Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 02 luglio 2020, n. 13536

Accertamento - Riscossione - Cartelle di pagamento - Certificazione dei carichi pendenti

Rilevato che

L'Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma - Sezione Staccata di Latina il 28 giugno 2013 n. 494/40/2013, non notificata, che, in controversia su impugnazione della "certificazione dei carichi pendenti", ove si attestava l'iscrizione a ruolo di due cartelle di pagamento definite con condono ex art. 12 della Legge 27 dicembre 2002 n. 289, ha accolto l'appello proposto avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Latina il 18 giugno 2009 n. 310/01/2009. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di prime cure sul presupposto che l'atto impugnato dalla contribuente rientrasse nella previsione dell'art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 e che l'amministrazione finanziaria non avesse contestato la dedotta illegittimità della pretesa tributaria.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ, per aver erroneamente ritenuto che la "certificazione dei carichi pendenti" rientri nel novero degli "atti impugnabili" dal contribuente dinanzi al giudice tributario, trattandosi di una mera constatazione delle risultanze delle iscrizioni a ruolo.

2. Con il secondo motivo, in via subordinata, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 12 della Legge 27 dicembre 2002 n. 289, dell'art. 10 della Legge 27 luglio 2000 n. 212 e dell'art. 2697 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma  1, n. 3, cod.proc. civ., per aver erroneamente ritenuto che l'amministrazione finanziaria non abbia contestato la dedotta illegittimità della pretesa tributaria, non rientrando la fattispecie tra i ruoli suscettibili di definizione agevolata in relazione all'epoca dei versamenti eseguiti dalla contribuente.

3. Con il terzo ed ultimo motivo, sempre in via subordinata, si lamenta insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio o, comunque, omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per non aver valutato in alcun modo le eccezioni e le difese dell'amministrazione finanziaria.

 

Ritenuto che

 

1. Il primo motivo è fondato, derivandone l'assorbimento dei restanti motivi.

1.1 Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli "atti impugnabili", contenuta nell'art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), che in conseguenza dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la Legge 28 dicembre 2001 n. 448. Ciò comporta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall'ente impositore che, con l'esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 citato.

Sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l'interesse, ex art. 100 cod. proc. civ., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall'ente pubblico. La mancata impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dall'art. 19 citato non determina, in ogni caso, la non impugnabilità (e cioè la cristallizzazione) di quella pretesa, che va successivamente reiterata in uno degli atti tipici previsti dall'art. 19 (ex plurimis: Cass., Sez. 5", 8 ottobre 2007, n. 21045; Cass. Sez. 5^, 25 febbraio 2009, n. 4513; Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2010, n. 14373; Cass., Sez. 5^, 11 maggio 2012, n. 7344; Cass., Sez. 5^, 11 febbraio 2015, n. 2616; Cass., Sez. 6^, 18 luglio 2016, n. 14675; Cass., Sez. 5^, 30 maggio 2017, n. 13584; Cass., Sez. 6^, 2 novembre 2018, n. 26129).

1.2 Non constano specifici precedenti di questa Corte con particolare riguardo alla questione controversa.

Di contro, un univoco orientamento si è ormai consolidato in relazione al c.d. "estratto di ruolo", che è la fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale e deve contenere tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l'ammontare della pretesa creditoria (Cass., Sez. 6^, 9 maggio 2018, n. 11028).

In proposito, dopo un primo arresto nel senso dell'autonoma impugnabilità (Cass., Sez. 5^, 3 febbraio 2014, n. 2248), si è affermato che, in tema di contenzioso tributario, l'estratto di ruolo, che è atto interno all'amministrazione finanziaria, non può essere oggetto di autonoma impugnazione, ma deve essere impugnato unitamente all'atto impositivo, notificato di regola con la cartella, in difetto non sussistendo interesse concreto e attuale ex art. 100 cod. proc. civ., ad instaurare una lite tributaria, che non ammette azioni di accertamento negativo del tributo (ex plurimis: Cass., Sez. Un., 2 ottobre 2015, n. 19704; Cass., Sez. 5^, 15 marzo 2013, n. 6610; Cass., Sez. 6^, 22 settembre 2017, n. 22184; Cass., Sez. 6^, 9 settembre 2019, n. 22507).

