Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 ottobre 2021, n. 27624

Tributi - Imposta di registro - Serie di operazioni negoziali - Art. 20 del DPR n. 131 del 1986 - Riqualificazione come atto unitario di cessione di azienda - Illegittimità

 

Rilevato che

 

1.1 La F. Immobiliare srl propone cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 80/30/2013 del 14.5.2013, con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione per maggiore imposta di registro ed ipocatastale notificatole dall’agenzia delle entrate con riguardo ad una serie di operazioni negoziali da quest’ultima riqualificate - ex art. 20 d.P.R. 131/86 - come atto unitario di cessione di azienda, e così ricostruite:

- 20 maggio 2009, costituzione, da parte della D.B. coop.soc. Onlus, della L. srl a socio unico;

- 3 novembre 2009, conferimento dalla prima alla seconda di un ramo di azienda costituito da ristorante - bar ed unità residenziali annesse;

- 3 novembre 2009, cessione dell'intero capitale sociale della L. srl alla ricorrente F. Immobiliare srl;

- 22 dicembre 2009, fusione per incorporazione della L. srl nella F. Immobiliare srl.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che:

- legittimamente l'amministrazione finanziaria avesse riqualificato unitariamente le operazioni in questione, in quanto inte-granti violazione del divieto di atti elusivi, e poste in essere in abuso del diritto;

- correttamente la riqualificazione di queste plurime operazioni in termini di unitaria cessione di azienda muoveva, ex articolo 20 d.P.R. 131/86, dalla considerazione del rilievo preminente e sostanziale della causa reale del contratto e della effettività della regolamentazione degli interessi perseguita dalle parti.

1.2 La controricorrente agenzia delle entrate ha depositato memoria.

Con ordinanza interlocutorie 24.10.19 e 2.12.20, in esito a procedimento camerale, il ricorso è stato rinviato a nuovo ruolo in attesa dell’intervento delle decisioni della Corte Costituzionale sull’art.20 Tur.

2. Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione opposta dall’Avvocatura dello Stato.

Si deve infatti considerare che l'esposizione formalmente cumulativa, nell'ambito dello stesso motivo, di più doglianze, in tanto rende inammissibile il motivo stesso, in quanto non sia possibile ricondurre queste ultime a specifici profili di impugnazione; le censure, anche se cumulate, devono infatti essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare i singoli profili di lagnanza teoricamente proponibili, al fine di ricondurli - prima di decidere su di essi - ad uno dei mezzi d'impugnazione resi tipici dall’art.360, co. 1^, cpc. Altrimenti detto, l’esposizione coacervata delle doglianze risulta difforme dal modello legale dei motivi di ricorso per cassazione, non sempre e comunque, ma allorquando sia tale da impedire, o anche soltanto rendere difficoltosa, la effettiva, pronta ed univoca individuazione delle questioni prospettate (Cass. 26790/18; 8915/18; 7009/17 ed altre).

Ora, applicando questi principi al caso di specie, va rilevato come i motivi di ricorso per cassazione siano in effetti rubricati in maniera cumulativa con riguardo alle fattispecie di cui ai nn. 3) e 5) del citato articolo 360 cpc; e tuttavia, l'esposizione contenutistica delle cinque doglianze non può dirsi per ciò soltanto impeditiva della esatta individuazione delle censure ascritte all'una ovvero all'altra tipologia di doglianza. Da essa si evince infatti con sufficiente chiarezza e precisione la direzionalità di tali censure, vuoi al vizio di motivazione vuoi alla violazione o falsa applicazione di norme specificamente individuate, e tutte in sostanza riconducibili all'articolo 20 TUR ed alla disciplina codicistica della causa del contratto.

Altro è a dire - sulla premessa appunto della ammissibilità dei motivi per difetto di una cumulatività veramente ostativa - che sia effettivamente inammissibile quella censura qui specificamente mossa per vizio di motivazione ai sensi del n.5) dell'articolo 360 cit.; e però, non perché coacervata, bensì perché priva di ogni riferimento alla nuova disciplina della doglianza dedotta, oggi non facente più richiamo alla omessa, carente o insufficiente motivazione, ma senz'altro all’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio. Per il che si ritiene sufficiente rinviare a quanto stabilito, anche con riguardo al ricorso per cassazione avverso sentenza del giudice tributario, dalle sezioni unite di questa corte di legittimità con la nota sentenza n. 8053/14, innumerevoli volte ribadita.

