Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 settembre 2020, n. 20625

Società mista - Delibera di scioglimento anticipato della società - Legittimità - Assenza di un intento fraudolento del socio di maggioranza diretto a provocare la lesione di diritti di partecipazione e patrimoniali degli altri soci

 

Fatti di causa

 

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Lecce ha rigettato l'appello proposto da E. s.r.l. contro il Comune di Monteroni e A.T. spa in liquidazione, avverso la sentenza emessa il 24.5.2011 dal Tribunale di Lecce, con la quale era stata rigettata la domanda giudiziaria avanzata dalla società appellante volta all'annullamento della delibera assembleare del 7.11.2003, che aveva deliberato lo scioglimento anticipato della società mista A. & T. s.p.a. di cui E. s.r.l. aveva acquistato iI 49% del capitale sociale, ritenendo il giudice di prime cure che non sussistesse né il conflitto di interessi né l'abuso di potere. La corte del merito ha ritenuto, quanto al primo motivo di gravame, che non poteva neanche astrattamente configurarsi un conflitto di interessi ex art. 2373 cod. civ. in relazione ad una delibera di scioglimento anticipato della società, in quanto tale situazione di conflitto deve avere a riguardo un eventuale contrasto tra l'interesse del socio e l'interesse sociale inteso come insieme degli interessi riconducibili al contratto di società, tra i quali non è annoverabile l'interesse della società alla prosecuzione della propria attività imprenditoriale, residuando al più un conflitto pratico tra i vari soci, di per sé giuridicamente non rilevante; ha dunque ritenuto, sulla scorta del principio ora ricordato, non fondato il primo motivo di gravame sollevato dalla società appellante. La corte territoriale ha inoltre evidenziato che, in relazione al dedotto motivo di abuso di potere, la deliberazione di scioglimento di una società che sia stata adottata dai soci nelle forme legali e con le maggioranze prescritte, può essere invalidata, sotto tale profilo, solo allorquando risulti arbitrariamente e fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al perseguimento di interessi divergenti da quelli societari ovvero alla lesione dei diritti del singolo partecipante, come nella ipotesi in cui lo scioglimento sia indirizzato soltanto alla esclusione del socio, non essendo, nelle altre ipotesi, sindacabile in sede giudiziaria le motivazioni sottese alla decisione dell'organo deliberante e non potendosi ritenere giuridicamente tutelabile un interesse del socio alla conservazione del proprio status-, ha dunque ritenuto, sulla base dello scrutinio delle risultanze processuali, non raggiunta la prova circa un intento fraudolento del Comune nella deliberazione di scioglimento anticipato della società, non potendosi indagare in sede giudiziaria sui motivi che avevano indotto, in ultima analisi, la maggioranza alla suddetta decisione; ha inoltre evidenziato che le perdite di esercizio maturate nei due anni successivi alla costituzione della società mista costituivano motivo idoneo per deliberare lo scioglimento anticipato della società, ancorché la data di scioglimento fosse stata inizialmente fissata nel 2050; ha dunque escluso la sussistenza di un intento fraudolento del socio di maggioranza diretto a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e patrimoniali degli altri soci; ha infine osservato che, nella stessa delibera del 7.11.2003, il Comune di Monteroni aveva dichiarato il suo intento di raggiungere, con la costituzione della predetta società mista, un obiettivo di reddito e di gestione economica della compagine societaria, evidenziandosi, a distanza di tre anni dalla costituzione della società, il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, e ciò doveva ritenersi ragione sufficiente per deliberare legittimamente lo scioglimento anticipato della società; ha, da ultimo, posto in evidenza che la lievitazione dei costi di gestione per una serie di ragioni contingenti ed un contenzioso relativo alla legittimità della scelta del socio privato avevano viepiù evidenziato la non economicità della gestione societaria e dunque la piena legittimità della decisione di scioglimento della compagine sociale,

2. La sentenza, pubblicata il 13.4.2016, è stata impugnata da Comune di Monteroni con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di doglianza, cui il Comune di Monteroni e A.T. spa in liquidazione hanno resistito con controricorso.

Il Comune di Monteroni ha depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l'unico motivo di censura la società ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e vizio di falsa applicazione dell'art. 2377 cod. civ. - in relazione all'abuso di potere della maggioranza nell'esercizio del diritto di voto e comunque vizio di omesso esame di fatti decisivi, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.. Si lamenta l'omessa valutazione della decisiva circostanza secondo cui la società A. & T. s.p.a. aveva un unico cliente, e cioè il Comune di Monteroni, e che tale cliente era debitore della predetta società - al momento della sua messa in liquidazione - della somma di euro 163.381 e dell'ulteriore somma successivamente riconosciuta come dovuta di euro 204.633. Osserva la ricorrente che lo scioglimento della società era stato deliberato dal socio di maggioranza, e cioè dal predetto ente territoriale, lamentando perdite provocate, in buona sostanza, proprio dall'inadempimento del comune, e cioè dall'unico cliente della società. Evidenzia ancora la ricorrente l'omessa valutazione dell'ulteriore circostanza secondo cui( al momento della delibera di scioglimento così impugnata, era maturato un ulteriore credito della A. & T. s.p.a. nei confronti del Comune per euro 204.633, fatto che escludeva la possibile erosione del capitale sociale a causa delle perdite. Si osserva ancora che i fatti ora descritti evidenziavano la inconsistenza e pretestuosità delle motivazioni addotte dal socio di maggioranza per deliberare lo scioglimento della società dallo stesso partecipata.

