Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 gennaio 2023, n. 2517

Lavoro - Infortunio - Responsabilità della subcommittente che abbia predisposto il piano di sicurezza relativo alle specifiche operazioni oggetto di subappalto per l’infortunio occorso a un dipendente della subappaltatrice - Ruolo di garanzia della subcommittente in ordine alla sicurezza dei lavoratori della subappaltatrice - Prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili - Obbligo di cooperazione - Accoglimento

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 20 novembre 2019, la Corte d'appello di Lecce, sez. dist. di Taranto, ha rigettato l’appello di G.C. avverso la sentenza di primo grado, di reiezione delle sue domande di condanna risarcitoria, per danni biologico e morale conseguenti all’infortunio occorsogli il 2 luglio 2007, quale operaio carpentiere dipendente di T. s.r.l. (subappaltatrice di P. s.p.a., incaricata da I. s.p.a. di lavori presso il suo stabilimento di Taranto), poi fallita, nei confronti della subcommittente e nel contraddittorio con Z.I.C.L.C., assicuratrice chiamata in garanzia da questa.

2. Come già il Tribunale, la Corte territoriale ha negato la responsabilità, ai sensi dell’art. 7 legge n. 626/1994 (ndr art. 7 d.lgs. n. 626/1994), della società convenuta appellata.

Essa ha, infatti, ritenuto esclusivamente responsabile dell’evento (rovesciamento di una delle travi, precariamente appoggiata sul terreno dal lato corto e in posizione verticale, con caduta sulla gamba del lavoratore, intento all’operazione di spruzzatura della sabbia su di essa) la subappaltatrice, sua datrice di lavoro, cui era stata affidata in custodia un’area recintata all’interno dello stabilimento, di proprietà di I. s.p.a., senza che P. s.p.a. ne avesse alcuna disponibilità; pure in assenza, da parte di questa, di alcun potere di controllo, né di adozione di misure di sicurezza od obbligo di informazione al riguardo, tanto meno di direzione operativa della subcommittente.

3. Entrambe le Corti di merito hanno accertato l’esecuzione delle operazioni di sabbiatura e verniciatura delle travi in ferro (per le quali hanno ritenuto avere T. s.r.l. esperienza professionale, dotazione di mezzi e di attrezzature e agire essa in completa autonomia) con una procedura errata di posatura delle travi medesime sul terreno, non livellato né pulito dopo ogni operazione, senza uno stabile appoggio ed anzi in posizione verticale di precario equilibrio, senza neppure essere fissate su cavalletti (in numero insufficiente per tante travi da lavorare), anche per velocizzare i tempi.

4. La Corte tarantina ha ribadito pertanto l’inesistenza di alcuna responsabilità di P. s.p.a., limitatasi a scaricare le travi in posizione verticale senza fissarle, perché fossero poi sabbiate e verniciate da T. s.r.l.: escludendola pure sotto il profilo dell’obbligo della prima di dover conoscere le modalità operative della seconda, né tanto meno avendone “consapevolmente tollerato” le omissioni nell’adozione di adeguate misure di sicurezza.

5. Con atto notificato il 23 gennaio 2020, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui P. s.p.a. e Z.I.P.L.C. hanno resistito con distinti controricorsi.

6. La causa, inizialmente fissata per la decisione in adunanza a norma dell’art. 380bis c.p.c., con comunicazione di memorie tra le parti, è stata quindi rinviata, con ordinanza 22 luglio 2021 ai sensi dell’art. 380bis, ultimo comma c.p.c., per la fissazione in pubblica udienza, atteso il rilievo nomofilattico dei profili di diritto posti dal ricorso, in particolare riferimento ad un’interpretazione degli artt. 7 d.lgs. 626/1994 e 8 d.lgs. 494/1996 coerente con i precetti europei e alla eventuale necessità di rimettere la questione alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., con relativa istanza di rinvio pregiudiziale del ricorrente in memoria ai sensi dell’art. 380bis, secondo comma c.p.c.

7. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso del rinvio pregiudiziale della questione di diritto alla CGUE ai sensi dell’art. 267 TFUE.

8. Il ricorrente e Z.I.P.L.C. hanno comunicato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c. e il P.G. all’odierna udienza di discussione ha concluso per l’accoglimento del ricorso e solo in subordine per il rinvio pregiudiziale alla CGUE ai sensi dell’art. 267 TFUE.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6, secondo comma, 12, 5, primo comma, lett. a), c) d.lgs. 494/1996, 7 d.lgs. 626/1994, per erronea esclusione del ruolo di garanzia della subcommittente in ordine alla sicurezza dei lavoratori della subappaltatrice, in relazione alla corretta applicazione delle procedure operative, comportate dalla sabbiatura e verniciatura della carpenteria metallica, tra cui travi metalliche del peso di due o tre tonnellate, nell’ambito di un appalto principale commesso da I. s.p.a. a P. s.p.a., verso il corrispettivo € 1.000.000,00, per l’ammodernamento di un impianto siderurgico nello stabilimento della prima in Taranto.

In particolare, egli deduce: la predisposizione, da parte della subappaltatrice, del Piano di Sicurezza e Coordinamento (P.S.C.), congruente con il rischio di caduta delle travi metalliche in lavorazione, “specie in relazione al luogo e alle modalità di esecuzione”; il suo obbligo di verifica della congruenza del Piano Operativo di Sicurezza (P.O.S.), di dettaglio del primo, neppure essendone state menzionate le prescrizioni e comunque generico; l’esistenza di un obbligo di cooperazione e di coordinamento delle attività tra imprenditori compresenti, coinvolti nell’esecuzione della medesima opera, in particolare relativo, nel caso di specie, alle modalità di esecuzione della sabbiatura delle travi, all’idoneità dei cavalletti presenti in cantiere come basamenti, in funzione della sicurezza degli operai.

2. Con il secondo, il ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, 112 c.p.c. e violazione e falsa applicazione dell’art. 7 d.lgs. 626/1994, per non avere la Corte territoriale illustrato, neppure in via riassuntiva, né adeguatamente scrutinato il motivo di appello sulla violazione dell’art. 7 d.lgs. 626/1994, senza motivarne l’inapplicabilità alla fattispecie anche in via analogica, né esaminare l’argomentazione relativa alla configurazione di una doverosa ingerenza della subcommittente nel lavoro subappaltato; avendola essa invece esclusa, così negando la posizione di garanzia della subappaltatrice nei confronti del lavoratore.

Inoltre, egli deduce la mancata sussunzione della fattispecie nella regola presidiata dalla norma denunciata alla stregua di error in iudicando, anche in via analogica, per la sua previsione, di esonero del subappaltante di una parte dell’opera dagli obblighi di protezione dei lavoratori del subappaltatore, soltanto nel caso di completa autonomia: non ricorrente nel caso di specie, per la stretta integrazione operativa dei due imprenditori compresenti in loco e la finalizzazione delle rispettive attività al medesimo scopo.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 8, primo comma, lett. g) d.lgs. 494/1996, 3 d.lgs. 626/1994, in riferimento agli artt. 2043, 2087 c.c., per avere la Corte tarantina erroneamente escluso la cooperazione tra subcommittente e subappaltatrice – impegnate nella realizzazione della medesima opera in un’area all’interno dello stabilimento siderurgico della committente principale – in relazione all’obbligo di osservanza delle misure generali per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori.

4. Con il quarto, egli denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia della Corte territoriale in ordine alla censura della sentenza del Tribunale di non adeguata considerazione del fatto relativo alla totale inadeguatezza e antigiuridicità del P.O.S. adottato da T. s.r.l. e consegnato a P. s.p.a., in base alla previsione del contratto di subappalto, quale elemento fondante la responsabilità della seconda nella causazione del sinistro oggetto dell’odierna richiesta risarcitoria.

