Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 settembre 2021, n. 24700

Dirigente amministrativo - Riliquidazione della pensione integrativa e della buonuscita - Maggiori competenze per superiori mansioni

 

Fatto

 

1. Con ordinanza 15 marzo 2019, questa Corte di Cassazione rigettava le domande di L.R., dipendente dell'Inps con qualifica di ispettore generale, di riliquidazione della pensione integrativa e della buonuscita sulla base della retribuzione di dirigente amministrativo (per avere svolto tale mansione dal 1 luglio 1998 al 31 agosto 1999, con riconoscimento giudiziale delle relative differenze retributive) e di condanna dell'Istituto al pagamento delle differenze di pensione e di indennità di buonuscita (pari quest'ultima alla somma di €. 106.017,42): così decidendo nel merito, a seguito della cassazione della sentenza della Corte d'appello di Roma, di rigetto dell'appello dell'Inps avverso la sentenza di primo grado, che aveva invece accolto le domande del lavoratore.

2. Nel solco di un richiamato indirizzo consolidato, la Corte di legittimità ribadiva l'esclusione dal computo della pensione integrativa e dell'indennità di buonuscita delle maggiori competenze per superiori mansioni di fatto svolte, in quanto emolumenti né fissi, né continuativi, in ragione di espletamento di un incarico temporaneo di reggenza.

3. Con atto notificato il 12 settembre 2019, il lavoratore ricorreva per revocazione con unico motivo, cui resisteva l'Inps con controricorso.

4. Il RG. rassegnava conclusioni scritte, a norma dell'art. 23, comma 8bis della legge n. 176/20 di conversione del decreto legge n. 137/20, nel senso dell'inammissibilità del ricorso.

5. Entrambe le parti comunicavano memorie finali.

 

Motivi della decisione

 

1. In via preliminare, occorre riscontrare l'eccezione, formulata dal ricorrente con memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c. nella declinazione camerale del rito introdotta dell'art. 23, comma 8bis citato, di inammissibilità del controricorso dell'Inps, per difetto di rappresentanza del dott. G.D.M. conferente la procura alle liti ai difensori Avv.ti C.C. e A.G..

In linea di diritto, vige il principio secondo cui la persona fisica che rivesta la qualità di organo della persona giuridica non ha l'onere di dimostrare tale veste, spettando invece alla parte che ne contesta la sussistenza l'onere di formulare tempestiva eccezione e fornire la relativa prova negativa; ed esso si applica anche al caso in cui la persona giuridica si sia costituita in giudizio per mezzo di persona diversa dal legale rappresentante, se tale potestà derivi dall'atto costitutivo o dallo statuto; laddove invece il conferimento dei poteri rappresentativi del soggetto che si costituisca nel giudizio di cassazione sia avvenuto con procura notarile, questa deve essere depositata con il ricorso o il controricorso, a pena di inammissibilità (Cass. 15 gennaio 2021, n. 576). E qualora ciò non si verifichi, nell'impossibilità di controllo da parte del giudice di legittimità della legittimazione del delegante a una valida rappresentazione processuale e sostanziale della persona giuridica, il ricorso o il controricorso deve essere dichiarato inammissibile (Cass. 13 aprile 1999, n. 3643; Cass. 7 maggio 2019, n. 11898).

Nel caso di specie, la procura speciale alle liti è stata conferita dal dott. G.D.M. Dirigente dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e titolare dell'incarico di livello dirigenziale generale denominato "Direzione centrale risorse umane", giusta "determinazione del Presidente dell'Istituto n. xxx in data 24 gennaio 2017".

Tuttavia, nonostante la tempestiva eccezione del ricorrente nella prima difesa successiva al controricorso (Cass. s.u. 4 marzo 2016, n. 4248; Cass. 4 ottobre 2018, n. 24212; Cass. 11 marzo 2019, n. 6996), appunto con la memoria finale suindicata, l'Inps non ha provveduto, come ben avrebbe potuto, trattandosi di eccezione relativa all'ammissibilità del controricorso (Cass. 26 aprile 2005, n. 8662; Cass. 26 giugno 2006, n. 14710), al deposito del documento suindicato e contestato, idoneo a sanare il difetto, anche al di fuori delle ordinarie attività difensive, entro la data di svolgimento dell'adunanza camerale (né, tanto meno, alla sua notificazione all'altra parte, ai sensi dell'art. 372, secondo comma c.p.c.: Cass. 17 giugno 2020, n. 11699), prevista e comunicata alle parti, secondo la modulazione rituale del giudizio dall'udienza pubblica (cui esso avrebbe potuto partecipare) all'adunanza in camera di consiglio, a norma dell'art. 23, comma 8bis della legge n. 176/20 di conversione del decreto legge n. 137/20. Sicché, il controricorso deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di prova della rappresentanza dell'Istituto del soggetto conferente la procura alle liti.

