valore della controversia è stabilito ai sensi del comma 2 dell'articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.
1-bis. In caso di ricorso pendente iscritto nel primo grado, la controversia può essere definita con il pagamento del 90 per cento del valore della controversia.
2. In deroga a quanto previsto dal comma 1, in caso di soccombenza dell'Agenzia delle entrate nell'ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata alla data di entrata in vigore del presente decreto, le controversie possono essere definite con il pagamento:
a) del 40 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado;
b) del 15 per cento del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di secondo grado.
2-bis. In caso di accoglimento parziale del ricorso o comunque di soccombenza ripartita tra il contribuente e l'Agenzia delle entrate, l'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni è dovuto per intero relativamente alla parte di atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale e in misura ridotta, secondo le disposizioni di cui al comma 2, per la parte di atto annullata".
3.3 Dalla lettura sistematica delle disposizioni normative surriportate si ricava che la definizione agevolata delle controversie tributarie promosse nei confronti dell'Agenzia delle Entrate e pendenti alla data di entrata in vigore del D.L. n. 119 del 2018 può avvenire mediante il pagamento di un importo commisurato al valore della causa determinato ai sensi dell'art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992 e diversamente stabilito a seconda del grado in cui il processo si trovi e dell'esito dei pregressi gradi di merito.
Detto importo, più precisamente, risulta pari:
– all'intero valore della controversia, se la causa sia pendente in grado di appello o di cassazione o dinanzi al giudice del rinvio (comma 1) e non ricorra alcuna delle ipotesi di cui ai successivi commi 2, 2-bis e 2-ter;
– al 90 per cento del valore, se la causa sia pendente in primo grado (comma 1-bis);
– al 40 per cento del valore, se la causa penda in grado d'appello e l'Agenzia delle Entrate sia risultata totalmente soccombente all'esito del giudizio di prime cure, oppure se la causa penda in grado di cassazione e l'Agenzia sia risultata totalmente soccombente all'esito dell'unico grado di merito (comma 2, lettera a);
– al 15 per cento del valore, se la causa penda dinanzi a questa Corte e l'Agenzia delle Entrate sia risultata totalmente soccombente soltanto all'esito del giudizio di secondo grado, ma non anche del primo (comma 2, lettera b);
– al 5 per cento del valore, se la causa penda davanti a questa Corte e l'Agenzia delle Entrate sia risultata soccombente all'esito di tutti i pregressi gradi di giudizio (comma 2-ter).
3.4 Un'ipotesi peculiare è quella in cui il ricorso del contribuente sia stato accolto solo in parte o comunque la soccombenza sia stata ripartita fra lo stesso contribuente e l'Agenzia delle Entrate.
3.5 La descritta situazione è regolamentata dal combinato disposto dei commi 2 e 2-bis sopra citati, in base ai quali, ai fini della determinazione dell'importo da pagare per la definizione agevolata dalla controversia, occorre avere riguardo alle sorti dell'atto impugnato.
Più in particolare, detto importo risulta pari:
(a) all'intero ammontare del tributo, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni, per la parte di atto confermata dall'ultima o unica pronuncia giurisdizionale intervenuta al momento della proposizione della domanda di definizione agevolata;
(b) al 40 per cento dell'ammontare del tributo, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni, per la parte di atto annullata, qualora l'annullamento sia stato disposto con la pronuncia di primo grado;
(c) al 15 per cento dell'ammontare del tributo, al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni, per la parte di atto annullata, qualora l'annullamento sia stato disposto con la pronuncia di secondo grado.
3.6 Alla luce della ricostruzione normativa sopra illustrata, si appalesa privo di fondamento l'assunto del ricorrente secondo cui al caso in esame risulterebbe applicabile la norma contenuta nel comma 2-ter dell'art. 6 del D.L. n. 119 del 2018, la quale, come si è visto, si riferisce all'ipotesi di domanda di definizione agevolata proposta in pendenza del giudizio di cassazione relativo a controversia tributaria che abbia registrato l'integrale soccombenza dell'Agenzia delle Entrate in tutti i precedenti gradi fino a quel momento svoltisi; situazione, questa, che con ogni evidenza non ricorre nella presente fattispecie, in quanto l'originario ricorso del Va.En. è stato accolto solo in parte dai giudici di prime cure e l'atto impositivo oggetto di causa è stato per il resto confermato con statuizione divenuta intangibile in difetto di impugnazione.
