Prassi - AGENZIA DELLE ENTRATE - Risposta 15 ottobre 2021, n. 710

Articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50. Carried interest

 

Con l'istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

 

Quesito

 

La società ALFA FUNDS SGR S.p.A. (di seguito "SGR" o "Istante") è una società di gestione del risparmio che gestisce, tra gli altri, un fondo comune di investimento mobiliare di tipo chiuso, riservato, di seguito denominato il "Fondo".

Come previsto dal regolamento, la durata del Fondo è fissata al 31 dicembre 2021 eventualmente prorogabili a determinate condizioni, per un periodo non superiore a dodici mesi, per consentire il completamento dello smobilizzo al meglio degli investimenti in portafoglio.

Il regolamento del Fondo prevede l'emissione di tre classi di quote di uguale valore nominale, pari ad euro 500.000 e distinte in:

- Quote A che possono essere sottoscritte per un importo versato pari o superiore a euro 5 milioni;

- Quote B che possono essere sottoscritte per un importo complessivo massimo di euro versato compreso tra euro 500.000 ed euro 5 milioni;

- Quote C che possono essere emesse e sottoscritte per un importo complessivo pari ad euro 1,5 milioni e riservate alla SGR, ai manager (individualmente o in contitolarità con altri manager), ai "soggetti sostenitori" (persone fisiche o giuridiche, nominativamente individuate con delibera del consiglio di amministrazione, che hanno concorso e/o concorrono a creare valore per il Fondo) e a società fiduciarie o società di persone costituite da manager e/o soggetti sostenitori.

Il regolamento prevede taluni limiti agli atti di disposizione di Quote da parte degli investitori, assoggettandoli alla previa approvazione della SGR.

Con riferimento alle distribuzioni, l'Istante rappresenta che sulle Quote C è riconosciuto un c.d. extra-rendimento condizionato alla circostanza che gli importi distribuibili eccedano il rimborso del capitale investito da tutti gli investitori, ed un rendimento preferenziale pari almeno al 6 per cento annuo per gli investitori in Quote A e B.

Secondo le previsioni del regolamento, la liquidazione delle quote può avvenire in ipotesi di liquidazione totale a termine (alla scadenza naturale del Fondo) o parziale anticipata in occasione di disinvestimenti parziali a favore di tutti gli investitori, contestualmente alle distribuzioni di eventuali proventi.

La liquidazione finale può altresì essere disposta in maniera anticipata con il consenso degli investitori in Quote A e B che rappresentino almeno il 75 per cento delle quote medesime, al verificarsi di situazioni, c.d. "situazioni di blocco" vale a dire situazioni che abbiano compromesso irreparabilmente il rapporto fiduciario con la SGR (cfr. art. 7.11 del regolamento).

In tali ipotesi, la SGR provvede a liquidare l'attivo del Fondo nell'interesse degli investitori, realizzando alle migliori condizioni possibili le attività che lo compongono, secondo un piano di smobilizzo predisposto dalla medesima e portato a conoscenza della Banca d'Italia.

Il regolamento prevede, altresì, a maggior tutela degli investitori in Quote A e B, una specifica clausola di claw back. Più precisamente, qualora alla data di redazione del rendiconto finale gli importi già versati ai soli investitori in Quote C fossero superiori a quelli che sarebbero stati di loro pertinenza in applicazione dei criteri suesposti, gli stessi sarebbero tenuti a restituire le somme ricevute in eccesso, che la SGR provvederebbe a distribuire a tutti gli investitori, ovvero solo agli investitori in Quote A e B a seconda del caso, in proporzione alle rispettive quote.

Ciò premesso, in data 26 luglio 2012, le Quote C erano state sottoscritte in parte (n. 2 Quote) dalla SGR, mentre l'ulteriore quota è stata sottoscritta da alcuni manager per il tramite di una società semplice, appositamente costituita.

Con riferimento alla quota sottoscritta dai manager per il tramite della società semplice, è stato chiarito che tre dei sei manager interessati, alla data di presentazione dell'istanza, hanno cessato il loro rapporto di lavoro con la SGR e, pertanto, attualmente sono esclusivamente investitori finanziari (di seguito, ex manager).

Atteso che l'ammontare complessivo del valore delle quote del Fondo ammonta a x milioni di euro, le Quote C emesse corrispondono a circa lo 0,53 per cento del totale delle quote, mentre quelle sottoscritte dai manager, ex manager e collaboratori corrispondono a circa lo 0,18 per cento.