5. I motivi, strettamente connessi e pertanto congiuntamente esaminabili, sono fondati.

6. In via di premessa, deve essere affermata, in risposta alla memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. di Z.I.P.L.C., l’irrilevanza della formulazione dell’istanza di rinvio pregiudiziale, a norma dell’art. 267 T.F.U.E., da parte del lavoratore nella sua memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.

Ed infatti, la Corte di Cassazione ha il potere, e se del caso il dovere, quale giudice di ultima istanza, di rimettere la questione alla CGUE in via officiosa (CGUE 8 marzo 2012, in C-251/11, Huet, p.to 23; CGUE 21 febbraio 2013, in C-561/11, Féderation Cynologique Internationale, p.to 30 in motivazione), anche in riferimento alle disposizioni del d.lgs. 464/1996 (in quanto norme di diritto riguardanti una questione in fatto, oggetto del dibattito processuale tra le parti).

7. La questione di diritto devoluta a questa Corte consiste nella configurabilità di una responsabilità – ai sensi degli artt. 1655, 1656, 1676, 2087 c.c., 7 d.lgs. 626/1994, 3, 4, 5, 8, primo comma, lett. a), 12 d.lgs. 494/96, della subcommittente, che abbia predisposto il piano di sicurezza (in allegato sub F fasc. Cassazione e sub 15 fasc. Tribunale) relativo alle specifiche operazioni oggetto di subappalto (in allegato sub G fasc. Cassazione e sub 3 fasc. Tribunale) e titolare del potere direttivo (come previsto in detto contratto di subappalto) – per l’infortunio occorso a un dipendente della subappaltatrice, nell’esecuzione delle operazioni di sabbiatura e di verniciatura delle travi in ferro (oggetto di subappalto, quale quota parte del più ampio contratto di appalto commesso da I. s.p.a. alla subcommittente, relativo a lavori di ammodernamento di impianti, consistenti nella progettazione di travi metalliche e nella loro sabbiatura e pitturazione), senza appoggio stabile su solidi basamenti, o comunque fissate a cavalletti in ferro, addirittura in posizione verticale, poggiate sul terreno sul lato corto. Per giunta, con aggravamento dell’instabilità per la natura del terreno di appoggio, sporco della sabbia delle precedenti operazioni della giornata e non livellato né pulito dopo ogni operazione, secondo una modalità stabilita dalla datrice subappaltatrice, non risultata lavorare sotto stretta direttiva della subcommittente: limitatasi al trasporto con gru e alla consegna delle travi nel cantiere della prima, in area affidata alla sua custodia, all’interno di una più grande assegnatale unilateralmente da I. s.p.a.

8. In funzione della valutazione di un previo accesso obbligatorio, per la soluzione della questione in conformità con i principi del diritto dell’Unione Europea, alla Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., è necessario individuare, dapprima, le norme nazionali specificamente rilevanti e, quindi, la normativa europea di riferimento.

Le prime sono, in particolare:

1) l’art. 7 d.lgs. 626/94, secondo cui: “Il datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi: a) verifica, anche attraverso l'iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, l'idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d'opera; b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività” (primo comma).

“Nell'ipotesi di cui al primo comma i datori di lavoro: a) cooperano all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell'esecuzione dell'opera complessiva” (secondo comma).

“Il datore di lavoro promuove il coordinamento di cui al secondo comma, lettera b). Tale obbligo non si estende ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi” (terzo comma).

2) l’art. 8 d.lgs. 494/1996 (Attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), secondo cui, per quanto qui interessa: “I datori di lavoro, durante l'esecuzione dell'opera, osservano le misure generali di tutela di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 626/1994, e curano, in particolare: … g) la cooperazione tra datori di lavoro e lavoratori autonomi … ”.