In particolare, si è sottolineato che l'inidoneità dell'estratto di ruolo a contenere qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva, diretta o indiretta (essendo, peraltro, l'esattore carente del relativo potere) comporta indiscutibilmente la non impugnabilità dello stesso in quanto tale, innanzitutto per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 cod. proc. civ.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento giurisdizionale, non avendo, infatti, alcun senso l'eliminazione  dal mondo giuridico del solo documento, senza incidere su quanto in esso rappresentato. Peraltro, anche l'eventuale contestazione dell'attività certificativa del concessionario in sé considerata - ad esempio in relazione alla non corrispondenza tra quanto certificato nell'estratto e quanto risultante dal ruolo - avrebbe un senso solo in un ipotetico giudizio risarcitorio per aver confidato nella corrispondenza delle notizie riportate nell'estratto alle iscrizioni risultanti dal ruolo, non in un giudizio impugnatorio conducente esclusivamente ad un "annullamento" della certificazione (così: Cass., Sez. Un., 2 ottobre 2015, n. 19704).

1.3 Ciò non di meno, è stato anche evidenziato che le cose stanno diversamente là dove l'impugnazione investa l'estratto di ruolo per il suo contenuto, ossia in riferimento agli atti che nell'estratto di ruolo sono indicati e riportati e cioè il ruolo e la cartella, mai notificati. In tal caso, sussiste evidentemente l'interesse ad agire e sussiste anche la possibilità di farlo, non ostandovi l'ultima parte dell'art. 19, comma 3, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, in quanto <<una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato - impugnabilità prevista da tale norma - non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque venuto legittimamente a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l'invalidità stessa anche prima, giacché l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la stringente necessità dì garantire diritti o interessi di pari rilievo, rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione»(così: Cass., Sez. Un., 2 ottobre 2015, n. 19704 - nello stesso senso: Cass., Sez. 6", 1 giugno 2016, n. 11439; Cass., Sez. 6", 12 ottobre 2016, n. 20611; Cass., Sez. 6", 9 settembre 2019, n. 909); ovviamente l'impugnazione dell'estratto di ruolo è soggetta al rispetto del termine generale previsto dall'art. 21 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, essendo ininfluente la facoltatività dell'impugnazione dell'estratto di ruolo, per la permanenza, in capo al contribuente, del diritto dì impugnare anche il primo atto impositivo tipico successivamente notificatogli (Cass., Sez. 5^, 31 ottobre 2018, n. 27799).

1.4 Peraltro, si è anche aggiunto che, in tema di contenzioso tributario, solo la piena conoscenza dell'atto da parte del contribuente consente il consapevole esercizio del diritto di impugnativa, e la ratio della previsione secondo cui al contribuente non va — di regola — notificato l'estratto di ruolo, bensì la cartella di pagamento nella quale il ruolo viene trasfuso, ai sensi degli artt. 25 e 26 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, risiede proprio nell'esigenza di rendere ostensibili al medesimo le ragioni ed i presupposti che hanno dato origine alla pretesa fiscale azionata dall'amministrazione finanziaria (Cass., Sez. 5^, 17 aprile 2015, n. 7874) con la conseguenza che l'acquisizione da parte del contribuente di una copia dell'estratto di ruolo riportante l'indicazione di avvenuta iscrizione a ruolo di quanto poi trasfuso nella relativa cartella di pagamento, avente il valore di una mera informazione di un fatto verificatosi, non può assurgere a prova della piena conoscenza dell'atto impositivo impugnabile, ai fini della decorrenza del termine di cui all'art. 21 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, potendo legittimare al più l'impugnazione, peraltro facoltativa, del solo estratto di ruolo (Cass., Sez. 6^, 9 settembre 2019, n. 909).

1.5 Ciò detto, occorre verificare se i principi enunciati possano essere estesi o adattati anche alla c.d. "certificazione dei carichi pendenti".

Tale documento è stato recentemente disciplinato dall'art. 364, comma 1, del D.L.vo 12 gennaio 2019 n. 14 (c.d. "Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza"), il quale ha stabilito che gli uffici dell'amministrazione finanziaria devono rilasciare «su richiesta del debitore o del tribunale, un certificato unico sull'esistenza di debiti risultanti dai rispettivi atti, dalle contestazioni in corso e da quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti>>.

