Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 ottobre 2019, n. 26184

Tributi - TIA, TARES, TARI - Immobile destinato ad attività di logistica e servizi di stoccaggio merci - Produzione esclusivamente di rifiuti da imballaggi terziari - Smaltimento in via autonoma - Assimilazione ai rifiuti urbani - Esclusione - Intassabilità dell’area

 

Rilevato che

 

1. Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Milano la società N. a r.l. impugnava distinti avvisi di pagamento relativi alla TIA per gli anni 2011 e 2012, alla TARES per l’anno 2013 e alla TARI per l’anno 2014, emessi nei suoi confronti dal Comune di Garbagnate Milanese in relazione ad un immobile sito nel territorio comunale ove la società ricorrente svolge attività di logistica ovvero servizi di stoccaggio merci nonché di preparazione e spedizione degli ordini di merci per conto terzi.

A fondamento del ricorso la società deduceva che i rifiuti prodotti nell’immobile in questione sono costituiti esclusivamente da imballaggi terziari, i quali per legge non possono essere immessi nel circuito comunale di smaltimento e vengono tutti smaltiti privatamente dalla N. sostenendo i conseguenti esborsi: di qui l’intassabilità delle relative aree, residuando solo una superficie di mq 161,50 (su una estensione complessiva dello stabilimento pari a mq. 5.080, 57) nella quale vengono prodotti rifiuti assimilabili agli urbani, in quanto destinata ad uffici, servizi igienici, locali spogliatoio e ristorazione, e pertanto soggetta a tassazione.

Il Comune contestava le avverse pretese deducendo che, ai sensi di legge, erano state assoggettate a tassazione, negli avvisi di accertamento impugnati, esclusivamente le superfici dello stabilimento in cui erano stati prodotti rifiuti urbani e rifiuti assimilabili ai sensi dell’art. 21 del d.lgs n. 22 del 1997, mentre erano state esentate le superfici in cui venivano prodotti rifiuti non assimilabili (nello specifico, rifiuti derivanti da imballaggi terziari).

2. Con sentenza n. 742/47/15, la Commissione tributaria provinciale di Milano respingeva il ricorso sul rilievo che il Comune aveva assimilato i rifiuti speciali terziari ai rifiuti urbani e che anche per essi aveva avviato la raccolta differenziata, sicché il fatto che la società ricorrente provvedesse privatamente allo smaltimento di essi non la esonerava dal pagamento della tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani.

3. Avverso tale pronuncia proponeva appello la società soccombente sostenendo che, essendo i rifiuti prodotti nell’immobile costituiti esclusivamente da imballaggi terziari, per espressa disposizione di legge gli stessi non potevano essere immessi nel circuito comunale di smaltimento dei rifiuti, atteso che il comune poteva assimilare ai rifiuti urbani solo quelli primari e secondari e non i terziari; precisava altresì che, in coerenza con tale situazione, aveva presentato una autodichiarazione per una superficie tassabile di mq. 161, 50, nella quale venivano prodotti rifiuti assimilabili in quanto costituita da uffici e servizi.

Resisteva il Comune appellato precisando essere falso quanto affermato dal primo giudice circa l’assoggettamento a tassazione delle aree in cui venivano prodotti rifiuti qualificabili quali imballaggi terziari, essendo invece vero che esso Comune aveva individuato e delimitato tali aree (accertate per mq. 982,56) escludendole dalla tassazione.

4. Con sentenza n. 626/2016, depositata il 2/2/2016 e non notificata, la Commissione Tributaria regionale di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello e, per l’effetto, annullava gli atti impugnati dalla società contribuente, compensando le spese di lite.

5. Avverso tale sentenza il Comune di Garbagnate Milanese ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Resiste con controricorso la N. s.r.l., che ha depositato successiva memoria illustrativa.

 

Considerato che

 

1. Il primo motivo di ricorso e proposto "in relazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. per violatone e falsa applicazione di norme di diritto, e segnatamente dell’art. 132 n. 4 c.p.c., stante la mancata indicazione delle ragioni di fatto e di diritto fondanti la decisione, stante la natura meramente apparente ed incomprensibile della motivazione.