2. Il ricorso è inammissibile.

2.1 Va premesso che, sulla scorta di quanto affermato dalla giurisprudenza di vertice di questa Corte, l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

2.2 Ciò posto in premessa, occorre evidenziare come l'inammissibilità della censura derivi invero dalla concorrenza di due ragioni.

2.2.1 Sotto un primo angolo di osservazione, va subito evidenziato come le circostanze del cui omesso esame si duole la società ricorrente, ai sensi del sopra ricordato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riguardano invero fatti non dedotti nei gradi merito, non emergendo né dalla lettura del ricorso introduttivo né da quella della sentenza impugnata ove la ricorrente avesse allegato la circostanza dei crediti maturati in favore della A. & T. s.p.a. nei confronti dell'ente territoriale, come ragione fondante il dedotto abuso di potere del socio di maggioranza nell'adozione della delibera di scioglimento anticipato della società partecipata.

2.2.2 Ma occorre anche evidenziare il carattere non decisivo ai fini del decidere, nel senso già sopra chiarito, delle predette circostanze di cui si assume il mancato esame da parte della corte di merito. Ed invero, la circostanza che la A. & T. s.p.a. vantasse nei confronti del Comune di Monteroni - al momento della sua messa in liquidazione - crediti per euro 163.381 ed euro 204.633 evidenzia solo che tali crediti andavano a comporre, nello stato patrimoniale, una posta attiva della società poi oggetto di scioglimento e che, ciò nonostante, la stessa aveva riportato perdite cospicue, senza che ciò dimostri una valida ragione ostativa alla legittima determinazione di sciogliere la società da parte della maggioranza dei soci.

2.2.3 Sul punto, non è inutile ricordare che, secondo la costante giurisprudenza espressa da questa Corte, la deliberazione di scioglimento anticipato di una società può essere invalidata, in difetto delle ragioni tipiche all'uopo previste, sotto il profilo dell'abuso della regola di maggioranza, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci. La relativa prova incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i "sintomi" di illiceità della delibera - deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione, ma anche da circostanze verificatesi successivamente - in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente abuso vi sia stato. Peraltro, all'infuori della ipotesi di un esercizio "ingiustificato" ovvero "fraudolento" del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva (Sez. 1, Sentenza n. 27387 del 12/12/2005).

2.2.4 Né è impugnabile per conflitto di interessi la delibera di scioglimento anticipato della società ex art. 2448 n. 5 cod. civ. (ora art. 2484 n.6 cod. civ.) in quanto la situazione di conflitto rilevante ai fini dell'art. 2373 cod. civ. deve essere valutata con riferimento non già a configgenti interessi dei soci, bensì a un eventuale contrasto tra l'interesse del socio e l'interesse sociale inteso come l'insieme degli interessi riconducibili al contratto di società tra i quali non è ricompreso l'interesse della società alla prosecuzione della propria attività, giacché la stessa disciplina legale del fenomeno societario consente che la maggioranza dei soci ponga fine all'impresa comune senza subordinare tale decisione ad alcuna condizione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27387 del 12/12/2005, cit. supra). Detto altrimenti, ai fini dell'annullamento per conflitto di interessi ai sensi dell'art. 2373 cod. civ., è essenziale che la delibera sia idonea a ledere l'interesse sociale, inteso come l'insieme di quegli interessi che sono comuni ai soci, in quanto parti del contratto di società, e che concernono la produzione del lucro, la massimizzazione del profitto sociale (ovverosia del valore globale delle azioni o delle quote), il controllo della gestione dell'attività sociale, la distribuzione dell'utile, l'alienabilità della propria partecipazione sociale e la determinazione della durata del proprio investimento. Pertanto, si ha conflitto di interessi rilevante quale causa di annullabilità delle delibere assembleari quando vi è, di fatto, un conflitto tra un interesse non sociale e uno qualsiasi degli interessi che sono riconducibili al contratto di società (Sez. 1, Sentenza n. 27387 del 12/12/2005).

2.2.5 Ne consegue che, in applicazione del principio di buona fede in senso oggettivo al quale deve essere improntata l'esecuzione del contratto di società, la cosiddetta regola di maggioranza consente al socio di esercitare liberamente e legittimamente il diritto di voto per il perseguimento di un proprio interesse fino al limite dell'altrui potenziale danno.

Deve pertanto ritenersi che l'abuso della regola di maggioranza (altrimenti detto abuso o eccesso di potere) è, quindi, causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società - per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale - oppure sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza "uti singuli" (così, sempre Sez. 1, Sentenza n. 27387 del 12/12/2005).

2.3 Ciò posto, risulta evidente come resti preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che abbiano indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva, se si escludono quel esercizio "ingiustificato" ovvero "fraudolento" del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, sopra tratteggiato e qui non ricorrente, posto che anche le circostanze del cui omesso esame oggi si duole la ricorrente, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., investono profili del tutto irrilevanti e non decisivi, non potendosi ritenere che la esistenza di una debitoria del socio di maggioranza nei confronti della società partecipata integri l'abuso del voto di maggioranza ovvero la possibilità di un conflitto di interessi. Ed invero, lo scioglimento della società partecipata e la sua liquidazione non determinano in alcun modo l'annullamento del credito vantato dalla società sciolta nei confronti del socio di maggioranza che ne ha determinato la dissoluzione, dovendo il liquidatore della predetta società riscuotere il credito e distribuirlo ai creditori sociali.

Ne consegue la inammissibilità del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti dei controricorrenti, secondo le regole della soccombenza.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.