Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 settembre 2021, n. 33411

Reati tributari - Omesso versamento IVA - Imputazione - Trasferimento intera azienda a nuova società

 

Ritenuto in fatto

 

1. I sigg.ri M.G. e I.C. ricorrono congiuntamente, con unico atto a firma dell'Avv. M.M., per l'annullamento della sentenza del 28/10/2019 della Corte di appello di Venezia che ha confermato la condanna alla pena (principale) di un anno di reclusione ciascuno (oltre pene accessorie) irrogata, con sentenza del 25/09/2017 del Tribunale di Treviso, da loro impugnata, per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 (omesso versamento dell'IVA dovuta per l'anno di imposta 2011 pari ad euro 7.177.066,00), loro ascritto in qualità, rispettivamente, di amministratore di fatto, il G., e di amministratore di diritto, la Conte, della società «F.C. G. S.p.a.».

1.1. Con il primo motivo, il solo G. deduce, ai sensi dell'art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 110 cod. pen., 10- ter, d.lgs. n. 74 del 2000, 2639 cod. civ., e 516 e segg. cod. proc. pen. nonché il vizio di motivazione omessa, insufficiente ed intrinsecamente ed estrinsecamente illogica, perché in contrasto con le prove assunte nel corso del giudizio che dimostrano l'estraneità del G. alla gestione della «F.C. G. S.p.a.» sin dal mese di gennaio 2012.

Afferma che il criterio di imputazione del fatto altrui utilizzato dalla Corte di appello per confermare la condanna (l'omesso accantonamento mensile dell'IVA nell'anno 2011) non è coerente con l'editto accusatorio (che attribuisce al G. la gestione di fatto della società) e costituisce malgoverno dell'art. 2639 cod. civ., oltre che della norma incriminatrice, trattandosi in ogni caso di fatti posti in essere in epoca anteriore alla consumazione del reato (omissivo, proprio e unisussistente).

1.2. Con il secondo motivo, il solo G. riprende e sviluppa gli argomenti del primo, deducendo, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 110, 40 cpv., cod. pen., 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, 13, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997, nonché il vizio di motivazione omessa, insufficiente ed intrinsecamente ed estrinsecamente illogica, perché in contrasto con le prove dichiarative assunte nel corso del giudizio e con gli insegnamenti della Corte di cassazione in ordine alla natura propria e istantanea del reato omissivo per il quale si procede.

Premesso che il G. non si è ingerito nella gestione della società e che alla data della scadenza del termine lungo del versamento dell'IVA la legale rappresentanza era di esclusiva pertinenza della Conte, aggiunge che la "ratio decidendi": a) fa strame della sentenza della Corte di cassazione, Sez. U, n. 37424 del 2013, Bruno; b) trasforma l'illecito amministrativo dell'omesso versamento mensile dell'IVA in un illecito penale; c) disattende la lettera dell'art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 che si disinteressa delle condotte poste in essere prima della scadenza termine previsto per il versamento penalmente presidiato.

1.3. Con il terzo motivo, entrambi i ricorrenti deducono, ai sensi dell'art. 606, lett. b), d) ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 110, 43, cod. pen., 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché il vizio di motivazione omessa, insufficiente ed intrinsecamente ed estrinsecamente illogica, perché in contrasto con specifici atti assunti nel corso del giudizio (testimonianze, bilanci, transazione fiscale e relativo decreto di omologa) che provano la situazione di incolpevole crisi finanziaria nella quale versava la società «F.C. G. S.p.a.» al momento della scadenza del termine previsto dall'art. 10-ter, cit., dovuta al mancato incasso delle fatture attive che aveva impedito il pagamento dell'IVA. A tali fattori di crisi si aggiungevano: a) la generale incidenza della crisi economica del periodo; b) l'impossibilità di ottenere nuova finanza dal sistema bancario; c) la riduzione del 50% del fatturato.

1.4. Con il quarto motivo, entrambi i ricorrenti deducono, ai sensi dell'art. 606, lett. d), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 24 e 111, comma terzo, Cost., 195, comma 1, 507 e 603, comma 1, cod. proc. pen., il vizio di motivazione intrinsecamente ed estrinsecamente illogica, perché in contrasto con specifici atti assunti nel corso del giudizio e che avrebbero dovuto esserlo (e non lo stati) in quanto idonei a dimostrare: a) l'estraneità del G. alla gestione societaria al momento della consumazione del reato (ribadita dalla testimone D.C. che aveva fatto riferimento, quale fonte della sua conoscenza, alle informazioni apprese da C.G., la cui testimonianza, benché richiesta, non è stata ammessa); b) la "straripante crisi di illiquidità" che avrebbe potuto essere dimostrata dai direttori delle banche.