Ancora, l'art. 364, comma 2, del D.L.vo 12 gennaio 2019 n. 14 ha precisato, inoltre, che l'Agenzia delle Entrate deve adottare, con proprio provvedimento, "modelli per la certificazione dei carichi pendenti, risultanti al sistema informativo dell'anagrafe tributaria e dell'esistenza di contestazioni, nonché per le istruzioni agli uffici locali dell'Agenzia delle Entrate competenti al rilascio e definisce un fac-simile di richiesta delle certificazioni medesime da parte  dei soggetti interessati, curando la tempestività di rilascio".

Tale provvedimento è stato adottato dal Direttore dell'Agenzia delle Entrate il 27 giugno 2019, prot. n. 224245/2019, stabilendo che il modello approvato (con la denominazione di "certificato unico debiti tributari") debba contenere «l'indicazione dei debiti risultanti dall'interrogazione al sistema informativo dell'anagrafe tributaria relativi agli atti, alle contestazioni in corso e a quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti, in materia di imposte dirette, imposta sul valore aggiunto e altre imposte indirette».

La certificazione dei debiti tributari attesta, quindi, l'assenza di debiti tributari o la sussistenza di debiti tributari non soddisfatti in base ai dati risultanti nel sistema informativo dell'anagrafe tributaria. In presenza di debiti tributari non soddisfatti, il certificato presenta in allegato un prospetto che riporta i debiti con l'ammontare e lo stato della riscossione alla data di rilascio del certificato stesso.

Dal prospetto è possibile ricavare, ad esempio, le seguenti informazioni:

- la tipologia dell'atto dal quale scaturisce il debito (per esempio un avviso di accertamento, un atto di contestazione, una cartella di pagamento, una comunicazione degli esiti);

- il numero identificativo dell'atto;

- l'anno di imposta;

- la data di notifica;

- l'importo residuo dovuto del debito (importo dovuto alla data di rilascio del certificato a titolo di imposta, sanzioni e interessi, ma con esclusione degli interessi di mora);

- l'eventuale presenza di una rateizzazione in corso, per la quale non è avvenuta la decadenza;

- la presenza di istituti definitori di competenza dell'Agenzia delle Entrate o di definizioni agevolate di competenza di Agenzia delle Entrate. In altre parole, il certificato contiene l'indicazione dei debiti risultanti dalle banche dati dell'anagrafe tributaria relativi agli atti, alle contestazioni in corso e a quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti, in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e relativamente ad ulteriori imposte indirette.

La novità è stata prevista dal legislatore della riforma al fine di rendere più agevole l'istruttoria dei procedimenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza, fornendo una visione "panoramica" sull'esposizione debitoria del contribuente - anche se non versante in stato di crisi o insolvenza - nei confronti dell'amministrazione finanziaria.

Il modello approvato contiene anche: gli identificativi del soggetto d'imposta (codice fiscale, partita I.V.A.); il nome ed il cognome o la denominazione del contribuente; il domicilio fiscale.

1.6 Prima dell'entrata in vigore del D.L.vo 12 gennaio 2019 n. 14 (come, per l'appunto, nel caso di specie), in virtù del provvedimento adottato dal Direttore dell'Agenzia delle Entrate il 25 giugno 2001, che aveva approvato «il modello di certificazione dei carichi pendenti risultanti dall'interrogazione al sistema informativo dell'anagrafe tributaria relativi alle imposte dirette, all'imposta sul valore aggiunto e alle imposte indirette sugli affari (...)>> (art. 1, comma 1, lett. a), nonché «le istruzioni concernenti la tipologia dei carichi pendenti che dovranno essere riportati a carico del contribuente istante (..)» (art. 2, comma 4) (la cui validità era stata confermata dalla circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 34/E del 25 maggio 2007 anche dopo l'entrata in vigore del D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163 - portante il "Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture" - con riguardo all'attestazione della regolarità fiscale degli operatori economici per la partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi), il certificato dei carichi pendenti era rilasciato all'interessato dall'ufficio competente (in relazione al domicilio fiscale del soggetto d'imposta richiedente) dell'Agenzia delle Entrate, sulla base dei dati desunti dalle interrogazioni al sistema informativo dell'Anagrafe Tributaria.