3.7 La norma di riferimento è invece quella di cui al comma 2-bis dello stesso articolo, sicché il perfezionamento della definizione agevolata non può essere conseguito mediante il versamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia.
3.8 Legittimo appare, pertanto, sotto questo aspetto, il provvedimento di diniego adottato dall'Amministrazione Finanziaria, onde la prima censura è destinata alla reiezione.
4. Il secondo motivo è ugualmente infondato.
4.1 Poiché il perfezionamento della definizione agevolata è subordinato, ai sensi dell'art. 6, comma 6, del D.L. n. 119 del 2018, al pagamento degli importi dovuti o della prima rata entro il 31 maggio 2019, appare evidente come la non corretta determinazione di tale importo in sede di presentazione della relativa domanda finisca inevitabilmente per incidere sull'idoneità dei versamenti che il contribuente deve effettuare per poter fruire del beneficio condonistico.
4.2 Per tale ragione, la contestata inosservanza delle disposizioni regolanti la determinazione e il conseguente pagamento dell'importo dovuto per la definizione giustifica il diniego opposto dall'Amministrazione Finanziaria, che anche da questo punto di vista non presenta profili di illegittimità.
4.3 D'altro canto, in assenza di una specifica disposizione sul punto, è da escludere che il detto diniego debba essere preceduto da un necessario momento di interlocuzione fra l'Ufficio e il contribuente, volto ad offrire a quest'ultimo la possibilità di emendare la propria domanda e di integrare gli insufficienti versamenti effettuati.
4.4 Il comma 10 dell'articolo in commento si limita, infatti, a fissare il termine (31 luglio 2020) per la notificazione dell'eventuale diniego e a prevedere l'impugnabilità del provvedimento, entro sessanta giorni dall'eseguita notificazione, dinanzi all'organo giurisdizionale presso il quale pende la causa.
(B) Ricorso principale per cassazione contro la sentenza della CTR del Lazio n. 1355/14/17 del 15 marzo 2017
5. Il rigetto dell'impugnazione proposta dal contribuente avverso il provvedimento di diniego della definizione agevolata della controversia impone di procedere alla disamina del ricorso principale per cassazione spiegato dall'Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 1355/14/17 emessa dalla CTR del Lazio.
5.1 Con il primo motivo del suddetto ricorso, formulato ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è prospettata la violazione degli artt. 32, comma 2, nn. 2) e 7), e 33 del D.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell'art. 51 del D.P.R. n. 633 del 1972.
5.2 Sulla premessa che l'impugnato avviso di accertamento si fonderebbe "in modo pacifico e incontroverso" sulle risultanze di indagini finanziarie riguardanti alcuni conti correnti ritenuti riconducibili al Va.En., dalle quali sarebbero emersi accreditamenti non giustificati per un importo complessivo di 1.564.755,66 euro, la ricorrente rimprovera alla CTR di aver disatteso la presunzione posta dall'art. 32, comma 2, nn. 2) e 7) del D.P.R. n. 600 del 1973.
5.3 Deduce, al riguardo, che il giudice di merito non può privare i dati ed elementi acquisiti presso banche e intermediari finanziari del valore presuntivo loro attribuito dalla legge e che la prova contraria di cui è onerato il contribuente deve essere analitica e specificamente riferita alle singole movimentazioni contestate.
6. Con il secondo motivo, introdotto a norma dell'art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la nullità dell'impugnata sentenza per motivazione apparente, con conseguente violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c.
6.1 Si imputa alla Commissione regionale di aver apoditticamente respinto l'appello erariale, senza confutare le censure mosse dall'Ufficio alla sentenza di primo grado.
7. Il secondo motivo, da esaminare con precedenza perché prospettante un vizio di nullità della gravata pronuncia, è infondato.
7.1 Dalla lettura della sentenza in scrutinio emerge chiaramente che la CTR ha dapprima individuato le questioni giuridiche rilevanti ai fini della decisione - ovvero quelle inerenti all'applicabilità della normativa sul cd. "scudo fiscale" e all'utilizzabilità delle indagini finanziarie relative ai conti correnti intestati al contribuente o ad altri soggetti legati allo stesso da vincolo di familiarità o da rapporti di affari o di natura commerciale - e quindi rilevato che: - non era precluso all'Agenzia delle Entrate l'esercizio di ulteriore potere accertativo con riferimento alle attività detenute all'estero dal contribuente in epoca successiva al 31 dicembre 2018; - l'atto impositivo oggetto di causa si fondava esclusivamente sui "dati contenuti in tabulati informatici rinvenuti nella contabilità di altro soggetto (il La. (recte : La. - n.d.r.)), in assenza di qualsivoglia collegamento funzionale con i conti correnti intestati al resistente".