Resta tuttavia, nella concretezza del caso, la piena ammissibilità - ed anche la fondatezza, come si dirà - della censura invece specificamente mirata sulla violazione di legge ex art.360, co.1^, n.3) cod.proc.civ..

3. Con i cinque motivi di ricorso si lamenta - ex art.360, co.1^, nn. 3 e 5 cpc - omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 20 d.P.R. 131/86, e 1362 segg. c.c.

Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che:

- (primo motivo) ai fini della riqualificazione dell'atto ex articolo 20 citato, rilevavano gli effetti giuridici e non economici delle operazioni, risultando inoltre irrilevanti gli atti ed i comportamenti estranei all'atto presentato alla registrazione (imposta d’atto);

- (secondo motivo) non sussisteva nella specie alcuna elusione né abuso del diritto, dal momento che gli atti posti in essere trovavano una logica e coerente giustificazione economica diversa dal mero risparmio di imposta;

- (terzo motivo) l’elusività del conferimento di azienda secondo il regime di continuità dei valori fiscali e la successiva cessione della partecipazione ricevuta andava esclusa per lo stesso tenore di legge, stante quanto stabilito dall'articolo 176, terzo comma, TUIR;

- (quarto motivo) l'avviso di liquidazione impugnato era illegittimo anche per difetto di chiarezza (art.7 l.212/00) nella quantificazione del tributo preteso, indicato in due importi diversi e senza specificazione del modo di procedere adottato;

- (quinto motivo) ulteriore ragione di illegittimità dell'avviso di liquidazione impugnato andava individuata nella mancata previa instaurazione di contraddittorio preventivo, ex articolo 37 bis, co.4^, dpr 600 del 1973.

4.1 E’ fondato, con effetto assorbente di ogni altra censura, il primo motivo di ricorso, sotto il profilo della effettiva violazione dell’art.20 TUR in tema di «interpretazione degli atti» assoggettati ad imposta di registro.

Si tratta di una disposizione di legge che è stata fatta oggetto - nel corso del presente giudizio - di modificazioni di diretta e fondamentale incidenza sul caso in esame.

L’art. 1, comma 87, lett. a), della l. 27 dicembre 2017, n. 205 (cd. legge di bilancio 2018) ne ha infatti modificato la previgente formulazione («L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente»), la quale trova oggi una più circoscritta definizione normativa.

Ribadito il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo di riforma - superando un opposto orientamento applicativo di legittimità - ha ristretto l’oggetto dell’interpretazione al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili. Non rilevano quindi più, come espressamente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali: «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».

Successivamente a questa prima modificazione - ed anche in tal caso a seguito di un diverso avviso di legittimità - il legislatore è nuovamente intervenuto per affermare la natura interpretativa autentica, e dunque retroattiva, della nuova formulazione dell’art.20, così come risultante dopo la cit. l. 205/17.

Il 1° gennaio 2019, infatti, è entrato in vigore l’art.1, comma 1084, della l. 30 dicembre 2018, n. 145 (bilancio di previsione per l’anno 2019), secondo cui: «L’art. 1, comma 87, lett. a), della l. 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’art. 20, comma 1, del testo unico di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131».

Dal che si evince come la riformulazione in esame (nel senso della esclusione, dal processo di qualificazione dell’atto, degli elementi extratestuali e di collegamento negoziale) si renda applicabile - fermi i rapporti di registrazione ormai esauriti o coperti dal giudicato - anche agli atti negoziali posti in essere, come quello qui dedotto, prima del 1° gennaio 2018.

