Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 ottobre 2021, n. 27630

Tributi - Imposta di registro - Avvisi di liquidazione - Atti di cessione di rami d’azienda - Atto di cessione di partecipazione societarie - Riqualificazione in termini di unitaria cessione aziendale all’interno del medesimo gruppo familiare - Illegittimità

Rilevato che

1. L’Agenzia delle Entrate propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 4565/64/14 dell’11/9/14 con la quale la commissione tributaria regionale della Lombardia, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittimi due avvisi di liquidazione notificati a B. & D. spa in liq. ed a D.P. sas di R.D. & c. in recupero di imposta proporzionale di registro sulla seguente operazione di conferimento di rami aziendali e successiva cessione di partecipazioni societarie, dall'amministrazione finanziaria riqualificata, ai sensi dell'articolo 20 d.P.R.131/86, in termini di cessione unitaria di azienda:

- 7 dicembre 2007, conferimento da B. & D. spa di due rami aziendali, rispettivamente, a C. srl (divisione rete), ed a D. Prodotti Petroliferi srl (divisione extra rete), in sede di sottoscrizione di contestualmente deliberato aumento del capitale sociale delle conferitarie;

- 22 gennaio 2008, cessione da parte di B. & D. spa ad H.D.C. spa ed a D.P. srl delle quote di partecipazioni da essa rispettivamente detenute nelle suddette conferitarie C. srl e D. Prodotti Petroliferi srl.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto che l'operazione in oggetto non potesse trovare riqualificazione in termini di unitaria cessione aziendale, dal momento che nel caso di specie si trattava di una mera riorganizzazione aziendale di natura non elusiva ex art.37 bis d.P.R. 600/73 (cioè non ispirata da esclusive ragioni di risparmio fiscale) ed invece ispirata dall’obiettivo imprenditoriale (non sindacabile dal fisco) di creare due distinte holding familiari, in relazione alle due divisioni aziendali conferite, di pura partecipazione e controllo.

Resistono con unico controricorso e memorie tanto la B. & D. srl in liq. (dichiarata fallita il 20.10.2015) quanto i soci accomandatari ed accomandanti della D.P. sas di R.D. (cancellata dal registro imprese il 31.12.2014).

Con ordinanza interlocutoria 16.12.2020, si disponeva il rinvio a nuovo ruolo della causa, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sull’ordinanza di rimessione Commissione Tributaria Provinciale di Bologna 13.11.2019.

2.1 Con l’unico motivo di ricorso si lamenta - ex art.360, 1 co. n. 3 cod.proc.civ. - violazione e falsa applicazione degli artt. 53 Cost., 20 d.P.R.131/86, 37 bis d.P.R. 600/73 e 176 TUIR.

Per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che - nella valutazione ex art. 20 cit. di tutti gli elementi della fattispecie - la cessione di partecipazioni societarie in oggetto andava assoggettata all'imposta proporzionale di registro (estranea alla disciplina di favore ex art.176 TUIR) perché concretante, in base ai criteri della causa reale e della sostanza economica dell’atto, una unitaria cessione di rami aziendali all’interno del medesimo gruppo familiare.

2.2 Il motivo in questione - incentrato sulla corretta applicazione dell’art. 20 d.P.R.131/86 in tema di «interpretazione degli atti» assoggettati ad imposta di registro - è infondato.

Si tratta di una disposizione di legge che è stata fatta oggetto - nel corso del presente giudizio - di modificazioni di diretta e fondamentale incidenza sul caso in esame.

L’art. 1, comma 87, lett. a), della L. 27 dicembre 2017, n. 205 (cd. Legge di bilancio 2018) ne ha infatti modificato la previgente formulazione («L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente»), la quale trova oggi una più circoscritta definizione normativa.

Ribadito il principio basilare di prevalenza della sostanza sulla forma, l’intervento legislativo di riforma - superando un opposto orientamento applicativo di legittimità - ha ristretto l’oggetto dell’interpretazione al solo atto presentato alla registrazione, ed agli elementi soltanto da quest’ultimo desumibili. Non rilevano quindi più, come espressamente indicato dal legislatore, gli elementi evincibili da atti eventualmente ad esso collegati, così come quelli riferibili ad indici esterni o fonti extratestuali: «L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall'atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi».

Successivamente a questa prima modificazione - ed anche in tal caso a seguito di un diverso avviso di legittimità - il legislatore è nuovamente intervenuto per affermare la natura interpretativa autentica, e dunque retroattiva, della nuova formulazione dell’art. 20, così come risultante dopo la cit. l. 205/17.

Il 1° gennaio 2019, infatti, è entrato in vigore l’art.1, comma 1084, della l. 30 dicembre 2018, n. 145 (bilancio di previsione per l’anno 2019), secondo cui: «L’art. 1, comma 87, lett. a), della l. 27 dicembre 2017, n. 205, costituisce interpretazione autentica dell’art. 20, comma 1, del testo unico di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131».