Ciò posto, l'Istante chiede di conoscere quale sia la corretta qualificazione tributaria da riservare ai redditi derivanti dalle Quote C sottoscritte dai manager, atteso che non risulta rispettato il requisito dell'1 per cento previsto dall'articolo 60 del decreto legge 24 aprile 2017, n. 50.

 

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

 

La SGR ritiene che, ai proventi relativi alle Quote C detenute dai manager per il tramite della società semplice, possa essere applicata la disciplina contenuta nell'articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017 anche se non è soddisfatto il requisito relativo all'ammontare minimo dell'investimento complessivo che risulta inferiore all'1 per cento.

In particolare, viene evidenziato che i manager, al pari degli altri investitori, sopportano, un effettivo rischio di perdita del capitale investito e che non sussiste alcun automatismo, o diritto dei manager, in funzione del quale, alla risoluzione del rapporto di lavoro, ne consegua l'uscita dei manager dall'investimento.

Al riguardo, l'Istante sottolinea che ad oggi alcuni degli investitori in Quote C, pur avendo cessato il proprio rapporto di lavoro con la SGR, mantengono inalterata la titolarità delle quote medesime ed il diritto all'extrarendimento ad esse correlato.

La totale assenza di previsione di clausole di good/bad leapership, comporta, a parere dell'Istante, che il rendimento delle Quote C sia indipendente dalla esistenza, o meno, del rapporto di lavoro al momento del realizzo.

Viene, infine, dichiarato che la remunerazione dei manager per la propria attività è in linea con le migliori prassi di mercato e prevede la corresponsione di una parte fissa, una parte variabile e benefit in natura.

 

Parere dell'Agenzia delle entrate

 

L'articolo 60, comma 1, decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 stabilisce che i «proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, percepiti da dipendenti ed amministratori ditali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati», si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, «in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi».

La presunzione in questione, operante ope legis, è, tuttavia, applicabile in presenza delle condizioni individuate dal medesimo articolo, comma 1, lettere a), b) e c), ovvero:

«a) l'impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori di cui al presente comma, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l'1 per cento dell'investimento complessivo effettuato dall'organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti;

b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i suindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all'organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell'investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo;

c) le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione».

Come chiarito dalla relazione illustrativa al citato decreto legge n. 50 del 2017, la sussistenza dei richiamati requisiti è garanzia di un allineamento fra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell'investimento e di rischio di perdita del capitale investito, ciò che costituisce la ratio dell'assimilazione dei proventi in argomento ai redditi di natura finanziaria.

La circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E ha chiarito che la carenza di uno o più dei presupposti stabiliti dalla norma in esame non determina l'automatica qualificazione dei proventi come redditi collegati alla prestazione lavorativa, ma richiede lo svolgimento di un'analisi volta a verificare, caso per caso, l'idoneità dell'investimento a determinare quell'allineamento citato che consente di attribuire alle somme in argomento natura finanziaria.

A tale proposito, il richiamato documento di prassi ha chiarito che l'eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le medesime caratteristiche da parte degli altri soci (al pari del management), nonché la presenza di una adeguata remunerazione per l'attività lavorativa svolta da parte del manager possono fungere da indicatori della natura finanziaria del reddito in questione; ed altresì che un ulteriore criterio di valutazione è nell'idoneità dell'investimento, anche in termini di ammontare, a garantire l'allineamento di interessi tra investitori e management e la conseguente esposizione di quest'ultimo al rischio di perdita del capitale investito. Se tale caratteristica può costituire un indice della natura finanziaria del provento, pattuizioni che incidano in senso negativo sulla posizione di rischio del manager mal si conciliano con la qualificazione dello stesso come reddito di capitale o diverso.

Riguardo alle clausole di good o bad leavership, in linea generale la loro presenza costituisce un indicatore utile a collegare il provento all'impegno profuso dal manager nell'attività lavorativa (e quindi a produrre reddito di lavoro).

Non può escludersi, tuttavia che la ricorrenza di altri elementi di segno opposto, quali ad esempio l'esposizione ad un effettivo rischio di perdita del capitale investito, possano far propendere per la natura finanziaria del provento.

