Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 18 settembre 2020, n.19610

Permessi straordinari e retribuiti per motivi di studio - Studenti cd. "fuori corso" - Esclusione - Non sussiste - Diritto spettante a tutti i lavoratori che intendono dedicarsi allo studio - Norma contrattuale di carattere migliorativo rispetto alla previsione contenuta nello Statuto dei lavoratori - Diritto ad ottenere permessi anche per la frequenza di corsi, e non solo per sostenere gli esami

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza n. 1381/2014 depositata il 26.11 2014, in conferma della pronuncia di primo grado del Tribunale di Ravenna, ha respinto la domanda del lavoratore volta al riconoscimento del diritto a godere di permessi straordinari e retribuiti per motivi di studio, anche oltre la durata prevista del relativo corso di studi;

2. La Corte di merito, invero, concordando con il giudice di primo grado, ha escluso che la previsione di cui all'art. 28 del CCNL Federcasa 2002-2005 riconoscesse permessi studio retribuiti anche ai lavoratori studenti cd. "fuori corso", e ha ritenuto che la concessione dei permessi fosse limitata al solo periodo di frequenza nell'ambito degli anni di durata legale del corso di studi.

3. Secondo i giudici territoriali l'art.28 del CCNL in esame si riferisce solo agli iscritti al corso legale di studi universitari, poiché opera riferimenti all'ultimo e al penultimo anno di corso, che non avrebbero concreto significato se non con riguardo a una fisiologica durata del corso di studi.

4. Tale interpretazione, ad avviso della Corte di appello, non solo è conforme alla lettera della norma, ma risulta anche la più razionale, non potendo il legislatore aver riconosciuto al lavoratore il diritto a permessi retribuiti per  seguire le lezioni senza limiti, cioè al di fuori della durata legale del corso e a prescindere dal superamento o meno degli esami sostenuti per i corsi seguiti; deve essere anche escluso, secondo la Corte di appello di Bologna, il carattere discriminatorio della interpretazione fornita, poiché non rientra l'essere studente fuori corso oppure studente lavoratore tra i fattori di discriminazione oggetto di protezione normativa.

3. Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione M.C., affidato a un unico motivo ed illustrato da memoria, cui ha resistito con controricorso, illustrato da memorie, la A.C.E.R. Azienda casa Emilia -Romagna della Provincia di Ravenna, eccependo, altresì, preliminarmente, l'inammissibilità della notifica del ricorso per cassazione.

4. La causa, inizialmente fissata in camera di consiglio, è stata poi trattata in pubblica udienza.

 

Ragioni della decisione

 

5. L'eccezione formulata dalla controricorrente, con la quale sono stati dedotti i vizi della notificazione del ricorso principale e della procura a margine, che sarebbero stati redatti in formato cartaceo non consentito, e poi scansionati in formato.pdf immagine, per poter essere notificati tramite posta elettronica certificata (PEC), è infondata.

5.1. L'art. 19 bis del provvedimento ministeriale del 16 aprile 2014 (Specifiche tecniche previste dall'articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44, recante regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione, nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione), non si applica infatti, in parte qua, al processo di cassazione, ove il deposito telematico del ricorso e del controricorso non è ancora consentito e l'atto, così come la procura, devono essere normalmente redatte in formato cartaceo (salva la loro scansione con attestazione ai fini della notifica telematica in proprio, ove la parte voglia avvalersi di tale modalità, ai sensi dell'art. 3 bis e ss. della legge 53 del 1994). Nel caso di specie, in particolare, risulta eseguita telematicamente la notifica con le modalità descritte, corredata della corretta attestazione di conformità della copia informatica notificata a quella analogica, secondo il testo in vigore ratione temporis dell'art. 3 bis cit.

5. Con l'unico, articolato motivo di ricorso, il ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi , dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione dell'articolo 28 del Contratto collettivo nazionale di lavoro Federcasa 2002-2005 ritenuto non applicabile ai lavoratori-studenti universitari "fuoricorso"; per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti c.c. e per violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c. in relazione al documento n. 6 prodotto in secondo grado.

6. Ha sostenuto, in particolare, come la lettura corretta del cit. art. 28 dovrebbe indurre a ritenere che la disciplina del diritto allo studio ivi dettata sia applicabile anche ai dipendenti che siano studenti "fuori corso", poiché il testo della norma, senza operare questa distinzione, specifica solamente che i permessi sono concessi per la frequenza di corsi finalizzati al conseguimento dei titoli di studio universitari, oltre che per la preparazione dei relativi esami. Tanto la frequenza ai corsi quanto la preparazione degli esami e la partecipazione agli stessi costituirebbero attività didattica consentita dallo status di studente universitario a prescindere dall'essere "in corso" o "fuori corso", poiché ritenere diversamente aggiungerebbe un limite ulteriore a quelli previsti dalla norma (che pone solamente il limite di misura massima fruibile di 150 ore annue per ciascun dipendente, il limite del 3% del totale delle unità in servizio, per anno solare, oltre che la possibilità per il lavoratore che venga respinto di fruire dei suddetti permessi solamente la seconda volta perché gli esami abbiano esito positivo).