Dal che si evince come la riformulazione in esame (nel senso della esclusione, dal processo di qualificazione dell’atto, degli elementi extratestuali e di collegamento negoziale) si renda applicabile - fermi i rapporti di registrazione ormai esauriti o coperti dal giudicato - anche agli atti negoziali posti in essere, come quello qui dedotto, prima del 1° gennaio 2018.

A completare la ricostruzione del travagliato quadro interpretativo, va detto che questa corte di legittimità, con l’ordinanza n. 23549/19, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in rapporto agli articoli 53 e 3 Cost., dell'articolo 20 così come risultante dagli interventi apportati dai citati art. 1, co.87, l. 205/17 (l. di bilancio 2018) ed art.1, co.1084, l.145/18 (l. di bilancio 2019), "nella parte in cui dispone che, nell'applicare l'imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell'atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall'atto stesso, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi".

Richiamato il pregresso consolidato orientamento di legittimità sulla rilevanza qualificatoria della causa concreta del contratto e del collegamento negoziale, ed assodato che anche in base alla riforma del 2017 l'interpretazione dell’atto deve rispondere (indipendentemente da finalità antielusive) a criteri di sostanza e non puramente formali e nominali, si è in sintesi ritenuto che l'esclusione, dall’attività di qualificazione, degli elementi extratestuali e di collegamento negoziale potesse fondatamente incidere sia sul principio di capacità contributiva (art.53 Cost.), impedendo di cogliere il reale sostrato economico risultante dall’atto presentato alla registrazione (inteso non come docu-mento ma quale complesso negoziale con causa unitaria); sia sul principio di uguaglianza e ragionevolezza (art.3 Cost.), sottraendo ad imposizione di registro manifestazioni di forza economica non razionalmente e coerentemente differenziabili sulla base del solo fatto esteriore che le parti abbiano stabilito di attuare il proprio assetto di interessi con un unico atto negoziale piuttosto che con più atti tra loro collegati.

Con la sentenza n. 158/2020 (GU 22/7/2020) la Corte Costituzionale ha tuttavia ritenuto non fondati i dubbi così sollevati, osservando che:

- ferma restando l’insindacabilità da parte del giudice delle leggi della interpretazione evolutiva attribuita dalla Corte di Cassazione, in funzione nomofilattica, all’art. 20 in parola, siccome riferita alla causa concreta dell'atto ed alla rilevanza del collegamento negoziale, non può dirsi, diversamente da quanto affermato dal giudice remittente, che tale interpreta-zione sia l'unica costituzionalmente necessitata, essendo infatti compatibili con la Costituzione anche nozioni diverse di "atto presentato alla registrazione" e di "effetti giuridici" in relazione alle quali considerare la capacità contributiva espressa;

- la scelta del legislatore del 2017 di discrezionalmente escludere ogni rilevanza agli elementi extratestuali ed ai negozi collegati (salvo che negli specifici casi desumibili da diverse disposizioni dello stesso TU Registro) deve ritenersi non arbitraria, ed anzi coerente con i principi ispiratori dell’imposta di registro e, in particolare, sia con la sua natura, storicamente riconosciuta, di "imposta d’atto", sia con la tipizzazione tariffaria e per effetti giuridici, non economici, degli atti imponibili;

- la tesi dell’interpretazione dell'atto incentrata sulla nozione di causa reale non appare coerente con la sopravvenuta introduzione nell’ordinamento dell'articolo 10 bis della legge 212 del 2000, poiché "consentirebbe all'amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall'altro, di svincolarsi da ogni riscontro di "indebiti" vantaggi fiscali e di operazioni "prive di sostanza economica", precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell'ordinamento tributario nazionale e dell'Unione europea)".

La stessa questione di legittimità costituzionale già esaminata da C.Cost. 158/20 è stata sollevata, con ordinanza di rimessione 13 novembre 2019, anche dalla Commissione Tributaria Provinciale di Bologna la quale ha altresì sottoposto al vaglio del giudice delle leggi, in via subordinata, la diversa ed ulteriore questione della legittimità costituzionale del cit. art. 1, comma 1084, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, in forza del quale l’art. 1, comma 87, lettera a), della legge n. 205 del 2017 «costituisce interpretazione autentica» del censurato art. 20 del d.P.R. n. 131 del 1986.