A completare la ricostruzione del travagliato quadro interpretativo, va detto che questa corte di legittimità, con la già citata ordinanza n. 23549/19, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in rapporto agli articoli 53 e 3 Cost., dell'articolo 20 così come risultante dagli interventi apportati dai citati art. 1, co.87^, l. 205/17 (l. di bilancio 2018) ed art.1, co.1084^, l.145/18 (l. di bilancio 2019), "nella parte in cui dispone che, nell'applicare l'imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall'atto stesso, "prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi".

Richiamato il pregresso consolidato orientamento di legittimità sulla rilevanza qualificatoria della causa concreta del contratto e del collegamento negoziale, ed assodato che anche in base alla riforma del 2017 l'interpretazione dell'atto deve rispondere (indipendentemente da finalità antielusive) a criteri di sostanza e non puramente formali e nominali, si è in sintesi ritenuto che l'esclusione, dall’attività di qualificazione, degli elementi extratestuali e di collegamento negoziale potesse fondatamente incidere sia sul principio di capacità contributiva (art.53 Cost.), impedendo di cogliere il reale sostrato economico risultante dall’atto presentato alla registrazione (inteso non come documento ma quale complesso negoziale con causa unitaria); sia sul principio di uguaglianza e ragionevolezza (art.3 Cost.), sottraendo ad imposizione di registro manifestazioni di forza economica non razionalmente e coerentemente differenziabili sulla base del solo fatto esteriore che le parti abbiano stabilito di attuare il proprio assetto di interessi con un unico atto negoziale piuttosto che con più atti tra loro collegati.

Con la, anch’essa già citata, sentenza n. 158/2020 (GU 22/7/2020) la Corte Costituzionale ha tuttavia ritenuto non fondati i dubbi così sollevati, osservando che:

- ferma restando l’insindacabilità da parte del giudice delle leggi della interpretazione evolutiva attribuita dalla Corte di Cassazione, in funzione nomofilattica, all’art.20 in parola, siccome riferita alla causa concreta dell'atto ed alla rilevanza del collegamento negoziale, non può dirsi, diversamente da quanto affermato dal giudice remittente, che tale interpretazione sia l'unica costituzionalmente necessitata, essendo in-fatti compatibili con la Costituzione anche nozioni diverse di "atto presentato alla registrazione" e di "effetti giuridici" in relazione alle quali considerare la capacità contributiva espressa;

- la scelta del legislatore del 2017 di discrezionalmente escludere ogni rilevanza agli elementi extratestuali ed ai negozi collegati (salvo che negli specifici casi desumibili da diverse disposizioni dello stesso TU Registro) deve ritenersi non arbitraria, ed anzi coerente con i principi ispiratori dell'imposta di registro e, in particolare, sia con la sua natura, storicamente riconosciuta, di "imposta d’atto", sia con la tipizzazione tariffaria e per effetti giuridici, non economici, degli atti imponibili;

- la tesi dell’interpretazione dell'atto incentrata sulla nozione di causa reale non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento dell'articolo 10 bis della legge 212 del 2000, poiché "consentirebbe all'amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall'altro, di svincolarsi da ogni riscontro di "indebiti" vantaggi fiscali e di operazioni "prive di sostanza economica", precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell'ordinamento tributario nazionale e dell'Unione europea)".

La stessa questione di legittimità costituzionale già esaminata da C.Cost. 158/20 è stata sollevata, con ordinanza di rimessione 13 novembre 2019, anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna la quale ha altresì sottoposto al vaglio del giudice delle leggi, in via subordinata, la diversa ed ulteriore questione della legittimità costituzionale del cit. art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, in forza del quale l’art. 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017 «costituisce interpretazione autentica» del censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986.

A detta della CTP (che ha sollevato la questione ex artt. 3, 81, 97, 101, 102, 108 e 24 Cost.) l’attribuzione testuale di carattere interpretativo autentico alla norma innovativa (escludente il collegamento negoziale dall’attività di qualificazione dell’atto ex art.20) sarebbe unicamente finalizzata a sancire la retroattività della novella (effetto tipico, appunto, delle norme di interpretazione autentica), e ciò in presenza di tre profili di irragionevolezza:

- la mancanza di un preesistente contratto interpretativo, stante il consolidato orientamento di legittimità (poc'anzi riportato) secondo cui, al contrario, l’atto da registrare andrebbe qualificato anche in virtù del suo collegamento causale con atti ed elementi esterni;

