Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 30 settembre 2020, n. 20843

Tributi - IVA - Credito derivante da errata applicazione su operazioni non imponibili - Errata fattura - Diritto al rimborso - Modalità - Rettifica fattura ex art. 26, DPR n. 633 del 1972 - Istanza di rimborso ex art. 21, D.Lgs. n. 546 del 1992 - Legittimità  - Condizioni

 

Rilevato che

 

- l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata l'8 novembre 2012, di reiezione dell'appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della Immobiliare B.B. s.r.l. (già, G.H.B. s.r.l. e, oggi, V. s.r.l.) contro il silenzio rifiuto serbato dall'Ufficio sulla domanda di rimborso di un credito i.v.a.;

- dall'esame della sentenza impugnata si evince che l'istanza di rimborso aveva ad oggetto la maggior i.v.a. versata in relazione ad un'operazione immobiliare con cui la contribuente aveva ceduto un'azienda e diversi immobili ed era stata presentata a seguito della riduzione dell'imponibile delle operazioni rilevanti ai fini dell'i.v.a. operata con avviso di rettifica e liquidazione emesso dall'Ufficio;

- li giudice di appello, dopo aver dato atto che la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso, ha disatteso il gravame erariale, rilevando che la cessionaria aveva chiesto giudizialmente alla contribuente il pagamento della maggiore i.v.a. di rivalsa versata ed evidenziando che nel caso in esame si era in presenza di un pagamento indebito della contribuente, in relazione al quale era attivabile la procedura del cd. rimborso anomalo di cui all'art. 21, secondo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546;

- il ricorso è affidato a tre motivi;

- resiste con controricorso la V. s.r.l.;

- il pubblico ministero conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso;

 

Considerato che

 

- va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla controricorrente per inosservanza del principio di autosufficienza, atteso che, diversamente da quanto dalla stessa eccepito, il ricorso presenta una chiara ed esauriente esposizione dei fatti di causa, in relazione agli elementi necessari a cogliere il significato e la portata della censura rivolta alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo;

- con il primo motivo l'Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, settimo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 2697 c.c., per aver la sentenza impugnata riconosciuto il diritto della contribuente al recupero dell'i.v.a. versata in eccesso, benché quest'ultima non avesse previamente provveduto alla variazione dell'imponibile indicato in fattura ai sensi dell'art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972;

- il motivo è fondato;

- occorre rammentare che, in tema d'IVA, l'emittente della fattura, in base al principio di cartolarità, è tenuto a versare l'imposta ivi liquidata a meno che non l'abbia tempestivamente corretta o annullata ai sensi dell'art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972, sì da consentire l'applicazione dell'esatta imposta dovuta ed il corretto esercizio del diritto di detrazione da parte del destinatario, fermo restando che l'inottemperanza agli adempimenti richiesti dalla norma non consente all'Amministrazione finanziaria di pretendere il pagamento dell'imposta, né osta al riconoscimento del rimborso dell'i.v.a. indebitamente versata in eccedenza ove il giudice di merito abbia accertato che sia stato definitivamente eliminato il rischio che il destinatario abbia utilizzato o possa utilizzare tale documento ai fini della detrazione (cfr. Cass., ord., 18 aprile 2019, n. 10974; Cass., ord., 26 settembre 2018, n. 22963; Cass. 27 maggio 2015, n. 10939);

- tale affermazione risulta coerente con la giurisprudenza eurounitaria, la quale ha affermato che, ai sensi dell'art. 21, n. 1, lett. c), della sesta direttiva (e, oggi, dell'art. 203, direttiva 2006/112/CE), chiunque esponga l'i.v.a. in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci è debitore di tale imposta e, dunque, indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un'operazione soggetta ad i.v.a., in relazione all'esigenza di eliminare il rischio di perdita di gettito fiscale derivante dall'esercizio del diritto a detrazione (cfr. Corte Giust., 8 maggio 2019, EN.SA; Corte Giust., 31 gennaio 2013, Stroy trans; Corte Giust., 18 giugno 2009, Stadeco);

- ha precisato che quando colui che ha erroneamente emesso una fattura, in quanto relativa a prestazione non imponibile, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdita di gettito fiscale o, comunque, tale rischio sia definitivamente venuto meno per aver l'amministrazione fiscale negato definitivamente il diritto alla detrazione dell'i.v.a. esercitato dal committente o cessionario, non può essere negato all'emittente la fattura il diritto al rimborso dell'i.v.a. fatturata per errore e versata (cfr. Corte giust. 11 aprile 2013, Rusedespred);

