Dipendente in malattia che svolge altra attività lavorativa

Dipendente in malattia che svolge altra attività lavorativa

Costituisce giusta causa di licenziamento lo svolgimento da parte del dipendente di attività lavorativa presso terzi, incompatibile con le prescrizioni mediche, durante il periodo di assenza per malattia (Corte di Cassazione, Ordinanza 19 maggio 2022, n. 16208).

Il caso

La Corte d'appello di Salerno confermava la decisione di primo grado che aveva respinto l'opposizione ex rito Fornero avverso il provvedimento sommario di rigetto della domanda avanzata da un dipendente, direttore amministrativo di centro di riabilitazione, nei confronti della società datrice di lavoro, volta all’affermazione dell’ illegittimità del licenziamento intimato e motivato dallo svolgimento di attività lavorativa presso terzi durante l'assenza per malattia, dalla violazione degli obblighi di lealtà e fedeltà in relazione al rapido recupero delle capacità di svolgere la prestazione e, inoltre, dalla assenza dal domicilio durante le fasce di reperibilità.

La Corte territoriale, in particolare, riteneva che la condotta del lavoratore fosse idonea a integrare grave violazione degli obblighi contrattuali, tale da far venir meno la relazione di fiducia sottesa al rapporto di lavoro, risultando che, in costanza di assenza per malattia, il lavoratore aveva svolto prestazioni presso altra ditta e si era dedicato ad altre attività fuori casa, anche durante le ore di reperibilità, senza dimostrare un’ urgente necessità di allontanarsi dal domicilio.
La stessa evidenziava, inoltre, l’irrilevanza dell'assunto del lavoratore circa la compatibilità dell'attività svolta con la malattia depressiva di cui era affetto, non conciliandosi le prestazioni espletate durante l'assenza con la prescrizione di "riposo e terapia farmacologica" ed essendo onere del lavoratore dimostrare la compatibilità dell'attività in favore di terzi con l'infermità.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore.

La decisione della Corte

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ponendo a base della propria decisione la circostanza secondo cui era stata correttamente valutata dai giudici di merito l’incompatibilità con la prescrizione medica di riposo dell'attività svolta dal dipendente durante il periodo di malattia.
La Corte di legittimità poneva, altresì, in evidenza che la genesi della malattia, nel caso di specie sindrome ansioso-depressiva, non assumeva rilevanza in ragione della natura degli addebiti contestati, riguardanti la violazione delle prescrizioni attinenti allo stato di malattia e non la mancanza o simulazione della malattia stessa.

I Giudici, infine, si sono pronunciati specificamente sul motivo di ricorso col quale veniva contestata la valutazione di proporzionalità della sanzione del licenziamento per giusta causa rispetto alla gravità della condotta, con riguardo all'addebito al lavoratore di essersi allontanato dal domicilio nelle fasce di reperibilità, trattandosi di circostanza marginale, insufficiente a legittimare la massima sanzione disciplinare.
Ebbene, sul punto la Corte ha chiarito che, poiché il giudizio concernente la giusta causa di licenziamento è stato compiuto dalla Corte territoriale alla luce del complesso delle condotte addebitate al lavoratore e, in primo luogo, dello svolgimento presso terzi di attività lavorativa incompatibile con le prescrizioni mediche, l'allontanamento dal domicilio nelle fasce di reperibilità ha assunto rilevanza solo secondaria nell'ambito degli addebiti mossi al lavoratore e posti a fondamento della ravvisata giusta causa di licenziamento.