Viceversa, consentire al manager di mantenere la titolarità degli strumenti finanziari anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro costituisce un'indicazione sufficiente ad escludere in radice uno stretto legame con l'attività lavorativa del manager, ed indica la natura finanziaria del reddito in questione.

Infine, un ulteriore elemento di valutazione, per quanto riguarda i fondi di grandi dimensioni, è desumibile dalla stessa relazione illustrativa nella quale è precisato - con riferimento ai proventi disciplinati dalla norma - che "le azioni, quote o strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati possono essere detenuti anche da altri investitori, dalla stessa società di gestione o dai relativi soci". L'eventuale detenzione di strumenti finanziari aventi le medesime caratteristiche da parte degli altri soci (al pari del management), può essere un indicatore della natura finanziaria del reddito in questione nella misura in cui riflette la remunerazione del rischio di perdita assunto con l'investimento.

Per quanto concerne il caso in esame, con particolare riferimento al rispetto del requisito di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017, ovvero all'impegno di investimento minimo da parte dei titolari di Quote C, la SGR ha dichiarato che tale requisito non è integrato in quanto l'investimento complessivo effettuato dai manager è pari allo 0,18 per cento dell'investimento complessivo del Fondo.

Non essendo soddisfatto il primo requisito, come detto, la qualificazione fiscale dei proventi derivanti dalle Quote C quali reddito di capitale o diverso non opera ope legis e, conseguentemente, si rende necessaria un'analisi delle caratteristiche dell'investimento ai fini dell'individuazione della natura reddituale dei proventi.

Con riferimento al piano di investimento delineato, si sottolinea preliminarmente che le previsioni in esso contenute rispettano gli ulteriori requisiti previsti dalla norma in quanto si prevede che l'extra-rendimento sulle Quote C del Fondo, sarà pagato esclusivamente se l'ammontare distribuibile eccede il rimborso del capitale investito da tutti gli investitori e un rendimento pari almeno al 6 per cento annuo per gli investitori in Quote A e B.

Inoltre, il requisito della detenzione per un periodo minimo non inferiore ad un quinquennio - la cui ricorrenza, in genere, è verificabile unicamente a posteriori - risulta nel caso di specie rispettato essendo decorsi circa 9 anni dall'investimento.

Nella valutazione dell'investimento in Quote C assume particolare rilevo la circostanza che le stesse siano state sottoscritte anche da investitori diversi dai manager, vale a dire dalla SGR nonché da ex manager. Come ricordato nella circolare n. 25/E del 2017 tale circostanza rappresenta un significativo indicatore della natura finanziaria del reddito in questione.

Parimenti assume rilevo l'assenza clausole di good/bad leadership, volte a condizionare il riconoscimento dell'extra-rendimento all'esistenza di un rapporto lavorativo nonché l'assenza di clausole in funzione delle quali, alla risoluzione del rapporto di lavoro del manager consegua un diritto in capo all'emittente o agli altri soci di riacquistare le quote del manager uscente, limitandone così la possibilità di mantenere l'investimento.

La totale assenza di previsione di tali clausole comporta che il rendimento delle Quote C sia indipendente dalla esistenza, o meno, del rapporto di lavoro al momento del realizzo, mancando il collegamento tra l'extra-rendimento generato e l'attività lavorativa prestata.

Infine in merito alla congruità della misura della retribuzione, viene dichiarato che quella percepita dai manager in relazione all'attività lavorativa prestata dagli stessi presso la SGR è pienamente allineata agli standard di settore. La stessa remunerazione è composta da una parte fissa, di una parte variabile (in funzione di indicatori economici, finanziari ed operativi) e ulteriori benefit.

Le circostanze rilevate, unite all'assenza di previsioni che limitino l'esposizione degli investitori in Quote C ad un effettivo rischio di perdita del capitale investito, portano ad escludere che i proventi in esame abbiano la funzione di integrare la retribuzione ordinaria, costituendo invece una modalità di remunerazione del capitale investito inquadrabile tra i redditi di capitale o tra i redditi diversi.

Il presente parere viene reso esclusivamente in relazione al quesito formulato, sulla base degli elementi rappresentati, assunti acriticamente così come illustrati nell'istanza di interpello, ed esula da ogni valutazione circa fatti e/o circostanze non rappresentate nell'istanza e riscontrabili solo in eventuale sede di accertamento anche sotto il profilo dell'abuso del diritto ai sensi dell'articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212.