Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 25 ottobre 2016, n. 44897

Evasione d’imposta - Costi di impresa fittizi - Reati - Artt. 4 e 5 del dlgs n. 74 del 2000

 

Ritenuto in fatto

 

Con sentenza del 12 marzo 2015 la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Agrigento aveva dichiarato la penale responsabilità di S. N. in ordine ai reati di cui all'art. 5 del dlgs n. 74 del 2000 per avere egli, nella qualità di legale rappresentante della MT Montaggi tecnologici srl, dichiarato, al fine di evadere le imposte relative all'anno 2007, costi di impresa fittizi, documentati tramite fatture apparentemente emesse dalla ditta individuale P.C., ma in realtà contraffatte, per un importo pari ad oltre euro 1.259.000,00, e del reato di cui all'art. 4 del medesimo dlgs per avere, nella predetta qualità, omesso di indicare nella propria dichiarazione dei redditi relativa all'anno di imposta 2007 elementi attivi per un ammontare complessivo di euro 780.000, in tal modo evadendo imposta per oltre 257.000 euro.

La Corte territoriale ha in sostanza osservato, in primo luogo, che gli apparenti emittenti della fatture relative ad operazioni fittizie avevano disconosciuto la sottoscrizione apposta in calce ai detti documenti fiscali; che gli importi indicati nelle dette fatture non avevano trovato alcun riscontro bancario o finanziario e che gli stessi erano apparsi incongrui rispetto alla struttura imprenditoriale della impresa apparentemente emittente; quanto al reato di cui all'art. 4 del dlgs n. 74 del 2000, la Corte ha rilevato che dalla contabilità della ditta R. I. di Caltagirone risultavano fatture emesse dalla MT per il predetto importo di euro 780.000, delle quali non vi era traccia nella dichiarazione dei redditi presentata dall'imputato.

Avverso la predetta sentenza ha interposto appello il S., il quale ha articolato 5 motivi di ricorso.

Il primo ed il secondo concernono la nullità della sentenza stante la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con la quale è stata disattesa la eccezione di illegittimità della acquisizione al fascicolo del dibattimento degli atti di indagine svolti dalla Polizia tributaria o, comunque, della illegittimità della sentenza che sulla base di quella documentazione ha affermato la colpevolezza dell'imputato.

Col terzo motivo è censurata la motivazione della sentenza nella parte in cui in essa si è ritenuto dimostrata, sulla base del compendio probatorio in atti, nonostante la sua inadeguatezza o comunque insufficienza, la penale responsabilità del S..

Col quarto motivo è dedotta la contraddittorietà della motivazione della sentenza di condanna, quanto alla imputazione di cui al capo C) della rubrica, nella parte in cui, a differenza di quanto avvenuto per ciò che attiene alle fatture emesse a carico della impresa condotta dal S., la Corte ha dato ampio credito, onde affermare la sussistenza del reato a questo ascritto, alla contabilità della R. I. nella quale risulterebbero delle fatture emessa dalla MT, non indicate nella dichiarazione dei redditi di quest'ultima.

Con l'ultimo motivo è censurata la mancata concessione delle attenuanti generiche in favore del prevenuto, senza che la Corte abbia valutato il comportamento da questo tenuto, anche in altri giudizi penali, nei quali lo stesso è stato parte offesa in relazioni alla commissione ai suoi danni di reati connessi alla criminalità organizzata.

 

Considerato in diritto

 

Il ricorso, risultato fondato è, pertanto meritevole di accoglimento secondo le motivazioni di seguito riportate.

Esaminando le varie doglianze presentate dall'impugnante, osserva la Corte come le prime due di esse siano inammissibili, oltre che infondate.

Invero con esse il S. si duole, sia pure sotto diversi profili, del fatto che i giudici del merito abbiano posto a fondamento della loro decisione delle prove documentali che erano state indebitamente acquisite al fascicolo del dibattimento e, pertanto, erano inutilizzabili in sede decisoria.

Va, al proposito, rilevato, in primo luogo che la predetta censura già aveva formato oggetto dell'atto di gravame presentato dal S. di fronte alla Corte territoriale e le relative argomentazioni già erano state oggetto di puntuale confutazione da parte del giudice di appello.

In tale sede, infatti, la Corte nissena aveva rilevato come gli atti in questione fossero stati inseriti nel fascicolo del dibattimento già ad opera del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Gela in esito alla udienza preliminare ed in relazione a tale allegazione non vi era stata opposizione alcuna da chi vi aveva interesse.

Tanto premesso va prioritariamente ribadito il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale deve considerarsi inammissibile, in quanto generico, il motivo di impugnazione di fronte al giudice della legittimità che si risolva nella reiterazione di una censura già formulata in sede di gravame ed alla quale la Corte di appello già abbia dato compiuta risposta (Corte di Cassazione, Sezione III penale, 28 ottobre 2014, n. 44882).