8.1. La normativa europea di riferimento, ai medesimi fini, è la seguente:

1) l’art. 6, par. 4 della Direttiva 89/197/CEE (attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro), secondo cui: “Fatte salve le altre disposizioni della presente direttiva, quando in uno stesso luogo di lavoro sono presenti i lavoratori di più imprese, i datori di lavoro devono cooperare all'attuazione delle disposizioni relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute, e, tenuto conto della natura delle attività, coordinare i metodi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, informarsi reciprocamente circa questi rischi e informarne i propri lavoratori e/o i loro rappresentanti”.

2) l’art. 2 (definizioni) della Direttiva 92/57/CEE (prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), secondo cui: “Ai sensi della presente direttiva si intende per: a) cantiere temporaneo o mobile … : qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di genio civile il cui elenco non esauriente è riportato all'allegato I; b) committente: qualsiasi persona fisica o giuridica per conto della quale l'opera viene realizzata”;

3) l’art. 8 (applicazione dell'articolo 6 della direttiva 89/391/CEE) della stessa Direttiva, secondo cui, per quanto interessa: “Durante la realizzazione dell'opera vengono applicati i principi di cui all'articolo 6 della direttiva 89/391/CEE, segnatamente per quanto riguarda: … i) la cooperazione tra i datori di lavoro ed i lavoratori autonomi; j) le interazioni con le attività che avvengono sul luogo all'interno o in prossimità del quale è situato il cantiere”.

8.2. L’istanza di rinvio pregiudiziale del ricorrente alla Corte di Giustizia U.E., ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., si articola nei due seguenti quesiti:

a) “se l’art. 6, par. 4 della Direttiva 89/197/CEE e l’art. 31, p.to 1 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, in riferimento alla locuzione normativa “stesso luogo di lavoro” in cui “sono presenti i lavoratori di più imprese, i datori di lavoro devono cooperare all'attuazione delle disposizioni relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute, e, tenuto conto della natura delle attività, coordinare i metodi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, informarsi reciprocamente circa questi rischi e informarne i propri lavoratori e/o i loro rappresentanti”, debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni nazionali in base alle quali non rientrino nei “datori di lavoro”, tenuti ai suddetti obblighi, anche il (sub)committente e il (sub)appaltatore”;

b) “se l’art. 8 della Direttiva 92/57/CEE, in riferimento alla nozione di “realizzazione dell'opera” cui “vengono applicati i principi di cui all'articolo 6 della direttiva 89/391/CEE, segnatamente … i) la cooperazione tra i datori di lavoro ed i lavoratori autonomi; j) le interazioni con le attività che avvengono sul luogo all'interno o in prossimità del quale è situato il cantiere”, in combinata disposizione con l’art. 2 della stessa Direttiva, in riferimento alla nozione di “cantiere temporaneo o mobile” da intendere come “qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di genio civile”, debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni nazionali in base alle quali non rientri il contesto di un cantiere funzionalmente unitario, in quanto spazio di proprietà della committente principale destinato alla Corte di Cassazione - copia non ufficiale realizzazione di un’unica opera appaltata ad impresa, che a propria volta ne abbia subappaltato ad altra una minore quota parte”.

9. Tanto premesso, occorre dire che anche questa Corte, in quanto organo di vertice dell’ordinamento giurisdizionale nazionale – al pari degli altri giudici nazionali in base al rapporto tra il secondo e il terzo comma dell’art. 267 T.F.U.E. – ha facoltà di “astenersi dal sottoporre alla CGUE una questione di interpretazione del diritto dell’Unione e di risolverla sotto la propria responsabilità, qualora l’interpretazione corretta del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar adito a ragionevoli dubbi … e che la stessa evidenza si imporrebbe altresì ai giudici di ultima istanza degli altri Stati membri e alla Corte” (CGUE 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management, in causa C-561/2019, p.ti da 39 a 47 in motivazione). Sicché, non ricorre l’obbligo di disporre un rinvio pregiudiziale, qualora si sia in presenza di un acte clair secondo la suddetta interpretazione (ripresa anche da: Cass. 15 dicembre 2022, n. 36776, p.to 3.7 in motivazione): da intendere tale per tutti i giudici dell’Unione, secondo una lettura ragionevole della sentenza della CGUE da ultimo citata.

10. Ed infatti, le locuzioni normative oggetto dei due quesiti del rinvio pregiudiziale prospettato, illustrato sub a) e b) del p.to 8.2 (a. “stesso luogo di lavoro” in cui “sono presenti i lavoratori di più imprese, i datori di lavoro” che “devono cooperare all'attuazione delle disposizioni relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute, e, tenuto conto della natura delle attività, coordinare i metodi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, informarsi reciprocamente circa questi rischi e informarne i propri lavoratori e/o i loro rappresentanti”; 2. “realizzazione dell'opera” cui “vengono applicati i principi di cui all'articolo 6 della direttiva 89/391/CEE, segnatamente … ”), appaiono chiare nella loro designazione:

a) di un obbligo di cooperazione e di coordinamento, previa una reciproca informazione sui rischi professionali, da parte dei “datori di lavoro”: per tali da intendere non soltanto coloro che, nella gestione della propria impresa, esercitino un potere gerarchico di direzione, controllo e disciplinare su dipendenti e collaboratori, a norma degli artt. 2086 e 2094 c.c., ma tutti gli imprenditori, che, per legge o per contratto, abbiano un tale obbligo;

b) nei confronti di “lavoratori di più imprese”, evidentemente diverse anche dalla propria;

c) che siano “presenti” in uno “stesso luogo di lavoro”: da intendere, non già in un rigoroso ambito endo-aziendale (ossia di quel complesso dei beni organizzati dall’imprenditore, veicolo di esercizio dell’attività dell’impresa, ai sensi dell’art. 2555 c.c., da parte del suo titolare), che neppure avrebbe senso nella modulazione del testo letterale né nella ratio dell’art. 6, par. 4 della Direttiva 89/197/CEE, bensì in quello di una “compresenza” organizzata e coordinata (di lavoratori di più imprese, nel senso detto) in un “luogo” individuato come medesimo dal “lavoro” (in uno “stesso luogo di lavoro”), corrispondente alla finalità di “realizzazione dell’opera” (quella appunto prevista dall’art. 8 della Direttiva 92/57/CEE) e, quindi, di una compartecipazione attiva dei predetti lavoratori ad essa (edilizia o di genio civile), sinergicamente orientata al medesimo scopo produttivo, nell’ambito di un’identità locale in senso funzionale, non astratto (ma neppure ridotto ad una stretta contiguità fisica), da accertare di volta in volta secondo le concrete modalità operative del procedimento di “realizzazione dell’opera” (anche tenendo conto delle interazioni con le attività che avvengono sul luogo all'interno o in prossimità del quale è situato il cantiere”: art. 8, lett. j) della Direttiva 92/57/CEE): tali da radicare un’obiettiva responsabilità informativa, di protezione e di prevenzione dei rischi professionali in capo ai soggetti “datori di lavoro”, nel senso detto, che effettivamente vi siano tenuti, così che essa non trasmodi in una responsabilità oggettiva.

Non ci sono ragioni che possano far dubitare “che la stessa evidenza si imporrebbe altresì ai giudici di ultima istanza degli altri Stati membri e alla Corte” (CGUE 6 ottobre 2021, Consorzio Italian Management, cit., p.to 40 in motivazione). Ritiene il Collegio che solo l’obiettiva esistenza di tali ragioni, qui assenti, potrebbe e dovrebbe indurre il giudice nazionale ad approfondire questo aspetto.

11. La Corte ritiene allora di poter così accedere alla questione interpretativa devoluta, per la sua illustrata chiara evidenza di acte clair, in applicazione del principio di conformità del diritto interno al diritto dell’Unione, recentemente ribadito dalla giurisprudenza delle Corti di giustizia e di legittimità.