- la ricorrenza di un rischio di perdita del gettito erariale va esclusa quando la fattura erroneamente emessa è stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale, nel rispetto delle forme e dei termini previsti dall'art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972 per l'emenda degli errori concernenti la emissione o la indicazione dei dati riportati nella fattura, funzionali ad assicurare il ripristino della corrispondenza tra realtà economica e rappresentazione cartolare della stessa e a consentire l'applicazione della esatta imposta dovuta ed il corretto esercizio del diritto a detrazione;

- in alternativa, il rischio di perdita del gettito fiscale può ritenersi insussistente solo quando risulti accertato che la fattura erroneamente emessa sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale (annotandola nel registro acquisti od in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione), ovvero ancora quando l'Amministrazione finanziaria (anche a seguito di segnalazione dello stesso emittente, ovvero nell'esercizio dei poteri di verifica di ufficio) abbia contestato e definitivamente disconosciuto con provvedimento divenuto definitivo - o riconosciuto legittimo con accertamento passato in giudicato - il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della predetta fattura;

- alla luce delle considerazioni che precedono deve intendersi l'affermazione, ricorrente nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui in ipotesi di indebito tributario in materia di i.v.a. il ricorso da parte del contribuente alla procedura di variazione ex art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972 non è obbligatorio, ma è rimesso alla sua libera scelta, potendo egli, sempre optare per l'esercizio dell'azione generale di rimborso (cfr. Cass., ord., 7 giugno 2017, n. 14239; Cass. 11 maggio 2012, n. 7330);

- in quest'ultimo caso, dunque, il diritto alla restituzione dell'IVA erroneamente versata presuppone, in ogni caso, che sia offerta dimostrazione della definitiva eliminazione del rischio di perdita del gettito erariale derivante dall'utilizzo o dalla possibilità di utilizzo della fattura da parte del destinatario della fattura ai fini dell'esercizio del diritto alla detrazione;

- può, quindi, formularsi i seguenti principio di diritto: "In tema di IVA, nel caso in cui sia erroneamente emessa fattura per operazioni non imponibili, il contribuente ha diritto al rimborso dell'imposta versata qualora provveda alla rettifica della fattura ai sensi dell'art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972, ovvero qualora sia accertato il definitivo venir meno del rischio di perdita di gettito erariale derivante dall'utilizzo o dalla possibilità di utilizzo della fattura da parte del destinatario della fattura ai fini dell'esercizio del diritto alla detrazione dell'imposta dovuta o assolta in via di rivalsa";

- "l'accertamento del definitivo venir meno di un siffatto rischio presuppone l'accertamento che la fattura erroneamente emessa sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale, annotandola nel registro acquisti od in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione, ovvero che l'Amministrazione finanziaria abbia contestato e definitivamente disconosciuto con provvedimento divenuto definitivo - o riconosciuto legittimo con accertamento passato in giudicato - il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della predetta fattura;

- la domanda di rimborso dell'i.v.a. assolta in relazione ad un'operazione non imponibile avanzata ai sensi dell'art. 21, secondo comma, d.P.R. n. 633 del 1972, presuppone che sia offerta dimostrazione della definitiva eliminazione del rischio di perdita del gettito erariale derivante dall'utilizzo o dalla possibilità di utilizzo della fattura da parte del destinatario della fattura ai fini dell'esercizio del diritto alla detrazione;

- orbene, la Commissione regionale, nel ritenere sussistente la pretesa vantata dal contribuente di restituzione dell'i.v.a. versata in relazione ad un'operazione non imponibile senza previamente accertare che il richiedente avesse rettificato la fattura ai sensi dell'art. 26, d.P.R. n. 633 del 1972 ovvero che non si fosse verificato, né si sarebbe potuto verificare, alcun danno per l'erario derivante dall'esercizio del diritto di detrazione da parte del destinatario della fattura, non ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto affermati in precedenza;

- non rilevante, infatti, si rileva la circostanza, accertata nella sentenza impugnata, relativa al fatto che la cessionaria, a seguito di definizione concordata della sua posizione con l'Amministrazione finanziaria, aveva emesso nota di debito per il recupero della maggiore imposta versata alla contribuente e, quindi, a storno della stessa, aveva emesso corrispondente nota di credito, in quanto circostanze ambigue (non è chiaro se la successione delle note abbia, o no, evidenziato l'insussistenza del corrispondente diritto di detrazione) e, quindi, inidonee a dimostrare l'avvenuta rettifica della fattura emessa ai sensi e nelle forme di cui al menzionato art. 26 ovvero l'assenza di un danno per l'erario, attuale o potenziale, derivante dall'esercizio del diritto di detrazione del destinatario della fattura;

- l'accoglimento del primo motivo di ricorso osta all'esame dei motivi residui, proposti solo in via subordinata;

- la sentenza impugnata va, dunque, cassata, con riferimento al motivo accolto, e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio.