Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 23 marzo 2022, n. 9515

Tributi - ILOR - Versamenti in eccesso - Errata applicazione della tassazione separata in luogo di quella ordinaria - Diritto al rimborso dell’imposta indebitamente versata - Legittimità

 

Rilevato che

 

1. F. Spa impugnò, con distinti ricorsi, il silenzio rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria a due istanze di rimborso della società (presentate il 30/05/1985) riguardanti (rispettivamente) l’acconto e il saldo Ilor, versati in eccedenza per l’esercizio 1983, sui redditi prodotti dai fabbricati di sua proprietà, tassati separatamente come redditi fondiari, assumendo che tali redditi, in realtà, dovessero essere assimilati al reddito d’impresa, che non è soggetto a tassazione separata;

2. la Commissione tributaria provinciale di primo grado di Torino, con decisioni nn. 14669/08/90 e 14670/08/90, respinse i ricorsi, mentre la Commissione tributaria di secondo grado del capoluogo piemontese, dopo averli riuniti, accolse gli appelli della società, con sentenza n. 1805/01/94, che è stata confermata dalla Commissione tributaria centrale ("CTC"), sezione di Torino, la quale ha disatteso il gravame dell’ufficio;

3. la CTC ha ritenuto esistente il diritto al rimborso della società in base alla seguente considerazione (cfr. pag. 2 della decisione): «Il principio d’immodificabilità della denuncia annuale dopo la tassativa scadenza fissata per la presentazione va coordinato con l’articolo 38 del d.P.R. 602/1973, che all’epoca prevedeva la facoltà di richiedere, entro diciotto mesi, la restituzione di quanto versato in caso di insussistenza totale o parziale dell’obbligo di pagamento. La restituzione di quanto versato può sempre [essere] reclamata quando il pagamento risulti indebito. La domanda di rimborso non intende variare od integrare gli elementi in precedenza forniti in dichiarazione dei redditi ma ha evidenziato un pregresso errore di diritto sulla qualificazione come reddito imponibile di una determinata voce senza modificarne la natura e la consistenza. In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione - Sezione 1 civile - sentenza 16-02-27-06 del 1994 n. 6157.»;

4. l’Agenzia delle entrate ricorre con due motivi per la cassazione di questa sentenza e la contribuente resiste con controricorso ed ha depositato una memoria.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo di ricorso [«360 n. 4 e 112 cpc - Diniego di giustizia»], l’Agenzia assume che la CTC si è limitata ad affermare che le istanze di rimborso erano tempestive e miravano a correggere un errore di diritto della dichiarazione. Indi, critica la sentenza impugnata che ha omesso di pronunciarsi sulla questione di diritto in punto di inapplicabilità retroattiva dell’art. 40, T.U.I.R., ratione temporis vigente;

1.1. il motivo non è fondato;

è utile ricordare che, per giurisprudenza consolidata, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (Cass. 6/12/2017, n. 29191 - conf. ex multis: 08/03/2007, n. 5351; 13/10/2017, n. 24155; 04/06/2019, n. 15255; 30/01/2020 n. 2153; 02/04/2020, n. 7662; 13/01/2022, n. 864; 01/03/2022, n. 6786 - ha affermato che: «Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia.»). Nella fattispecie concreta, è chiaro che la C.T.C., nel riconoscere il diritto della società al rimborso, ha implicitamente ravvisato l’applicabilità retroattiva dell’art. 40, t.u.i.r., nella formulazione dell’epoca, per il quale i redditi dei fabbricati della società, anche ai fini Ilor, dovevano essere qualificati come redditi d’impresa e perciò non erano soggetti a tassazione separata;

2. con il secondo motivo [«360 n. 3 cpc - Violazione artt. 40 dpr 597/73 e 40, 57, 118 co. 2 tuir (v.t.), 36 dpr 42/88 e 4 co. 5 dpr 599/73»], l’Agenzia deduce che le due istanze di rimborso, dell’acconto e del saldo Ilor, per l’esercizio 1983, per i redditi degli immobili, sottoposti a tassazione separata quali redditi fondiari, si basavano sull’assunto della società che tale classificazione fosse erronea in quanto i fabbricati di sua proprietà erano attratti nel reddito d’impresa. Dopodiché, l’ufficio finanziario censura la sentenza impugnata che non ha rilevato che l’art. 118, comma 2, t.u.i.r., nella prima versione, confermava la regola della tassazione separata degli immobili non strumentali, già prevista dall’art. 4, comma 5, d.P.R. n. 599 del 1973;