11.1 Ed infatti, “ … Da una costante giurisprudenza della Corte di giustizia risulta che l’obbligo degli Stati membri, derivante da una Direttiva, di raggiungere il risultato ivi previsto, nonché il loro dovere, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE e dell’articolo 288 TFUE, di adottare tutti i provvedimenti generali o particolari atti a garantire l’adempimento di tale obbligo, valgono per tutti gli organi di tali Stati, compresi, nell’ambito della loro competenza, quelli giurisdizionali (v., in particolare, sentenza del 19 settembre 2019, Rayonna prokuratura Lom, C-467/18, e giurisprudenza ivi citata)”; con la conseguenza “che, pur di fronte ad una disposizione non dotata di effetto diretto, il carattere vincolante della stessa comporta in capo alle autorità nazionali un obbligo di interpretazione conforme del loro diritto interno a partire dalla data di scadenza del termine di recepimento (si veda sul punto, sentenza dell’8 novembre 2016, Ognyanov, C-554/14)”.

Sicché, “l'interpretazione delle norme nazionali il più possibile conforme al diritto dell’Unione è la vera chiave di volta del sistema, il principio che obbliga il giudice a fare tutto ciò che rientra nelle proprie possibilità, in virtù dell’obbligo di leale cooperazione, che su di lui grava ai sensi dell’art. 4 TUE, per pervenire ad una applicazione del diritto interno coerente con il diritto dell’Unione”. E allora, “di fronte ad una potenziale incongruità del sistema si impone al giudice la previa ricerca dell’interpretazione compatibile fra diritto interno e diritto dell’Unione … Per attuare tale obbligo, il principio d’interpretazione conforme esige che i giudici nazionali si adoperino al meglio, nei limiti delle loro competenze, prendendo in considerazione il diritto interno nel suo insieme e applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia del diritto dell’Unione e di pervenire a una soluzione conforme allo scopo perseguito da quest’ultimo … Nella sentenza Pfeiffer (Corte di giustizia del 5 ottobre 2004, cause riunite da C-397/01 a C-403/01), la Grande Sezione ha fornito utili indicazioni ai giudici nazionali chiarendo che, «[s]e è vero che il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale, così imposto dal diritto [dell’Unione], riguarda in primo luogo le norme interne introdotte per recepire la direttiva in questione, esso non si limita, tuttavia, all’esegesi di tali norme, bensì esige che il giudice nazionale prenda in considerazione tutto il diritto nazionale per valutare in quale misura possa essere applicato in modo tale da non addivenire ad un risultato contrario a quello cui mira la direttiva» (Pfeiffer cit.). In sostanza, «il principio dell’interpretazione conforme esige quindi che il giudice del rinvio faccia tutto ciò che rientra nella sua competenza, prendendo in considerazione tutte le norme del diritto nazionale, per garantire la piena efficacia [della direttiva in questione]».” E tuttavia, tale principio trova un limite nell’obbligo, per il giudice nazionale”, nel “fare riferimento al contenuto del diritto dell’Unione nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del diritto interno … nei principi generali del diritto”, per non incorrere in “un’interpretazione contra legem del diritto nazionale.” (Cass. 21 luglio 2022, n. 22861, p.ti da 18 a 21 in motivazione).

