Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 agosto 2017, n. 19789

Pubblico impiego - Trattamento pensionistico - Erronea attribuzione qualifica e livello superiori - Erronea comunicazione alla CPDEL - Responsabilità dell'amministrazione di appartenenza del pensionato

 

Fatti di causa

 

La Corte d'appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale di Ravenna di parziale accoglimento dell'opposizione proposta dalla Regione Emilia-Romagna avverso il decreto ingiuntivo con il quale le era stato intimato il pagamento, a favore dell'INPDAP, delle somme che l'Istituto aveva corrisposto a F.C., dall'aprile 1985 e fino al 1998, a titolo di pensione in misura superiore a causa di un'erronea comunicazione da parte della USL n. 35 alla CPDEL delle informazioni relative al dipendente ed, in particolare, a seguito dell'erronea attribuzione di una qualifica ed un livello superiori rispetto a quelli effettivamente spettanti, come definitivamente accertato dal Consiglio di Stato con sentenza del 10 dicembre 1992.

La Corte territoriale, richiamato l'articolo 8 del DPR n. 538 del 1986, ha rilevato che, sebbene i dati inizialmente comunicati alla CPDEL corrispondessero all'effettivo inquadramento del dipendente, detta comunicazione era comunque errata in quanto al dipendente era stato attribuito un inquadramento superiore , restando irrilevante la causa dell'errore e che cioè esso fosse derivato da un'erronea interpretazione della declaratoria di inquadramento, come successivamente accertato dal Consiglio di Stato. Avverso la sentenza ricorre la Regione Emilia-Romagna con tre motivi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 cpc. L'Inpdap è rimasto intimato.

Ragioni della decisione Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'articolo 8, comma 2, del DPR n. 538 del 1986. Deduce che in base alla norma citata l'azione era esperibile solo per la ripetizione di importi determinati dall'errore dell'amministrazione di appartenenza del pensionato, cioè da situazioni determinate dalla condotta negligente del datore di lavoro. Rileva che nel caso di specie non si era verificata un'ipotesi del genere in quanto l'amministrazione aveva comunicato informazioni corrispondenti all'effettivo inquadramento del dipendente alla data di collocamento a riposo e che, solo a distanza di otto anni, a seguito della pronunzia del Consiglio di Stato, si erano rivelati difformi a quello che avrebbe dovuto essere il corretto inquadramento del dipendente. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'articolo 8, comma 2, del d.p.r. n. 538 del 1986. La ricorrente censura l'affermazione della Corte d'appello che ha ritenuto dovuto il rimborso a decorrere dalla data di collocamento a riposo del dipendente. Osserva, infatti, come la modifica del trattamento pensionistico avrebbe potuto avere corso solo successivamente alla data nella quale la delibera dell'amministratore straordinario della USL n 35, adottata sulla base della delibera della giunta regionale del 19 ottobre 1993 in via di recepimento della decisione giudiziale, era divenuta efficace.

Con il terzo motivo la Regione denuncia violazione dell'articolo 6 della legge n. 724 del 1994, dell'articolo 2, comma 14, della legge n. 549 del 1995 e dell'articolo 1219 del codice civile. Censura l'affermazione della Corte secondo cui gli interessi di mora andavano computati a far data dalla messa in mora del 22 settembre 1998. Deduce che il primo atto di messa in mora era costituito dalla notifica del decreto ingiuntivo e che la lettera del 22 settembre citata indirizzata esclusivamente alla AUSL di Ravenna soppressa da tempo, ritenuta dal giudice valido atto di messa in mora, non poteva esplicare effetti nei confronti della Regione.

Censura l'affermazione del giudice secondo cui si era formato il giudicato sul fatto che la Regione era succeduta ex lege nei rapporti obbligatori di pertinenza delle soppresse USL, confondendo il problema del giudicato sull'intervenuta successione delle regioni, con l'opponibilità alla Regione di una di messa in mora indirizzata ad altro soggetto, successivamente alla sua avvenuta soppressione.

I motivi, congiuntamente esaminati stante la loro connessione, sono infondati.

L'art. 8 del DPR n. 538/1986 stabilisce che: "Qualora, per errore contenuto nella comunicazione dell'ente di appartenenza del dipendente, venga indebitamente liquidato un trattamento pensionistico definitivo o provvisorio, di retto, indiretto o di riversibilità, ovvero un trattamento in misura superiore a quella dovuta e l'errore non sia da attribuire a fatto doloso dell'interessato, l'ente responsabile della comunicazione è tenuto a rifondere le somme indebitamente corrisposte, salvo rivalsa verso l’interessato medesimo".

Nella fattispecie in esame la Corte territoriale ha ravvisato la responsabilità dell'ente ricorrente nella circostanza che l'inquadramento del dipendente della USL n. 35 F.C. risultava erroneo essendogli stato attribuito un livello retributivo superiore a quello a lui spettante - come definitivamente accertato con sentenza del Consiglio di Stato del 10/12/1992 - e conseguentemente era stato corrisposto allo stesso un trattamento pensionistico superiore di cui era richiesto la restituzione in base alla norma citata.

La tesi del ricorrente secondo cui non sussisteva l'errore nella comunicazione fatta a suo tempo dalla USL n 35 alla CPDEL atteso che, alla data di collocamento a riposo del dipendente, le informazioni fornite erano esatte e che solo successivamente, ed a seguito della delibera regionale di recepimento di una decisione vincolante del Consiglio di Stato, era sorta la necessità di rivedere le informazioni rese all'ente previdenziale comunicando il nuovo inquadramento del dipendente, è stata correttamente ritenuta infondata dalla Corte territoriale.

Questa ha, infatti, evidenziato che "se anche l'errore era emerso successivamente ciò non toglie che l'iniziale comunicazione rispecchiava una realtà diversa da quella effettiva perché il dipendente, fin da quel momento, avrebbe dovuto ricevere la qualifica di vice direttore e l'assegnazione al nono livello".

La liquidazione al dipendente di un trattamento superiore al dovuto è, con evidenza, conseguenza dell'inesatto inquadramento e livello retributivo comunicato all'ente previdenziale di cui deve rispondere, ai sensi della norma suddetta, la ricorrente.

Non può, pertanto, che confermarsi la sentenza impugnata che, escluso il dolo dell'assicurato, ha ritenuto sussistere tutti gli elementi previsti dalla norma.

Quanto al secondo motivo, va rilevato che , anche sotto tale profilo, la Corte territoriale ha dato una risposta corretta escludendo la fondatezza della pretesa della ricorrente di far decorrere l'obbligo di restituzione dei maggiori importi versati dal momento in cui la delibera di modifica del trattamento di economico del Conti era divenuta esecutiva. Non vi sono ragioni che possano giustificare tale richiesta dovendo invece l'obbligo restitutorio decorrere dalla data in cui è iniziato l'indebito versamento.

Infine, con riferimento al terzo motivo, va rilevato che la Corte territoriale ha ritenuto che la lettera del 22/9/1998 costituisse valido atto di messa in mora della Regione sebbene indirizzata alla ASL 35 di Ravenna. Trattasi di valutazione in fatto della Corte che ha considerato che la Regione era succeduta ex lege nei rapporti obbligatori delle soppresse USL, circostanza sulla quale si era formato il giudicato e sulla cui sussistenza la ricorrente nulla ha opposto nel presente giudizio.

Per le considerazioni che precedono il ricorso va rigettato. Nulla per spese non avendo l'intimato svolto attività difensiva nel presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso, nulla spese.