I giudici territoriali, pertanto, oltre alla norma contrattuale, avrebbero violato le regole ermeneutiche di cui agli articoli 1362 e ss. cod. civ. Avrebbe, infine, errato la corte nel non ammettere la produzione del documento attestante la frequenza, sia pure fuori corso, che avrebbe smentito quanto affermato dal giudice di primo grado, ossia che non vi può essere attestazione ufficiale di frequenza per gli studenti fuori corso, così violando l'articolo 345 cod. proc.civ.

7. Il motivo è infondato.

La norma contrattuale costituisce la specificazione del diritto riconosciuto dall'art. l'art. 10, comma secondo, I. 20 maggio 1970 n. 300, che prevede il diritto dei lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esami, di fruire di permessi giornalieri retribuiti. Tale generale diritto costituisce oggetto di interpretazione ormai consolidata da parte di questa corte (v. la risalente Cass. 52/1985 che chiarì come l'art. 10, cit., deve essere inteso nel senso che quel diritto spetta a tutti i lavoratori che intendono dedicarsi allo studio per conseguire la possibilità di affrontare, senza remore di carattere economico, gli esami, per ottenere titoli riconosciuti dall'ordinamento giuridico statale, senza che la categoria dei soggetti legittimati possa essere limitata ai soli studenti iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole statali, pareggiate o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali).

La norma contrattale esaminata risulta certamente di carattere migliorativo rispetto alla previsione contenuta nello Statuto dei lavoratori, poiché attribuisce il diritto ad ottenere permessi anche per la frequenza di corsi, e non solo per sostenere gli esami.

E, tuttavia, sottopone tale diritto a numerosi limiti, quali il numero massimo di ore individuali per anno (150), il numero massimo di dipendenti che possano fruire dei permessi (3% del totale delle unità in servizio ogni anno, con arrotondamento all'unità superiore per eccesso), stabilendo altresì criteri di scelta tra gli studenti lavoratori ove il limite del 3% sia superato dalle richieste pervenute.

La Corte di appello di Bologna ha formulato una lettura coerente e logica della norma, basata non solo sulla sua esegesi letterale ma anche sulla sua ratio, che si sottrae alle critiche formulate e non appare in contrasto con le norme di legge invocate.

Oltre a valorizzare l'argomento letterale della norma contrattuale che, per individuare i beneficiari in caso di concorso di richieste che superino il limite annuale, individua l'anno di frequenza (ultimo, penultimo, etc., postulando necessariamente il riferimento agli studenti in corso regolare), la corte ha correttamente posto in rilievo che la norma dell'art. 28 si riferisce alla "frequenza" di corsi di studio universitari, attività chiaramente riservata ad un numero delimitato di anni, quelli coincidenti con il corso legale di studi e che la norma sarebbe stata formulata diversamente, ove lo svolgimento di attività didattiche preordinate alla preparazione degli esami dovesse essere considerato fungibile alla frequentazione delle lezioni per gli anni in corso regolare.

L'interpretazione fornita, che riconduce la norma contrattuale, pur se migliorativa, a limiti ragionevoli, che sorreggano il diritto allo studio senza comprimere eccessivamente il diritto del datore di lavoro alla prestazione, risulta conforme alla giurisprudenza di questa corte che, in diverse occasioni, esaminando in generale la questione del diritto allo studio, ha introdotto temperamenti al suo esercizio nell'ambito del rapporto di lavoro (cfr. ad es. Cassazione civile sez. lav. - 22/04/2008, n. 10344 , che prevede come "in applicazione dei criteri di ermeneutica precisati dagli art. 1362 e 1363 c.c., la norma contrattuale, che prevede la possibilità per il lavoratore di usufruire di permessi studio, va interpretata nel senso che i permessi straordinari retribuiti possono essere concessi soltanto per frequentare i corsi indicati dalla clausola in orari coincidenti con quelli di servizio, non per le necessità connesse all'esigenza di preparazione degli esami, ovvero per altre attività complementari come, ad esempio, i colloqui con i docenti o il disbrigo di pratiche di segreteria)".

Il ricorso deve essere in definitiva respinto.

Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi dell'art.1 co 17 L. 228/2012 ( che ha aggiunto il comma 1 quater all'art. 13 DPR 115/2002) - della sussistenza dei presupposti processuali dell'obbligo di versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto .

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.