2.1. il motivo non è fondato;

la statuizione del giudice tributario di merito è in linea con il condivisibile arresto di questa sezione tributaria (cfr. Cass. 17/04/2019, n. 10707; in senso conforme, Cass. 15/05/2019, n. 12928), al quale va dato seguito, secondo cui «la questione dirimente attiene alla possibilità o meno di applicazione retroattiva dell’art. 40 d.p.r. 917/1986 (in vigore per i periodi di imposta successivi al 31-12-1987) al reddito derivante da immobili di società di capitali concessi in locazione a terzi, in relazione all’anno 1983, disciplinati, ai fini Ilor, dall’art. 4 d.p.r. 599/1973 e 40 d.p.r. 597/1973. Sul punto è intervenuto l’art. 36 d.p.r. 42/1988, in vigore dal 1° marzo 1988, per il quale "le disposizioni del testo unico non considerate nei precedenti articoli di questo capo hanno effetto anche per i periodi di imposta antecedenti al primo periodo di imposta successivo al 31 dicembre 1987, se le relative dichiarazioni, validamente presentate, risultano ad esse conformi. Restano fermi gli accertamenti e le liquidazioni di imposta divenuti definitivi". Per questa Corte, ai fini dell’applicabilità retroattiva delle disposizioni del nuovo Tuir (d.p.r. 1986/917), ai periodi di imposta antecedenti al 31-12-1987, deve considerarsi se l’istanza di rimborso, che rende "conformi" le precedenti dichiarazioni dei redditi alle nuove disposizioni del Tuir (d.p.r. 917/1986), sia stata presentata prima o dopo il 1° marzo 1988. Se l’istanza di rimborso è stata presentata [...]», come nel caso oggetto di questo giudizio nel quale, come suaccennato (al p. 1 del "Rilevato che"), le istanze di rimborso erano state presentate il 30/05/1985, «[...] prima del 1° marzo 1988, trovano applicazione le norme del nuovo Tuir, in quanto la dichiarazione dei redditi, che in origine "non era conforme", è diventata successivamente "conforme" alle disposizioni del nuovo Tuir, essendo stata nelle more rettificata. Invero, con il vecchio Tuir, il reddito da possesso di immobili da parte di società di capitali era soggetto a tassazione separata, ai fini Ilor, quale reddito fondiario. L’art. 4 comma 5 d.p.r. 599/1973 (Ilor), all’epoca vigente, prevede: "per i redditi fondiari l’imposta è applicata separatamente...". Inoltre, ai sensi dell’art. 40 del d.p.r. 597/1973 (vecchio Tuir) "i redditi degli immobili che costituiscono beni strumentali per l’esercizio di imprese commerciali da parte del loro possessore o da parte del soggetto cui sono imputabili i redditi del possessore o da parte di soggetti i cui redditi sono imputabili al possessore a norma dell’articolo 4, e quelli degli immobili posseduti da società in nome collettivo e in accomandita semplice, non sono considerati redditi fondiari e concorrono a formare il reddito complessivo come componenti del reddito d’impresa". Solo gli immobili che costituiscono beni "strumentali" non vanno considerati come redditi fondiari. Gli altri immobili delle società di persone (art. 6 d.p.r. 597/1973 "i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto della società, sono considerati redditi d’impresa e determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi") e quelli delle società di capitali (art. 5 d.p.r. 598/1973 "Le disposizioni degli articoli 40, 44, 53, 54, 55, 59 del detto decreto, relative alle società in nome collettivo e in accomandita semplice, valgono anche per le società di altro tipo soggette all’imposta sul reddito delle persone giuridiche e per gli enti pubblici e privati aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali") sono considerati tra i redditi di impresa. [...] Al contrario, l’art. 40 del d.p.r. 917/1986 (immobili non produttivi di reddito fondiario), all’epoca vigente, applicabile alla fattispecie in esame, in quanto l’istanza di rimborso, presentata prima del 1-3-1988, ha reso "conforme", con tale norma, la dichiarazione dei redditi originaria, che inizialmente, appunto non era conforme, prevede che "non si considerano produttivi di reddito fondiario gli immobili relativi ad imprese commerciali e quelli che costituiscono beni strumentali per l’esercizio di arti e professioni. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano strumentali gli immobili utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’arte o professione o dell’impresa commerciale da parte del possessore. Gli immobili relativi ad imprese commerciali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni si considerano strumentali anche se non utilizzati o anche se dati in locazione o comodato". Pertanto, ai sensi di tale disposizione, i redditi derivanti dagli immobili dati in locazione a terzi non sono produttivi di reddito fondiario, e quindi non sono assoggettabili all’Ilor, ma rientrano nel reddito di impresa, con possibilità di tenere conto delle perdite intervenute nello stesso periodo di imposta o pregresse. [...] Pertanto, ai sensi dell’art. 40 comma 2 d.p.r. 917/1986, all’epoca vigente (ora art. 43 comma 2 d.p.r. 917/1986), sono assoggettati al reddito di impresa, non solo gli immobili strumentali "per destinazione", cioè utilizzati esclusivamente per l’esercizio dell’impresa commerciale da parte del possessore, ma anche gli immobili strumentali "per natura", ossia quelli che, per le loro caratteristiche intrinseche, non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni (per la risoluzione 3/330 del 3-2-1989 dell’Agenzia delle entrate sono beni strumentali "per natura": uso alloggi collettivi; destinazione commerciale; destinazione particolare, come opifici, alberghi teatri, istituti di credito; stazioni per servizi di trasporto). [...] Per questa Corte, in tema di determinazione della base imponibile di imposte dirette, ai sensi dell’art. 40 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, gli immobili appartenenti ad imprese commerciali, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni, costituiscono beni strumentali dell’impresa, anche se non sono utilizzati direttamente e sono dati in locazione o in comodato, salvo quanto disposto dall’art. 77 dello stesso d.P.R. per l'imprenditore individuale, e non si considerano produttivi di reddito fondiario. Ne consegue che gli immobili dati in locazione, se suscettibili invece di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni (si trattava dell’imposta da applicare ad un reddito da fabbricati posseduti da un’impresa agricola), non si considerano strumentali, e sono quindi soggetti all’Ilor (Cass., 6 luglio 2004, n. 12386). [...] Nella specie, però, non v’è stata alcuna contestazione specifica da parte dell’Agenzia delle entrate in ordine alla strumentalità "per natura" dei beni concessi in locazione. [...] Costituisce, quindi, principio consolidato di questa Corte, cui si intende prestare adesione, quello per cui, in tema di emendabilità della dichiarazione dei redditi e con riguardo all’art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, il quale ha reso retroattivamente applicabili le disposizioni del Tuir del 1986 — qualora le dichiarazioni validamente presentate risultino ad esse conformi —, anche ove abbiano introdotto un regime di assoggettamento a tassazione non previsto dal previgente d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, al fine di stabilire se al contribuente, il quale abbia già tradotto nei fatti, in sede di dichiarazione, i contenuti della nuova normativa (erroneamente anticipandoli), sia, o meno, consentito procedere alla rettifica della dichiarazione medesima, occorre accertare il momento in cui la rettifica - sotto forma di istanza di rimborso - è stata operata. In particolare, è necessario verificare se l’istanza di rimborso delle somme, indebitamente pagate secondo la vecchia normativa, è stata formulata prima o dopo l’entrata in vigore del citato d.P.R. n. 42 del 1988, in quanto solo nel primo caso la rettifica deve ritenersi efficace (con conseguente accoglimento della domanda di rimborso), avendo tempestivamente reso la originaria dichiarazione non conforme alle nuove disposizioni, laddove, nel secondo caso, la rettifica stessa non ha impedito che la conformità della dichiarazione alle norme sopravvenute (con conseguente automatica applicabilità di queste ultime) si consolidasse definitivamente (Cass., 30 maggio 2003, n. 8725; Cass., 5 luglio 2013, n. 16904 e Cass., 30 marzo 2004, n. 6311, entrambe in materia di regime fiscale applicabile agli interessi attivi sui crediti di imposta, non tassabili secondo il previgente regime d.p.r. 597/1973, ed assoggettabili a tassazione ai sensi dell’art. 56 d.p.r. 917/1986; Cass., 8951/2018; Cass., 20 gennaio 2011, n. 1225, proprio in relazione alla tassazione di redditi prodotti da immobili relativi ad imprese commerciali e costituenti beni strumentali). Del resto, l’emenda della dichiarazione era consentita, trattandosi di mera dichiarazione di scienza e non di manifestazione di volontà, secondo gli insegnamenti delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un., 2016/13378).»;

3. il ricorso, pertanto, deve essere rigettato;

4. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza;

5. risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, e perciò non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00, a titolo di compenso, euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli altri accessori di legge.