1.5. Con il quinto motivo, entrambi i ricorrenti deducono, ai sensi dell'art. 606, lett. b), ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione dell'art. 62-bis cod. pen. nonché il vizio di motivazione omessa, insufficiente ed intrinsecamente ed estrinsecamente illogica, perché in contrasto con specifici atti assunti nel corso del giudizio, in relazione al diniego delle attenuanti generiche, illogicamente non applicate nonostante: a) lo stato di incensuratezza (pur valorizzato per concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena; b) la stipula di una transazione fiscale, positivamente valorizzabile quale comportamento postdelitto.

1.6. Con il sesto motivo, entrambi i ricorrenti deducono, ai sensi dell'art. 606, lett. b), ed e), cod. proc. pen., l'erronea applicazione degli artt. 321 cod. proc. pen., e 12, d.lgs. n. 74 del 2000, nonché il vizio di motivazione omessa, insufficiente ed intrinsecamente ed estrinsecamente illogica, perché in contrasto con specifici atti assunti nel corso del giudizio dai quali si desume: a) la sicura possidenza della società «F.C. G. S.p.a.» di un patrimonio in grado di soddisfare il debito tributario; b) la illegittima pretermissione di tale patrimonio a danno di quello delle persone fisiche che avevano amministrato la società; c) la revoca del sequestro preventivo nei confronti del G. perché ritenuto dal tribunale del riesame estraneo al fatto; d) la riduzione del debito in conseguenza della transazione fiscale.

2. Con atto trasmesso via PEC il 16/02/2021, il difensore dei ricorrenti ha depositato motivi aggiunti correlati al sesto motivo di ricorso, deducendo, ancora una volta, la necessità di aggredire in via diretta il patrimonio della società contribuente, siccome tutt'ora in grado di soddisfare la pretesa tributaria, e la prescrizione del reato, maturata successivamente alla sentenza impugnata.

3. Con memoria trasmessa via PEC il 25/02/2021, il difensore dei ricorrenti ha ribadito gli argomenti già illustrati nei ricorsi introduttivi e nel motivo aggiunto, deducendo, altresì, l'inapplicabilità dell'art. 578-bis cod. proc. pen. alla confisca per equivalente, sia perché da esso non prevista, sia perché tale norma ha natura sostanziale e non è applicabile ai reati commessi in epoca precedente alla sua introduzione.

4. Con separato atto a firma dell'Avv. P.B., la Conte ha presentato autonomo ricorso per cassazione al quale ha però rinunciato dopo aver proposto quello a firma dell'Avv. M..

 

Considerato in diritto

 

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. E' in primo luogo inammissibile, per rinuncia, il ricorso presentato dalla Conte per il tramite dell'Avv. B.

3. Tanto premesso, quanto ai ricorsi a firma dell'Avv. M., i relativi motivi replicano i medesimi argomenti devoluti in primo grado ed in appello e respinti con motivazione del tutto immune dai vizi che i ricorrenti imputano alla sentenza.

3.1. Questo il ragionamento seguito dai Giudici distrettuali:

- la crisi che aveva colpito la "vecchia" società «F.C. G. S.p.a.», amministrata dal G., era tutt'altro che improvvisa, risalendo all'anno 2008;

- il 16/01/2012 il G. aveva trasferito alla "nuova" «F.C. G. S.p.a.», da lui amministrata, pressoché l'intera azienda della "vecchia" società, dalla quale la nuova si differenziava solo per il diverso numero della partita IVA; in buona sostanza la vecchia società era stata svuotata a favore della nuova;

- contestualmente al trasferimento dell'azienda, la Conte, madre ottantacinquenne del G., è subentrata al figlio nell'amministrazione della "vecchia" società che il 27/12/2012 non aveva versato l'IVA accumulata sotto la precedente gestione del figlio;

- fino a quando era amministratore della vecchia società, infatti, il G. non aveva provveduto ai versamenti periodici dell'imposta sul valore aggiunto, avendo preferito destinare le relative provviste ad altri pagamenti;

- l'intera operazione era stata sin dall'inizio pianificata dal G., sin da quando, cioè, aveva deciso di proseguire, sotto le medesime insegne, l'attività della vecchia società trasferendo tutti i beni e le risorse produttive alla nuova, mettendosi al riparo da ogni responsabilità penale a fronte del programmato inadempimento della vecchia.

