Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 febbraio 2021, n. 4778

Tributi - IRPEF - Proventi derivanti da fatti illeciti - Appropriazione indebita di somme gestite in qualità di amministratore di sostegno - Imponibilità - Contenzioso - Mancata osservanza del termine dilatorio per il contraddittorio endo-procedimentale - Illegittimità dell’avviso di accertamento

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza 186, depositata in data 22 gennaio 2018, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna ha rigettato l'appello principale proposto da B.S. e quello incidentale dell'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Modena, che aveva parzialmente accolto il ricorso del contribuente contro l'avviso di accertamento per II. DD. e IVA 2010, emesso a seguito del recupero a tassazione di redditi ritenuti provenienti da reato, in quanto percepiti dal B. nella sua qualità di amministratore di sostegno.

2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle entrate deducendo un unico motivo.

3. Il contribuente ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale affidato a tre motivi.

 

Considerato che

 

1. Con l'unico motivo di ricorso - formulato ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. - l'Agenzia delle Entrate deduce la violazione e la falsa applicazione dell'art. 14, comma 4, della legge n. 537 del 1993, per aver la CTR ritenuto non necessario prendere posizione sull'appropriazione da parte del contribuente di ricchezze dei propri assistiti in sede di esercizio dell'amministrazione di sostegno, ritenendo di condividere la decisione dei giudici di prime cure, secondo cui la questione sarebbe stata priva di interesse, in quanto avente a oggetto somme non imponibili, in quanto la previsione di legge citata si riferirebbe solo all'attività economica produttiva di nuova ricchezza, mentre nel caso in esame le ricchezze erano già state tassate presso le vittime;

2. Il ricorso incidentale del B. è affidato a tre motivi:

a. Il primo motivo - dedotto ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. - lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 149, comma 3, cod. proc. civ., per aver la CTR affermato che l'avviso di accertamento non spiega effetto nei confronti del contribuente e rimane nella sfera interna dell'amministrazione finché non portato a conoscenza del notificato e, dunque, per aver erroneamente considerato legittimo l'avviso ai sensi dell'art. 12, comma 7, della Legge n. 212 del 2000;

b. Il secondo motivo - dedotto ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. - lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, per il mancato rispetto del termine dilatorio di rispetto del contraddittorio endo-procedimentale, essendo stato l'avviso impugnato notificato nel rispetto dei 60 giorni, ma firmato dal responsabile amministrativo prima di tale termine;

c. Il terzo motivo - ex art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. - censura l'omessa statuizione della CTR che ha ritenuto, in dipendenza dell'affermata non imponibilità delle somme oggetto di contestazione in quanto già tassate presso le presunte vittime, assorbita la questione secondo cui l'atto impositivo non distinguerebbe - ai fini dell'illegittima duplicazione dell'imposizione - i componenti positivi di reddito rinvenibili nel quaderno extracontabile reperito presso il contribuente, da quelli emergenti da indagini finanziarie e dalle presunte appropriazioni indebite;

3. Il ricorso principale e il terzo motivo di ricorso incidentale che, stante la loro stretta connessione, possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati. La Corte reitera il condivisibile insegnamento già espresso secondo cui «In tema di imposte sui redditi, i proventi derivanti da fatti illeciti, rientranti nelle categorie reddituali di cui all'art. 6, comma primo, del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, devono essere assoggettati a tassazione anche se il contribuente è stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati» (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7511 del 05/06/2000); «In tema di imposte sui redditi, l'art. 14, quarto comma, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, laddove stabilisce che nelle categorie di reddito di cui all'art. 6, primo comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi ricompresi i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo, costituisce non soltanto interpretazione autentica della normativa contenuta nel d.P.R. n. 917 del 1986, ma anche criterio ermeneutico decisivo per giungere ad identica conclusione con riguardo alla previgente disciplina degli artt. 1 e 6 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, attesa la sostanziale identità della disciplina in ordine alla determinazione dei presupposti della tassazione. Ne consegue che il c.d. pretium sceleris si deve considerare come reddito imponibile (anche nel vigore del d.P.R. n. 597 del 1973), e ciò pure se il contribuente sia stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni cagionati» (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21746 del 09/11/2005); «In tema di imposte sui redditi, l'art. 14, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 - laddove stabilisce che nelle categorie di reddito di cui all'art. 6, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, devono intendersi compresi, se in esse classificabili, i proventi derivati da atti o da fatti qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo, se non già sottoposti a sequestro o confisca penale - trova applicazione anche alle somme percepite da soggetti che si siano prestati, in base ad accordi precedentemente intercorsi, a riversare dette somme a terzi a titolo di "tangente", essendo del tutto irrilevante, quanto all'imponibilità di tale tipo di reddito, l'intenzione di non trattenerle nel proprio esclusivo interesse, bensì di trasmetterle a terzi in base ai suddetti accordi» (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1058 del 18/01/2008);

4. Posto che la previsione di legge invocata non distingue tra nuova ricchezza prodotta dal reato e ricchezza tout court, precedentemente tassata presso la persona offesa, i principi giurisprudenziali sopra richiamati, consolidati, affermano chiaramente l'assoggettamento a tassazione del pretium sceleris - e dunque anche delle ricchezze di cui si sia indebitamente appropriato l'amministratore di sostegno nel caso di specie. E ciò in quanto tali somme costituiscono reddito imponibile, senza che sussista alcuna lesione dell'art. 53 della Costituzione, anche se il contribuente è stato condannato alla restituzione delle somme illecitamente incassate ed al risarcimento dei danni, o se in capo all'autore del reato sussisteva l'intenzione di non trattenere le ricchezze percepite nel proprio patrimonio, ma di riversarle su terzi. Conseguentemente, per le medesime ragioni trova accoglimento per le medesime ragioni anche il terzo motivo di ricorso incidentale, in quanto la questione della mancata distinzione tra i componenti positivi di reddito rinvenibili nel quaderno extracontabile reperito presso il contribuente, da quelli emergenti da indagini finanziarie e dalle presunte appropriazioni indebite doveva essere affrontata, alla luce dei principi di diritto sopra richiamati, e non poteva dirsi assorbita.

5. Il primo e il secondo motivo di ricorso incidentale, che in quanto connessi possono parimenti essere congiuntamente esaminati, sono fondati. Va ricordato l'orientamento prevalente e ormai da ritenersi consolidato secondo cui «In tema di accertamento, l'atto impositivo sottoscritto dal funzionario dell'ufficio in data anteriore alla scadenza del termine di cui all'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, ancorché notificato successivamente alla sua scadenza, è illegittimo, atteso che la norma tende a garantire il contraddittorio procedimentale consentendo al contribuente di far valere le sue ragioni quando l'atto impositivo è ancora in fieri, integrando, viceversa la notificazione una mera condizione di efficacia dell'atto amministrativo ormai perfetto e, quindi, già emanato» (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 17202 del 12/07/2017; conforme, Cass. Sez. 5, Il Sentenza n. 20267 del 31/07/2018). A tale orientamento va data continuità anche nel caso di specie, non essendovi ragioni per distinguere la presente fattispecie da quelle ivi decise.

6. La sentenza impugnata va quindi cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia-Romagna, in diversa composizione, che provvederà altresì a liquidare le spese di lite del presente grado di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso principale e il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia le parti, in relazione ai profili accolti, innanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia-Romagna, in diversa composizione, che provvederà altresì a liquidare le spese di lite del presente grado di giudizio.