2. Nel merito, con unico motivo, il ricorrente deduce errore di fatto revocatorio, ai sensi dell'art. 391bis in relazione all'art. 395, n. 4 c.p.c., per avere la Corte di legittimità supposto inesistente il fatto (la cui verità invece era stata accertata dal giudicato del Tribunale di Roma n. 13169/2004, alla base delle sentenze di merito di accoglimento della pretesa del lavoratore, né oggetto di interpretazione dall'ordinanza impugnata) della stabilità dell'incarico dirigenziale svolto dal lavoratore, non attribuitogli in sostituzione di altro dirigente, ma in via esclusiva, comportante la natura retributiva computabile a fini pensionistici e non meramente indennitaria, delle somme riconosciute dovutegli dall'Inps: così fondando la decisione sull'erronea percezione della natura temporanea e interinale dell'incarico dirigenziale e della natura indennitaria del relativo compenso.

3. Esso è inammissibile.

4. Questa Corte ha ribadito (Cass. 18 febbraio 2019, n. 4686) che l'errore che può legittimare la revocazione di una sentenza della Corte di cassazione deve riguardare gli atti "interni" al giudizio di legittimità, ossia quelli che la Corte esamina direttamente nell'ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili di ufficio, dovendo quindi avere carattere autonomo (Cass. 18 febbraio 2014, n. 3820; Cass. 22 ottobre 2018, n. 26643); e che inoltre esso, ai sensi del combinato disposto degli artt. 391bis e 395, n. 4 c.p.c., non può consistere in un errore di diritto sostanziale o processuale, né in un errore di giudizio o di valutazione (Cass. 11 aprile 2018, n. 8984), dovendo piuttosto manifestarsi in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l'esistenza (o l'inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti invece in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato (Cass. 11 gennaio 2018, n. 442).

4.1. D'altro canto, deve essere pure richiamato il consolidato principio, secondo cui, in tema di giudicato esterno che, presentando sostanziale identità con quello interno, costituisce la legge del caso concreto, il giudice di legittimità è investito di cognizione piena, posto che l'interpretazione e la valutazione delle relative statuizioni danno luogo a una quaestio iuris e non facti (Cass. 12 settembre 2003, n. 13423); sicché, l'errata presupposizione della sussistenza o meno del giudicato non costituisce errore di fatto, rilevante ai fini della revocazione, a norma dell'art. 395, n. 4 c.p.c., ma errore di diritto: e ciò, per essere il giudicato destinato a fissare la regola del caso concreto, così partecipando della natura dei comandi giuridici, sicché la sua interpretazione va assimilata, per natura ed effetti, a quella delle norme giuridiche (Cass. 5 maggio 2017, n. 10930; Cass. 31 ottobre 2019, n. 28138).

5. Nel caso di specie, l'ordinanza impugnata di revocazione ha condiviso (all'ultimo capoverso di pg. 1) il primo motivo di ricorso dell'Inps, di esplicita critica del giudicato sulla sentenza (del Tribunale di Roma n. 13169/2004) di accertamento della spettanza al Rosai della retribuzione corrispondente alla qualifica dirigenziale: infatti, essa lo ha accolto, insieme con il secondo  congiuntamente esaminato, posto che, nel regime dell'indennità di buonuscita spettante ai sensi degli artt. 3 e 38 d.p.r. 1032/1973, al pubblico dipendente, che non abbia conseguito la qualifica di dirigente e che sia cessato dal servizio nell'esercizio di mansioni superiori in ragione dell'affidamento di un incarico dirigenziale temporaneo di reggenza ai sensi dell'art. 52 dlg. 165/2001, nella base di calcolo dell'indennità va considerato lo stipendio relativo alla qualifica di appartenenza e non quello corrisposto per il temporaneo esercizio delle superiori mansioni di dirigente (Cass. s.u. 14 maggio 2014, n. 10413; Cass. 24 novembre 2016, n. 24099; Cass. 3 settembre 2019, n. 22014).

Pertanto, essa ha implicitamente valutato il suddetto giudicato, con la conseguente inconfigurabilità dell'errore di fatto revocatorio denunciato

4. Dalle superiori argomentazioni discende allora l'inammissibilità del ricorso, senza alcun provvedimento sulle spese del giudizio, in assenza di una valida attività difensiva svolta dalla parte vittoriosa.

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese.

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.