Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 settembre 2021, n. 35234

Infortunio sul lavoro - Violazione delle norme sulla prevenzione - Lesioni gravi - Responsabilità

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

 

1. Con l'impugnata decisione, giudicando in sede di rinvio disposto da questa Corte, Sez. 4, con sentenza n. 13494 del 22 gennaio 2020 - la quale aveva annullato la sentenza della Corte di appello di Cagliari del 29 maggio 2019 limitatamente all'omessa pronuncia sulle richieste di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e sulla richiesta di sospensione condizionale dell'esecuzione della pena inflitta al solo D. -, la Corte di Cagliari confermava la decisione resa dal Tribunale di Cagliari, la quale aveva condannato L.D. e D.M. alla pena di giustizia, con i doppi benefici per il D., per il reato di lesioni colpose, aggravato dalla violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

2. Avverso l'indicata sentenza, gli imputati, per mezzo del comune difensore di fiducia, con un unico atto propongono ricorso per cassazione, affidato a un motivo, con cui deducono il vizio di motivazione.

Assume il difensore, in primo luogo, che la Corte di merito avrebbe negato agli imputati l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche con motivazione illogica e inconsistente, perché, per un verso, non si è considerato né il contegno collaborativo dei ricorrenti, i quali hanno prestato il consenso all'acquisizione di sommarie informazioni testimoniali, il che ha reso più celere l'attività istruttoria, né lo stato di incensuratezza, e, per altro verso, si è censurato il silenzio opposto dagli imputati, che, invece, costituisce un'estrinsecazione del diritto di difesa, garantito dall'art. 24 Cost.

In secondo luogo, la Corte d'appello avrebbe negato i presupposti per la sospensione condizionale dell'esecuzione della pena nei confronti del D. con una motivazione di stile, e considerando che, diversamente da quanto affermato dai giudici dell'appello, l'imputato è soggetto incensurato, come risulta dal certificato penale allegato al ricorso, e, in ogni caso, la Corte di merito non avrebbe motivato in relazione al giudizio prognostico ex art. 164 cod. pen.

3. I ricorsi sono inammissibili.

4. Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale, nel confermare le conclusioni del primo giudice, per un verso ha indicato, come elemento ostativo di carattere assorbente, il grado della colpa, avendo gli imputati violato una pluralità di norme specificatamente finalizzate a prevenire il verificarsi di infortuni sul lavoro, ciò che ha causato lesioni gravi alla persona offesa, inabile alle occupazioni per il periodo di 204 giorni, e, per altro verso, non ha individuato alcun elemento valorizzabile a tale scopo, non avendo gli imputati mostrato segni di resipiscenza, né contribuito all'accertamento dei fatti.

A fronte di tale apparato motivazionale, il ricorso non solo non si confronta criticamente con la prima ratio decidendi, incentrata sulla gravità della colpa, ma appare generico, non indicando elementi che, se valutati, avrebbero giustificato una mitigazione della pena, tali non essendo né l'incensuratezza, per espressa previsione normativa ex art. 62-bis, comma 3, cod. pen., né il consenso all'acquisizione agli atti di indagine ex art. 493, comma 3, cod. proc. pen., trattandosi di una manifestazione di volontà espressa dal difensore, che costituisce, appunto, un'estrinsecazione della difesa tecnica con riferimento alla strategia nell'acquisizione della prova in sede dibattimentale, e che, evidentemente, è del tutto neutra rispetto alla posizione degli assistiti.

5. In relazione, poi, al mancato rinascimento, nei confronti di D., della sospensione condizionale della pena, la Corte di merito ha evidenziato che costui ne ha già usufruito due volte - e, segnatamente, con sentenze emesse dal G.i.p. del Tribunale di Bari ex art. 444 cod. proc. pen. l'1 dicembre 1998 e dal Tribunale di Taranto-sezione distaccata di Ginosa il 30 gennaio 2001, come emerge dal certificato del casellario in atti, rilasciato per ragioni di giustizia ex art. 21 d.P.R. n. 313 del 2002 (mentre quello prodotto dal ricorrente è stato rilasciato ai sensi dell'art. 23 d.P.R. cit., in cui non sono iscritte le condanne ex art. 444 cod. proc. pen. e quelle in cui è stata ordinata la non menzione ex art. 175 cod. pen.) - sicché il beneficio non è concedibile per la terza volta, giusto il disposto dell'art. 164, comma 4, cod. pen.

7. Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.