Esso doveva contenere l'indicazione dei seguenti atti (con riguardo sia alle imposte dirette che alle imposte indirette): processi verbali di constatazione; atti di contestazione; avvisi di irrogazione di sanzioni; avvisi di rettifica; avvisi di accertamento; avvisi di liquidazione; somme dovute a seguito di liquidazione delle dichiarazioni annuali; iscrizioni a ruolo (sia fogli di prenotazione a ruolo che cartelle di pagamento) con specificazione del numero identificativo, del tributo riscosso e delle somme dovute; giudizi pendenti (con specificazione del grado di giudizio e dell'eventuale avviso di liquidazione).

1.7 Alla luce del contenuto e della funzione di tale certificazione, anche nella versione antecedente alla regolamentazione prevista dal D.L.vo 12 gennaio 2019 n. 14, è evidente che si tratta di un documento destinato a fornire informazioni sintetiche e riassuntive sull'esistenza, sulla consistenza, sulla natura e sullo stato dei debiti tributari per consentire di valutare l'affidabilità e la solvibilità del contribuente in sede contrattuale, amministrativa o giudiziaria.

A parere di questa Corte, dunque, il tenore sommario e riepilogativo di tale certificato esclude l'idoneità a contenere un'informazione completa ed esaustiva su qualsivoglia (autonoma e/o nuova) pretesa impositiva (diretta o indiretta), con la conseguenza della non impugnabilità dello stesso in quanto tale per la assoluta mancanza di interesse (ex art. 100 cod. proc. civ.) del debitore a richiedere ed ottenere il suo annullamento in sede giurisdizionale.

D'altra parte, la tutela del diritto di difesa del contribuente attraverso l'esercizio dell'impugnazione dell'atto impositivo (in special modo, se "atipico" rispetto all'elencazione dell'art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546) dinanzi al giudice tributario esige l'autosufficienza del suo contenuto sul piano della enunciazione (ancorché stringata) dei presupposti fattuali e delle ragioni giuridiche della pretesa impositiva, soprattutto quando (come, per l'appunto, nel caso di specie) si tratti del diniego di ammissione ad una definizione agevolata, non bastando a tal fine la mera indicazione dei debiti che risultano ancora iscritti a ruolo per l'esito negativo dell'istanza di condono.

In tal caso, quindi, acquisendo contezza delle pretese creditorie dell'amministrazione finanziaria attraverso la menzione fattane nel certificato in parola, il contribuente ha facoltà di far valere le proprie ragioni con l'impugnazione degli atti impositivi dinanzi al giudice tributario.

Per cui, non ha alcuna utilità sul piano pratico il riconoscimento di una tutela anticipatoria dinanzi al giudice tributario in relazione ad una certificazione dal contenuto generale ed onnicomprensivo, destinata a fornire un'informazione riassuntiva, in forma sintetica e riepilogativa, circa ogni tipologia di debito tributario a carico del contribuente, senza alcun diretto collegamento con gli atti e i provvedimenti che si inseriscono nella sequenza procedimentale per l'accertamento e la riscossione dei singoli tributi.

Ne deriva che il tenore stesso del documento in questione - anche per come è stato ora concepito dal legislatore - non garantisce il livello minimo di cognizione sulle singole pretese tributarie, che è indispensabile per l'esercizio del diritto di difesa dinanzi al giudice tributario.

1.8 La Commissione Tributaria Regionale di Roma - Sezione Staccata di Latina ha deciso in modo discordante da tale principio, affermando che «il contribuente, per tutelarsi, non aveva altra scelta che impugnare l'unico atto che lo portava a conoscenza di una pretesa tributaria (due cartelle di pagamento) di per se stessa impugnabile ai sensi dell'art. 19 D.Lgs. 546/92» e che «il contribuente non ha altra soluzione, per evitare che detta pretesa si vesta di una forma autoritativa, che ricorrere al giudice tributario per accertare se nella fattispecie trattasi di negligenza posta in essere dagli uffici finanziari tale da determinare conseguenze negative valutabili anche sul piano risarcitorio».

2. Pertanto, il ricorso deve essere accolto e l'impugnata decisione deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell'art. 384, comma 1, ultima parte, cod. proc. civ., con pronuncia di inammissibilità del ricorso originario della contribuente.

3. Possono essere compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio, tenuto conto dell'andamento del medesimo e della inesistenza di precedenti nella giurisprudenza di questa Corte sulle questioni trattate.

 

P.Q.M.

 

accoglie il primo motivo, dichiara l'assorbimento dei restanti motivi, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara l'inammissibilità del ricorso originario della contribuente; compensa le spese dell'intero giudizio.