7.2 La motivazione che sorregge il "decisum" è dunque pienamente comprensibile e consente di individuare il percorso argomentativo che ha condotto i giudici regionali alla conferma della pronuncia di primo grado, sì da raggiungere la soglia del cd. "minimo costituzionale" ex art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, la cui inosservanza segna il limite entro il quale, a sèguito della riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, può ancora operare il sindacato di legittimità sulla motivazione (sull'argomento cfr., ex permultis, Cass. n. 3376/2024, Cass. n. 36135/2023, Cass. Sez. Un. n. 19881/2014, Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
8. Il primo motivo è inammissibile.
8.1 Come già evidenziato in occasione della disamina della precedente censura, la CTR ha accertato in fatto che l'atto impositivo emesso a carico del contribuente si fondava esclusivamente sui dati contenuti in tabulati informatici rinvenuti nella contabilità di altro soggetto, i quali non aveva trovato alcun elemento di riscontro attraverso l'analisi dei conti correnti intestati al contribuente o a persone a lui in qualunque modo riconducibili.
8.2 A fronte di un simile apprezzamento di merito, lungi dall'individuare eventuali erronee affermazioni in diritto fatte dalla CTR, la ricorrente incentra le proprie critiche sull'assunto che l'accertamento oggetto di causa si fondasse su elementi raccolti nell'ambito di indagini finanziarie.
8.3 Dietro lo schermo del vizio di cui all'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., la doglianza mira, quindi, in realtà, a sollecitare una diversa ricostruzione della "quaestio facti" rispetto a quella operata dal collegio di secondo grado, allo scopo di farne derivare una decisione diversa da quella assunta dai giudici "a quibus".
8.4 Essa non può, conseguentemente, avere ingresso, presupponendo una differente valutazione dei fatti storici acclarati dalla sentenza in esame (cfr. Cass. n. 34817/2022, Cass. n. 15568/2020).
(C) Ricorso incidentale condizionato
9. Con l'unico motivo di ricorso incidentale condizionato, ricondotto al paradigma dell'art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è prospettata la violazione dell'art. 13-bis, comma 4, del D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, e dell'art. 14, comma 1, lettera a), del D.L. n. 350 del 2001, convertito in L. n. 409 del 2001.
9.1 Si censura l'impugnata sentenza per aver a torto ritenuto che l'adesione del Va.En. alla procedura di cd. "scudo fiscale" disciplinata dal citato D.L. n. 78 del 2009 non precludesse all'Amministrazione Finanziaria l'esercizio di ulteriore azione accertativa relativamente alle somme rimpatriate.
9.2 Il ricorso rimane assorbito dal rigetto di quello principale.
(D) Statuizioni conclusive
10. In definitiva, sulle conformi conclusioni del Pubblico Ministero, vanno respinti sia il ricorso proposto dal Va.En. avverso il provvedimento di diniego della definizione agevolata della controversia emesso dall'Agenzia delle Entrate, sia il ricorso principale per cassazione spiegato dalla medesima Agenzia contro la sentenza resa "inter partes" dalla CTR laziale, con conseguente assorbimento dell'impugnazione incidentale condizionata esperita dal contribuente.
11. Le spese processuali possono essere interamente compensate fra le parti, in ragione della loro reciproca soccombenza.
12. Stante l'esito del ricorso avverso il diniego della definizione agevolata, deve essere resa a carico del Va.En. l'attestazione contemplata dall'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall'art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
12.1 Non si fa luogo ad analoga attestazione nei confronti dell'Agenzia delle Entrate, nonostante l'integrale rigetto del ricorso principale per cassazione, essendo ad essa applicabile - in virtù del rinvio contenuto nell'art. 12, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012 - la disposizione recata dall'art. 158, comma 1, lettera a), dello stesso D.P.R., prevedente la prenotazione a debito del contributo unificato in favore delle amministrazioni pubbliche.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso avverso il provvedimento di diniego della definizione agevolata della controversia, nonché il ricorso principale per cassazione contro la sentenza d'appello, con conseguente assorbimento di quello incidentale condizionato; compensa interamente fra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.