12. D’altro canto, l’insegnamento in materia di questa Corte riconosce la responsabilità del committente o del sub-committente, che affidi lavori “all'interno della propria azienda” ad imprese appaltatrici (o subappaltatrici), per i danni derivati al lavoratore nel corso dell'attività lavorativa concessa in sub-appalto, a causa dell'inosservanza delle misure di tutela delle condizioni di lavoro, ai sensi degli artt. 2087 c.c. e 7 d.lgs. 626/1994 (a prescindere dalla conoscenza dell'esistenza del sub-appalto), sul presupposto dell'obbligo, a carico del committente-datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori ad altre imprese, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, nonché di cooperare nell'attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all'attività appaltata, nell'ambito dell'intero ciclo produttivo (Cass. 24 giugno 2020, n. 12465). E ancora, esso riconosce l’obbligo del committente, che mantenga la disponibilità dell'ambiente di lavoro, di adottare tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell'impresa appaltatrice, consistenti nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori sulle situazioni di rischio, nel predisporre quanto necessario a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l'appaltatrice nell'attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all'attività appaltata (Cass. 25 febbraio 2019, n. 5419, con richiamo di precedenti conformi in motivazione, tra i quali: Cass. n. 19494 del 2009; Cass. n. 21694 del 2011; Cass. n. 798 del 2017). Tali principi si fondano su quello più generale, secondo il quale “in tema di infortuni sul lavoro, quando un danno di cui si chiede il risarcimento è determinato da più soggetti, ciascuno dei quali con la propria condotta contribuisce alla produzione dell'evento dannoso, si configura una responsabilità solidale ai sensi dell'art. 1294 cod. civ. fra tutti costoro, qualunque sia il titolo per il quale ciascuno di essi è chiamato a rispondere, dal momento che, sia in tema di responsabilità contrattuale che extracontrattuale, se un unico evento dannoso è ricollegabile eziologicamente a più persone, è sufficiente, ai fini della responsabilità solidale, che tutte le singole azioni od omissioni abbiano concorso in modo efficiente a produrlo, alla luce dei principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dei danni (patrimoniali e non) da risarcire (Cass. n. 8372 del 2014)” (Cass. 18 ottobre 2019, n. 26614, p.to 9.1 in motivazione).

Inoltre, questa Corte ha pure affermato, sempre in tema di infortuni e di sicurezza sul lavoro, che il datore di lavoro – che abbia esternalizzato in tutto o in parte il processo produttivo – è responsabile dell'evento, se non provi di avere, secondo le previsioni dell'art. 7 d.lgs. 626/1994 e anche indipendentemente dall'osservanza del dovere generale di protezione di cui all'art. 2087 c.c., adeguatamente verificato l'idoneità tecnico-professionale del soggetto cui l'opera è affidata e di avere concorso alla prevenzione del rischio specifico implicato nella realizzazione della medesima, anche mediante un'idonea opera di informazione dei lavoratori addetti (Cass. 28 ottobre 2016, n. 21894, secondo cui, in particolare: “Ed invero la sentenza impugnata, nell'escludere qualsiasi responsabilità del datore di lavoro … non ha tenuto in considerazione l'articolato insieme di previsioni e cautele poste dal d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, in vigore al tempo dell'infortunio, per il caso di contratto di appalto o contratto d'opera … e cioè di affidamento, quale ricorre anche nel caso di specie, di lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva (cui è certamente da assimilarsi il cantiere di costruzione, nel settore dell'edilizia), ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi. Tali previsioni e cautele risultano chiaramente dirette ad evitare, attraverso la parcellizzazione del processo produttivo, la frammentazione della responsabilità per la sicurezza e l'igiene degli ambienti di lavoro, costituendo il datore di lavoro/committente, nella cui disponibilità essi permangono, quale co-attore del perseguimento degli obiettivi delineati dalla legge”).

13. Ebbene, la normativa nazionale citata al superiore p.to 8, come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità citata al p.to precedente, può essere letta in una coerente estensione, inclusiva delle locuzioni normative contenute nelle Direttive 89/197/CEE e 92/57/CE specificate sub lettere a) e b) del p.to 8.2, in conformità alla normativa europea di riferimento richiamata al p.to 8.1, nella chiarezza illustrata al superiore

Una tale interpretazione non è, d’altro canto, né creativa né estemporanea, collocandosi al contrario nel solco di un’evoluzione ermeneutica già in atto nell’indirizzo di questa Corte, laddove ha, in particolare, affermato nelle “più recenti pronunce” che “la responsabilità del committente (e per quanto già detto di ciascun subcomittente) va integrata alla luce della disciplina dell'art. 7 d.lgs. 626/2004 … il quale in ipotesi di appalti prevede un corredo di obblighi la cui attuazione da parte del committente risulta di essenziale importanza ai fini dell'esecuzione del lavoro in condizioni di sicurezza in tutti i casi di affidamento ad altre imprese, delle singole fasi di produzione (valutazione dei rischi, informazioni, formazione, adozione di misure, cooperazione all'attuazione delle misure, coordinamento, controllo)” (Cass. 24 giugno 2020, n. 12465, p.to 12 in motivazione).