Inoltre, sempre in relazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e segnatamente dell’art. dell’art. 195, comma 2 lett. e) del d.lgs 152/2006, nonché della legge 27 dicembre 2013 n. 147, nonché dell’art. 63, comma 3, del d.lgs. n. 507/ 1993, nonché del comma 649 dell’art. 1 della legge n. 147/2013, laddove, annullandosi gli atti impositivi impugnati, si esonerano da tassazione i magazzini di N., ancorché non siano affatto magazzini di materie prime e prodotti finiti produttivi in via continuativa e prevalente, e di regola, di rifiuti speciali terziari non assimilabili.

Il motivo si articola in due diversi profili di censura.

In primo luogo il ricorrente lamenta che, sebbene esso Comune avesse espressamente eccepito che i depositi della N. non facevano parte del ciclo produttivo di rifiuti speciali, la sentenza impugnata avrebbe totalmente omesso di motivare la ragione per la quale ha ritenuto i magazzini di detta società esentabili da tassazione, essendosi limitata ad un mero richiamo ad una circolare ministeriale (la risoluzione 2/df emessa il 9/12/2014 dal Dipartimento delle Finanze) emessa in risposta ad uno specifico quesito riferito ad un caso concreto (aree di fatto adibite anch’esse a lavorazioni industriali) molto distante dalla realtà aziendale e modalità operativa della N. (nei cui locali destinati a deposito, secondo il ricorrente, "non vi è alcuna attività produttiva ma vengono utilizzati esclusivamente come stoccaggio di merci di qualsiasi tipo senza alcun tipo di differenziazione").

Con il secondo profilo di censura si sostiene che la detassazione è consentita solo per i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, come tali asserviti al ciclo produttivo che genera i rifiuti non assimilabili (art. 195, comma 2, lett. e, del d.lgs 152/2006), e solo ove la formazione di tali rifiuti avvenga "in via continuativa e prevalente" (l. n. 147/2013), ossia "di regola", come a sua volta prevede l’art. 63 comma 3, del d.lgs n. 507/1993). Inoltre, ai sensi del terzo periodo del comma 649 dell’alt. 1 della l. 147 del 2013, il divieto di assimilazione è previsto, ad avviso del ricorrente, quale conseguenza dell’individuazione operata dal regolamento comunale dei magazzini funzionalmente ed esclusivamente collegati all’esercizio delle attività produttive, sicché il divieto di assimilazione non opera ex se, ma solo se ed in quanto il Comune abbia disposto al riguardo. La sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con tali norme sulla tassazione delle aree produttive.

1.1. Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato, con riferimento ad entrambi i profili di censura.

La sentenza impugnata ha accolto il ricorso della contribuente, annullando gli atti impositivi impugnati, con la seguente motivazione: "...La legge ... non distingue i rifiuti speciali a seconda dell’area in cui siano prodotti... D’altronde il Dipartimento delle Finanze con la risoluzione 2/Df del 9 dicembre 2014 ha stabilito che i Comuni non hanno spazio in ordine al potere di assimilazione ove le superfici producano rifiuti speciali non assimilabili. Sulla base di questo principio ha concluso affermando che i magazzini intermedi di produzione e quelli adibiti a stoccaggio (oltre che le aree scoperte che danno luogo alla produzione in via continuativa e prevalente di rifiuti speciali non assimilabili, quando asservite al ciclo produttivo) vanno considerati in tassabili, in quanto produttivi di rifiuti speciali anche a prescindere dall’eventuale intervento di potestà regolamentare del Comune".

In primo luogo, osserva il Collegio che tale motivazione non solo è esistente sotto l’aspetto grafico, ma non è neppure meramente apparente, atteso che la CTR ha evidentemente ritenuto, condividendo la citata risoluzione ministeriale, che anche i magazzini intermedi di produzione e quelli adibiti a stoccaggio rientrino tra le superfici non tassabili in quanto nella specie anche essi produttivi di rifiuti speciali.

La diversa utilizzazione dei magazzini in questione da parte della N., sostenuta dal Comune ricorrente - affermando che nella specie le aree dei magazzini ritenuti tassabili non erano adibiti all’attività produttiva di rifiuti speciali, o comunque erano ad essa destinati in via solo marginale e non continuativa - attiene ad un accertamento di fatto implicitamente ma inequivocabilmente disatteso dalla CTR e non sindacabile in questa sede, atteso che comunque non incide sulla presenza della motivazione o sulla sua natura meramente apparente, ma al più sulla sua sufficienza.

Giova in proposito richiamare il principio secondo il quale la conformità della sentenza al modello di cui all'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. non richiede l'esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio posti a base della decisione o di quelli non ritenuti significativi, essendo sufficiente, al fine di soddisfare l'esigenza di un'adeguata motivazione, che il raggiunto convincimento risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l’iter seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo anche per implicito quelle logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., sez. 2, 12/04/2011, n. 8294, Rv. 617420 - 01).

In ogni caso, il primo profilo in cui si articola il motivo è inammissibile sia ove inteso quale violazione di legge per la dedotta natura meramente apparente della motivazione (come sembra desumibile dall’intitolazione del motivo), sia se considerato quale censura volta a far valere un vizio motivazionale (evocato da alcuni passaggi dell’illustrazione dello stesso motivo, in particolare ove si deduce che la sentenza avrebbe totalmente omesso di motivare la ragione per la quale i magazzini di Neologista sarebbero esentabili dalla tassazione, circostanza "decisiva e controversa": v. p. 15 del ricorso).

Quanto alla prima ipotesi, infatti, la censura, per essere ammissibile, avrebbe dovuto essere proposta ai sensi dell’art. 360 n. 4, c.p.c., e non della violazione di legge di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c., come nella specie; quanto alla seconda ipotesi, il vizio di motivazione avrebbe dovuto essere censurato ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e nei ristretti limiti consentiti dall’attuale formulazione di tale norma, censura quest’ultima neppure prospettato dalla ricorrente.

Deve infatti trovare applicazione il principio, cui il Collegio intende dare continuità, secondo il quale, in seguito alla riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ancorché i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all'obbligo di motivazione previsto in via generale dall'art. 111, comma 6, Cost. e, nel processo civile, dall'art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.: tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.. (Cass., sez. 3, 12/10/2017 n. 23940, Rv. 645828 - 01; Cass., sez. 6-3, 25/09/2018, n. 22598, llv. 650880 - 01).

Con particolare riferimento alla lamentata violazione dell’obbligo di motivazione - che, come sopra rilevato, si traduce in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e dà luogo a nullità della sentenza (cfr., tra molte, Cass., sez. 6-3, 25/09/2018, n. 22598, Rv. 650880 - 01; Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940, Rv. 645828 - 01) - dedotta dal Comune per essere meramente apparente la motivazione contenuta nella sentenza impugnata, va ulteriormente osservato che il ricorrente ha sussunto tale vizio nelle fattispecie di cui all'art. 360 n. 3 c.p.c., anziché in quella di cui al n. 4 del medesimo articolo, senza fare alcun riferimento alle conseguenze (nullità del procedimento e della sentenza) derivanti dall'errore sulla legge processuale. Ne deriva l’inammissibilità della censura, dovendo trovare applicazione il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui in questa ipotesi, pur non essendo indispensabile la formale ed esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al numero 4 del primo comma dell'art.360 c.p.c., è peraltro necessario che il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dal vizio denunciato, dovendosi reputare inammissibile il gravame che, come nella specie, si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. Sez. U, 24/07/2013, n.17931, Rv. 627268 - 01; v. anche Cass. 17/09/2013, n.21165, Rv. 628248 - 01, e, più recentemente, Cass. 28/09/2015, n. 19124; Cass., sez. 2, 07/05/2018, n. 10862, Rv. 648018 - 01).

Quanto al secondo profilo di censura, è anch’esso inammissibile in quanto, benché articolato quale violazione di legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., sostanzialmente mira ad un nuovo accertamento in ordine all’idoneità o meno dei locali di cui si discorre a produrre rifiuti speciali non assimilabili, atteso che, come già affermato da questa Corte, "lo stabilire se determinati locali di uno stesso edificio, benché destinati ad uffici, depositi, mostre ecc. e non propriamente all'attività produttiva, siano parimenti idonei a produrre "rifiuti speciali", costituisce appressamento di fatto riservato al giudice di merito (cfr. Cass., sez. 1, 17/02/1996, n. 1242, Rv. 495894 - 01; Cass., sez. 5, 11/08/2004, n.15517, Rv. 575360 - 01)).

2. Il secondo motivo di ricorso è proposto "in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, e segnatamente circa l’esistenza, pacifica in causa, di un accordo tra le parti avente ad oggetto la determinazione della superficie tassabile.

In via gradata, in relazione altresì al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, e segnatamente dell’art. 115 c.p.c., per non avere il Giudice posto a fondamento della propria decisione tale accordo, patto non contestato.

Il Comune ricorrente si duole, sotto il duplice profilo del vizio di motivazione e della violazione dell’art. 115 c.p.c., che la sentenza impugnata non abbia tenuto conto della circostanza, eccepita dallo stesso Comune nelle controdeduzioni depositate sia nel primo che nel secondo grado di giudizio, che in data 2/8/2011 era stato sottoscritto tra le parti un atto di conciliazione giudiziale al fine di concludere le controversie pendenti tra le stesse parti sui pagamenti TARSU e TIA relativi ad anni impositivi diversi da quelli oggetto del presente giudizio: in tale accordo, per quanto qui rileva, le parti convenivano "la determinatone della supe fide soggetta a TABSU-TIA del contribuente in mq 3.949, definitivamente stabilita per l'immobile con riferimento agli anni oggetto della presente transazione, sito in Garbagnate Milanese, via XX settembre n. 30, al netto della parte sulla quale vengono prodotti rifiuti non assimilabili agli urbani, come rilevati dal l’Ufficio ecologico del Comune.

L’esistenza di tale accordo, aggiunge il ricorrente, non era mai stata contestata né smentita dalla N. s.r.l., e costituiva pertanto un fatto pacifico ai sensi dell’art. 115 c.p.c.

2.1. Il motivo è infondato con riferimento ad entrambi i profili di censura in cui si articola.

Quanto alla doglianza prospettata ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis), va osservato che tale vizio attiene all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., sez. 2, 29/10/2018, n. 27415, Rv. 651028 - 01).

Nella specie, pur risultando dagli atti ed essendo incontroverso che tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e pur mancando qualsiasi riferimento ad esso nella sentenza impugnata, la doglianza risulta infondata per mancanza del necessario requisito della decisività del medesimo fatto.

Invero, come ammesso dallo stesso ricorrente e come eccepito dalla controricorrente, il "fatto", ossia la conciliazione giudiziale, il cui esame è stato omesso dalla sentenza impugnata riguardava anni impositivi diversi da quelli oggetto del presente giudizio; da tale constatazione discende la non decisività della conciliazione in questione ai fini del presente giudizio, non essendo la stessa vincolante tra le parti per gli anni d’imposta diversi da quelli in essa contemplati e oggetto di controversie all’epoca pendenti tra le medesime parti.

Né rileva, al fine di integrare il vizio di cui al citato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omessa considerazione da parte della CTR della menzionata conciliazione quale elemento probatorio per determinare le superfici dell’immobile della N. assoggettabili a tassazione, atteso che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. 2, 29/10/2018, n. 27415, cit.): nella specie, il fatto storico rilevante, ossia la circostanza che i magazzini della N. siano o meno produttivi di rifiuti speciali per l’intera superficie (esclusa la parte di mq 161,50 destinata ad uffici e servizi) è stata comunque valutata nella sentenza impugnata.

Per le stesse ragioni risulta infondata la doglianza formulata ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per violazione dell’art. 115 c.p.c.: invero, la circostanza che il fatto dell’intervenuta conciliazione giudiziale tra le parti non sia stata contestata dalla N. è irrilevante, trattandosi di fatto che, come già osservato, è ininfluente ai fini della decisione.

Peraltro, la violazione dell’art. 115 c.p.c. (così come quella dell’art. 116 c.p.c.) non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali ed è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'art. 360, comma 1, numero 5, c.p.c.(Cass., sez. 2, 30/11/2016, n. 24434, Rv. 642202 - 01; Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940, Rv. 645828 - 02).

3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

Poiché il presente ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed é rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 13, comma 1 -qutater, del d. P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.

 

P.Q.M.

 

- rigetta il ricorso;

- condanna il ricorrente a pagare alla controparte le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €. 5.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.