A detta della CTP (che ha sollevato la questione ex artt. 3, 81, 97, 101, 102, 108 e 24 Cost.) l’attribuzione testuale di carattere interpretativo autentico alla norma innovativa (escludente il collegamento negoziale dall’attività di qualificazione dell’atto ex art.20) sarebbe unicamente finalizzata a sancire la retroattività della novella (effetto tipico, appunto, delle norme di interpretazione autentica), e ciò in presenza di tre profili di irragionevolezza:

- la mancanza di un preesistente contrasto interpretativo, stante il consolidato orientamento di legittimità (poc’anzi riportato) secondo cui, al contrario, l’atto da registrare andrebbe qualificato anche in virtù del suo collegamento causale con atti ed elementi esterni;

- la non prevedibilità da parte degli operatori della innovazione apportata, costituente una sorta di "forzatura" del legislatore rispetto ad un quadro interpretativo che, sebbene in senso opposto, doveva ritenersi del tutto certo e non necessitante di chiarimenti;

- l’insussistenza di "motivi imperativi di interesse generale" giustificanti l’adozione eccezionale di una norma retroattiva, come tale destinata ad interferire anche sui procedimenti in corso e sulla "parità delle armi" tra i contendenti (art.6 CEDU).

Ulteriori dubbi di legittimità sono poi stati dedotti sotto il profilo della menomazione delle ragioni di bilancio, della indebita ingerenza del legislatore nella sfera di autonomia del potere giudiziario, della violazione del diritto di difesa dell’amministrazione finanziaria nei giudizi da questa già radicati sulla base della precedente lettura dell’art.20.

Orbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 39/21 (GU 17/3/21), ha richiamato - quanto alla legittimità in sé del nuovo testo dell’art.20 - il convincimento di infondatezza della questione così come già emerso con la menzionata sentenza n. 158/20; ha quindi dichiarato inammissibili (ex art. 24, 81, 97, 101, 102 e 108 Cost.), ovvero infondati (ex art.3 Cost.), gli ulteriori dubbi di legittimità costituzionale sulla retroattività "per interpretazione autentica" della nuova disciplina.

In ordine a quest’ultimo profilo, ha osservato la Corte che:

- non è irragionevole attribuire efficacia retroattiva ad un intervento che abbia carattere di sistema come quello inciso, posto che il legislatore ha in tal modo "certamente fissato uno dei contenuti normativi riconducibili, più che all'ambito semantico di una singola disposizione, a quello dell'intero "impianto sistematico della disciplina sostanziale e procedimentale dell'imposta di registro", dove la sua origine storica di "imposta d'atto" «non risulta superata dal legislatore positivo» (sentenza n. 158 del 2020)"; nemmeno, l’intervento può dirsi irragionevole quando esso sia determinato "dall'intento di rimediare a un'opzione interpretativa consolidata nella giurisprudenza (anche di legittimità) che si è sviluppata in senso divergente dalla linea di politica del diritto giudicata più opportuna dal legislatore (sentenza n. 402 del 1993)", fermo restando che l’interpretazione di legittimità dell’art.20 non risultava comunque del tutto monolitica, trovando anche forte dissenso nella dottrina;

- non può dirsi che la modificazione legislativa fosse a tal punto "imprevedibile" da palesarsi irragionevole (neppure nella sua attribuita efficacia retroattiva), ponendosi invece essa su un piano di rispettata "coerenza interna della struttura dell'imposta con il suo presupposto economico", secondo quanto già osservato con la sentenza 158/20; - quanto alla asserita violazione del principio di uguaglianza, valgono i principi già evidenziati in quest’ultima pronuncia sul fatto che la disciplina del 2017 non leda l’art. 3 (e neppure l’art.53 Cost.), dovendosi qui aggiungere (per quanto concerne lo specifico aspetto della retroattività) che "nella giurisprudenza sovranazionale si riconosce che le norme della CEDU sono volte a tutelare i diritti della persona "contro il potere dello Stato e della Pubblica Amministrazione" e non viceversa".

2.3 All’esito del complesso iter normativo e giurisprudenziale così riassunto, la sentenza della commissione tributaria regionale qui impugnata deve dunque trovare condivisione, perché confermativa della illegittimità di avvisi di liquidazione basati proprio su un’attività di riqualificazione in termini di unitaria cessione aziendale di una serie collegata di atti, riconsiderati in ragione dei loro effetti economici (trasferimento della titolarità aziendale sostanziale e delle relative prerogative) e non giuridici.

Diversamente da quanto esposto dalla agenzia ricorrente, non si tratta di diversamente valutare gli elementi da essa forniti a riscontro della "sostanziale" natura di cessione aziendale attribuibile alle funzionali e collegate operazioni, qui poste in essere, di conferimento e cessione della relativa partecipazione, quanto di escludere in radice la qualificazione dell’atto ai fini dell’art.20 cit. (norma di legge sulla quale è stata ab initio basata la pretesa impositiva) in forza del nesso funzionale e di collegamento.

Come detto, si tratta di attività qualificatoria non più consentita dalla legge e dalla natura di "imposta d’atto" che, come osservato dalla Corte Costituzionale nella menzionata pronuncia, ancora oggi riveste l’imposta di registro.

Ne segue, in definitiva, il rigetto del ricorso.

In ragione della complessa evoluzione interpretativa e normativa in materia, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

- rigetta il ricorso;

- compensa le spese.