14. Ben possono, pertanto, le locuzioni normative oggetto dei due quesiti del rinvio pregiudiziale prospettato, illustrato sub a) e b) del p.to 8.2 (a. “stesso luogo di lavoro” in cui “sono presenti i lavoratori di più imprese, i datori di lavoro” che “devono cooperare all'attuazione delle disposizioni relative alla sicurezza, all'igiene ed alla salute, e, tenuto conto della natura delle attività, coordinare i metodi di protezione e di prevenzione dei rischi professionali, informarsi reciprocamente circa questi rischi e informarne i propri lavoratori e/o i loro rappresentanti”; 2. “realizzazione dell'opera” cui “vengono applicati i principi di cui all'articolo 6 della direttiva 89/391/CEE, segnatamente … ”), essere interpretate nel senso che, nella categoria “datori di lavoro” tenuti ai suddetti obblighi, rientrino anche il (sub)committente e il (sub)appaltatore, qualora collaborino insieme nell’ambito di un medesimo procedimento (produttivo in senso lato), finalizzato alla realizzazione di una stessa opera (edilizia o di genio civile), che si compia all’interno di un qualunque luogo a ciò funzionalmente destinato e che li coinvolga entrambi in attività, ancorché parziali e diverse, sinergicamente dirette al medesimo scopo produttivo: così rendendoli reciprocamente responsabili delle omissioni degli obblighi di sicurezza nei confronti dei lavoratori in essa impiegati.

14.1. Nel caso di specie, occorre allora che, alla luce degli enunciati principi di diritto come sopra interpretati conformemente al Diritto dell’Unione, siano rivisitati i profili di responsabilità della subcommittente P. s.p.a., fermi gli accertamenti in fatto della Corte territoriale, con particolare riferimento all’area di lavoro della T. … recintata e gestita esclusivamente dalla società stessa, non permanendo al suo interno né attrezzature della società subcommittente … né attività in atto della stessa” (così dal terzo al quinto alinea di pg. 3 della sentenza). E tenuto pure conto degli obblighi comportati dalla predisposizione da parte della predetta società del piano di sicurezza relativo alle specifiche operazioni oggetto di subappalto (ultimi due alinea del primo capoverso di pg. 3 della sentenza), in riferimento alla verifica: a) della “modalità erronea di esecuzione dell’appalto da parte di T.” (al secondo capoverso di pg. 3 della sentenza); b) delle condizioni del terreno dell’area riservata alla subappaltatrice (al penultimo capoverso di pg. 3 della sentenza) sul quale la subcommittente scaricava direttamente le travi; c) dell’adeguatezza, o meno, della dotazione di mezzi da parte della subappaltatrice (in riferimento all’accertamento al primo capoverso di pg. 5 della sentenza).

La suddetta rivisitazione deve, infine, essere inquadrata nella prospettiva, ad essa propria, di un contratto di subappalto tra P. s.p.a. e T. s.r.l. del valore di € 24.000,00, quota parte dell’appalto commesso da I. s.p.a. a P. s.p.a. verso il compenso corrispettivo di € 1.000.000,00, anche in considerazione della declinazione del “potere direttivo cui si fa riferimento nel contratto” di subappalto riconosciuto appunto alla sub-committente P. s.p.a. (all’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza) e dell’esercizio del potere di controllo ad esso evidentemente connesso.

15. Pertanto il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio, per l’accertamento indicato al p.to 14.1 sulla base del principio di diritto enunciato al p.to 14, oltre che per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione.