Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 luglio 2021, n. 21857

Tributi - Accertamento - Reddito di impresa o di lavoro autonomo - Costi - Deducibilità - Onere di prova a carico del contribuente - Esistenza ed inerenza all'attività svolta e alla formazione del relativo reddito

Rilevato che

V.A. - esercente l'attività di perito industriale - proponeva ricorso avverso avviso di accertamento recante rettifica della dichiarazione dei redditi, per l'anno 2005, ai fini Irpef, Irap ed Iva, avviso che faceva seguito a processo verbale della G. di F.

L'atto impositivo - si legge nella sentenza impugnata - traeva origine "dal fatto che in sede di accesso presso la sede dove svolgeva la sua attività non aveva esibito la documentazione contabile ed in particolare, poiché era all'estero, dichiarava che la citata documentazione era custodita dal consulente il quale, interpellato, dichiarava di non essere mai stato depositario delle scritture. Tuttavia la documentazione non è mai stata esibita e da ricerche effettuate dall'ufficio è stata rinvenuta frammentaria documentazione dell'attività svolta in proprio e come impresa individuale I.P. ed in particolare veniva disconosciuta la deducibilità dei costi perché privi di inerenza. Va precisato anche che a seguito di istanza per adesione ometteva di presentarsi."

Il contribuente eccepiva la "illegittimità dell'attività ispettiva in quanto si sarebbe svolta in un luogo diverso da quello dovuto" e l'infondatezza nel merito della pretesa fiscale; resisteva l'Ufficio; la CTP di Latina rigettava il ricorso.

Tale sentenza era gravata di appello da parte del contribuente, il quale ribadiva l'illegittimità dell'avviso in quanto l'accesso della G. di F. era avvenuto in assenza dell'autorizzazione della Procura della Repubblica e, nel merito, la deducibilità dei costi.

Nel contraddittorio tra le parti, la CTR pronunciava la sopra menzionata sentenza con la quale rigettava l'appello.

Per la cassazione di tale sentenza, il contribuente propone ricorso - illustrato da memoria- al quale resiste con controricorso l'Agenzia delle Entrate.

 

Considerato che

 

Il ricorso consta di due motivi che recano: 1) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 12 dello Statuto del contribuente (legge 27.7.2000 n. 212)"; 2) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 32 del DPR n. 600/73 in relazione all'art. 53 della Costituzione in ordine alla capacità contributiva.".

Con il primo motivo, il ricorrente rinnova la doglianza in ordine alla illegittimità dell'attività posta in essere dalla G. di F. che ha effettuato l'accesso summenzionato presso la sede della società "S.I. srl", di cui egli era dipendente; precisava, al riguardo, che fino al 2006 aveva svolto attività di intermediazione, con rituale partita Iva, dichiarando i propri redditi nel quadro G del modello UNICO; dal 2007, con partita Iva da professionista, aveva dato avvio all'attività di perito industriale, avente sede nel medesimo fabbricato e in un altro ufficio. Gli operatori intervenuti hanno posto in essere -continua l'assunto del ricorrente- una attività illegittima effettuando un accesso per la verifica di una partita Iva chiusa (l'atto impositivo per cui è causa è stato notificato il 3.9.2008) e presso la sede di una società della quale il contribuente era un dipendente, senza tenere conto del fatto che, essendo tale sede promiscua (società - libero professionista), sarebbe stata necessaria l'autorizzazione della autorità giudiziaria, autorizzazione necessaria anche per l'apertura dei cassetti della scrivania in uso al V., quale dipendente, e per il controllo del computer rinvenuto in sede di accesso: sottolinea, in particolare, il ricorrente come tale illegittima attività trovi riscontro al foglio 2 del PVC (documentazione fiscale, dichiarazione dei redditi, modelli F24), mentre al successivo foglio 3 si legge testualmente "....inoltre è stato visionato il contenuto del PC ritrovato sulla scrivania del V.A. i cui files non sono di interesse operativo".

- La parte della sentenza impugnata interessata dall'illustrato motivo è la seguente: "...si deve ritenere non immune da censure la ripetuta eccezione sulla mancata autorizzazione all'accesso della G. di F., da parte della Procura, in quanto tale autorizzazione necessita esclusivamente nei casi di accesso ad abitazione privata o in caso di accessi non adibiti all'esercizio dell'attività. Nel caso de quo, invece, l'accesso si è svolto nei locali in cui il ricorrente svolgeva la sua attività e pertanto l'autorizzazione non necessitava"

- Il motivo non è accoglibile per plurime ragioni.

- Sotto un primo profilo, si osserva che la verifica è immune da censure atteso che -per come correttamente evidenziato dalla CTR ed in linea con una consolidata interpretazione della Corte, alla quale la presente decisione intende dare continuità (ex multis, cfr. Cass. n. 10275/2019)- essa non ha interessato la privata dimora del contribuente ma locali nei quali lo stesso svolgeva la propria attività.

- Sotto altro aspetto, la censura svolta dal ricorrente in punto di assenza della autorizzazione -con riguardo all'apertura dei cassetti della scrivania in uso al contribuente- da parte dell'autorità giudiziaria è connotata dal carattere della novità, in quanto prospettata per prima volta nella presente sede.

- Quanto alla lamentata presa visione del computer del contribuente, si rileva la carenza di interesse da parte del V., atteso che nello stesso PVC i files riferibili al predetto computer sono qualificati "non....di interesse operativo".

- Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la CTR riconosciuto "giusti i ricavi dichiarati disconoscendo però completamente i costi dichiarati a fronte di tali ricavi solo perché documentati con fatture emesse da soggetti che hanno successivamente cessato la propria attività".

Il motivo è infondato.

Invero, in tema di accertamento -come nella specie- ai sensi dell'art. 32 DPR 600/73, incombe sul contribuente l'onere della prova in ordine ai fatti  che danno luogo a costi deducibili, con specifico riguardo alla esistenza ed inerenza di tali fatti e alla loro diretta riferibilità all'attività svolta e alla formazione del relativo reddito. Ancora nella presente sede, il contribuente si è limitato a riproporre le generiche argomentazioni svolte nella fase del merito, senza recare prova alcuna a sostegno delle medesime.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 4mila oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del DPR n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.