Peraltro nella fattispecie gli argomenti dedotti dalla Corte onde rigettare il motivo di gravame formulato dalla difesa del prevenuto appaiono del tutto condivisibili, posto che la Corte nissena ha rilevato, in conformità con la giurisprudenza di questa Corte, la tardività della eccezione di inutilizzabilità delle risultanze degli accertamenti ispettivi svolti dalla Guardia di Finanza a carico del S..

Né, infine sul punto, la confutazione di tale affermazione è stata condotta dal ricorrente in termini di doverosa specificità, essendosi egli limitato a contestare in fatto la veridicità della affermazione della tardività della contestazione, senza in alcun modo, neppure con un'adeguata relatio documentale, indicare i termini, meramente declamati, della tempestività della contestazione in questione.

Fondati sono, invece, i motivi di impugnazione terzo e quarto, con conseguente assorbimento del quinto ed ultimo riferito alla mancata concessione delle attenuanti generiche, coi quali è dedotto il vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di affermazione della penale responsabilità dell'imputato in ordine ai due reati per i quali è intervenuta in primo grado la sentenza di condanna poi confermata in sede di appello.

Invero, in particolare per ciò che attiene alla imputazione relativa alla trasgressione dell'art. 2 del dlgs n. 74 del 2000 la Corte di appello, sulla scorta di quanto già affermato dal Tribunale di Gela, ha ritenuto dimostrata la penale responsabilità del prevenuto sulla scorta, sostanzialmente, delle sole dichiarazioni rese, peraltro in termini che lo stesso giudice del gravame ha definito caratterizzate da "formule linguistiche non perentorie", dalla teste P. C., cioè il soggetto apparentemente firmatario delle fatture in ipotesi relative ad operazioni inesistenti, la quale ha disconosciuto la propria sottoscrizione in calce a tali documenti.

Ora - a prescindere dal fatto che diversamente da quanto parrebbe ritenere la Corte nissena, le fatture non sono documenti per la cui perfezione è necessaria la sottoscrizione da parte di chi le abbia emesse, essendo questa necessaria, a fini probatori, solo nel caso in cui la fattura contenga dichiarazioni accessorie in ordine all'avvenuto pagamento della prestazione in essa rappresentata (Corte di cassazione, Sezione II civile, 26 maggio 1993, n.  5919), sicché poco rilievo ha ai fini della effettività o meno di quanto in esse riportato come oggetto di prestazione il fatto che le stesse siano state effettivamente sottoscritte dal soggetto apparentemente emittente - osserva la Corte che l'accertamento della inesistenza delle operazioni il cui valore è stato dall'imputato addebitato a costi di impresa, al fine di abbattere il relativo reddito prodotto, è stato condotto sia in primo grado che in grado di appello in assenza di alcun obbiettivo riscontro, che sarebbe, viceversa stato agevole acquisire, ove si rifletta sul dato, pacificamente riportato dai giudici del gravame, secondo il quale i pagamenti delle fatture asseritamente relative ad operazioni inesistenti, erano, invece, stati eseguiti dal S. tramite rimesse in contanti in favore del soggetto che materialmente gestiva la impresa commerciale nominalmente riferibile alla P..

Posto, infatti, che, secondo il teste a discarico, siffatte rimesse erano precedute da prelievi di pari importo eseguiti dal S. presso l'istituto bancario con il quale egli tratteneva rapporti finanziari, sarebbe stato agevole verificare, attraverso la contabilità bancaria del S., la veridicità o meno di tale tesi difensiva.

Tanto più ove si rifletta sul fatto che, all'esito della istruttoria, la stessa Corte ha confermato come sia emersa la esistenza di rapporti economici fra la impresa della P. e quella dell'imputato, circostanza questa che avrebbe, sotto il profilo della logica tenuta motivazionale della sentenza impugnata, imposto una più accurata verifica invece della inesistenza delle operazioni documentate con le fatture per cui è processo.

Parimenti frutto di una petizione di principio è l'affermazione riguardante la mancata dichiarazione, relativamente all'anno di imposta 2007, dei ricavi rivenienti dai rapporti commerciali intrattenuti, secondo l'accusa fra il S. e la ditta R. I..

Non è, infatti, assolutamente chiara quale sia la fonte di prova della esistenza di tali rapporti, atteso che non appare logico, in assenza di dichiarati riscontri, dedurre l'esistenza di essi sulla sola base della documentazione contabile rinvenuta presso la ditta committente, senza che in qualche modo sia documentalmente dimostrata la fonte contrattuale di questi nonché la sussistenza di consistenti flussi finanziari fra l'uno e l'atro soggetto, sicura dimostrazione della effettività dei ricavi accertati dalla Guardia di Finanza e, secondo l'accusa, non dichiarati dall'imputato.

La sentenza impugnata va, pertanto, annullata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Caltanissetta che, attenendosi ai principi dianzi espressi, ne emenderà la motivazione nella parti in cui la medesima non dà adeguatamente conto delle ragioni dell'accertamento della penale responsabilità del prevenuto.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Caltanissetta.