- la non prevedibilità da parte degli operatori della innovazione apportata, costituente una sorta di "forzatura" del legislatore rispetto ad un quadro interpretativo che, sebbene in senso opposto, doveva ritenersi del tutto certo e non necessitante di chiarimenti;

- l’insussistenza di "motivi imperativi di interesse generale" giustificanti l’adozione eccezionale di una norma retroattiva, come tale destinata ad interferire anche sui procedimenti in corso e sulla "parità delle armi" tra i contendenti (art.6 CEDU).

Ulteriori dubbi di legittimità sono poi stati dedotti sotto il profilo della menomazione delle ragioni di bilancio, della indebita ingerenza del legislatore nella sfera di autonomia del potere giudiziario, della violazione del diritto di difesa dell’amministrazione finanziaria nei giudizi da questa già radicati sulla base della precedente lettura dell’art.20.

Orbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39/21 (GU 17/3/21), ha richiamato - quanto alla legittimità in sé del nuovo testo dell’art.20 - il convincimento di infondatezza della questione così come già emerso con la menzionata sentenza n. 158/20; ha quindi dichiarato inammissibili (ex artt. 24, 81, 97, 101, 102 e 108 Cost.), ovvero infondati (ex art.3 Cost.), gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sulla retroattività "per interpretazione autentica" della nuova disciplina.

In ordine a quest’ultimo profilo, ha osservato la Corte che:

- non è irragionevole attribuire efficacia retroattiva ad un intervento che abbia carattere di sistema come quello inciso, posto che il legislatore ha in tal modo "certamente fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, più che all'ambito semantico di una singola disposizione, a quello dell'intero ‘impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell'imposta di registro", dove la sua origine storica di "imposta d'atto" «non risulta superata dal legislatore positivo» (sentenza n. 158 del 2020)"; nemmeno, l’intervento può dirsi irragionevole quando esso sia determinato "dall'intento di rimediare a un'opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993)", fermo restando che l’interpretazione di legittimità dell’art.20 non risultava comunque del tutto monolitica, trovando anche forte dissenso nella dottrina;

- non può dirsi che la modificazione legislativa fosse a tal punto "imprevedibile" da palesarsi irragionevole (neppure nella sua attribuita efficacia retroattiva), ponendosi invece essa su un piano di rispettata "coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico", secondo quanto già osservato con la sentenza 158/20;

- quanto alla asserita violazione del principio di uguaglianza, valgono i principi già evidenziati in quest’ultima pronuncia sul fatto che la disciplina del 2017 non leda l’art. 3 (e neppure l’art.53 Cost.), dovendosi qui aggiungere (per quanto concerne lo specifico aspetto della retroattività) che "nella giurisprudenza sovranazionale si riconosce che le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona ‘contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazioné e non viceversa".

4.2 All’esito del complesso iter normativo e giurisprudenziale così riassunto, la sentenza della commissione tributaria regionale qui impugnata non può dunque trovare condivisione, perché confermativa di un avviso di liquidazione basato proprio su un’attività di riqualificazione in termini di unitaria cessione aziendale di una serie collegata ma esterna di altri atti ed operazioni negoziali (come su ricostruiti, anche nella loro sequenza cronologica).

Vale a dire, un'attività non più consentita dalla legge e dalla natura di "imposta d’atto" che, come osservato dalla Corte Costituzionale nella menzionata pronuncia, ancora oggi riveste l’imposta di registro.

Ne segue, in definitiva, la cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito, ex articolo 384 c.p.c., mediante accoglimento del ricorso originario di parte contribuente ed annullamento dell'avviso di liquidazione opposto.

Attesi il sopravvenire in corso di causa dell'evoluzione normativa di cui si è dato conto ed il diverso orientamento interpretativo di legittimità sul quale questa evoluzione è intervenuta, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell'intero giudizio.

 

P.Q.M.

 

- accoglie il ricorso;

- cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario della parte contribuente;

- compensa le spese dell'intero giudizio.