3.2. Orbene, prescindendo per un momento dalla qualifica o meno di amministratore di fatto della "vecchia" società, gli elementi di prova sui quali si basa la condanna del G. hanno attraversato indenni due gradi di giudizio e raccontano di un evento, l'omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto, perseguito e voluto come conseguenza di un'operazione da lui posta in essere proprio a tale fine. In tal modo, la condotta omissiva posta in essere dalla madre appartiene per intero al dominio finalistico del figlio, siccome da lui prevista e voluta sin dall'inizio mediante la complessa operazione societaria sommariamente richiamata al § 3.1 che precede e più analiticamente descritta dai Giudici di merito. Sotto questo profilo, appare evidente che: a) la "gestione di fatto" della vecchia società è stata attribuita al G. non quale persona che si è ingerita nella gestione della società, bensì quale "regista" dell'intera operazione il cui esito (l'inadempimento dell'obbligazione tributaria) rientrava nel preciso disegno da lui ordito e della cui trama faceva parte la condotta omissiva dell'anziana madre, amministratore legale subentrante; b) gli omessi accantonamenti posti in essere nel 2011 hanno contribuito, sul piano causale (insieme con lo svuotamento della vecchia società), a rendere impossibile il pagamento dell'imposta. In buona sostanza, l'addebito del concorso nel reato omissivo dell'amministratore formale si nutre della sicura valenza causale delle condotte del G. che hanno preceduto il reato stesso e della loro unidirezionalità verso il risultato perseguito che appartiene al ricorrente sotto il profilo del contributo causale e del dolo (intenzionale).

3.3. Sono pertanto del tutto distonici, rispetto alla "ratio decidendi", gli argomenti difensivi ampiamente sviluppati con i primi quattro motivi del ricorso a firma dell'Avv. M., che li rende inammissibili per genericità (oltre che per il non consentito ricorso a elementi estranei al testo della motivazione cui l'imputato attinge a piene mani onde sollecitarne una diversa valutazione a fronte di una doppia conforme pronuncia di condanna).

3.4. Tutte le considerazioni difensive circa la crisi di liquidità dell'impresa inadempiente cedono il passo di fronte ad una condotta intenzionalmente perseguita per sottrarsi al pagamento dell'imposta (e ciò a prescindere dalla risalenza della crisi, dalla scelta di destinare le somme non accantonate al pagamento degli altri creditori, dal fatto che l'inadempimento dei clienti rientra nel fisiologico rischio di impresa, dalla contraddizione intrinseca della deduzione difensiva con la proclamata capienza della società oggetto dell'ultimo motivo).

3.5.Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass., Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Rv. 255568); cosicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008 Rv. 240109). Ai fini della validità del ricorso per cassazione non è, perciò, sufficiente che il ricorso consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell'impugnazione, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificità e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall'altro, esso esige pur sempre - a pena di inammissibilità del ricorso - che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. È quindi onere del ricorrente, nel chiedere l'annullamento del provvedimento impugnato, prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito e sottoporli a critica, nei limiti - s'intende - delle censure di legittimità (così, in motivazione, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014).

4.1. Nel negare la applicazione delle circostanze attenuanti, la Corte di appello ha prediletto la notevole gravità del reato.

4.2. Va ribadito che nel motivare il diniego delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244; Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, Alba, Rv. 230691; Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi, Rv. 214570). Si tratta di un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).

5. L'ultimo motivo è manifestamente infondato.

5.1. Osserva il Collegio:

5.2. presupposto applicativo del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di cui all'art. 12-bis, d.lgs. n. 74 del 2000, e della confisca stessa, è l'impossibilità di disporre la confisca diretta dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato; è stato chiarito, al riguardo, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto anche quando l’impossibilità del reperimento dei beni, costituenti il profitto del reato, sia transitoria e reversibile, purché sussistente al momento della richiesta e dell'adozione della misura, non essendo necessaria la loro preventiva ricerca generalizzata (Sez. U, Gubert, Rv. 258648-01);

5.3.la confisca per equivalente è istituto affatto diverso dal "beneficium excussionis" di civilistica derivazione; la sua natura sanzionatoria (sul punto, Sez. U, n. 18374 del 31/01/2013, Adami, Rv. 255037 - 01) esclude che la confisca possa essere intesa come una forma di garanzia di adempimento di un obbligazione contratta da altri rispetto alla quale il patrimonio dell'autore del reato costituisce garanzia in caso di incapienza dell'ente direttamente esposto nei confronti dell'Erario; obbligazione tributaria e confisca per equivalente operano su piani totalmente diversi e distinti, né la confisca per equivalente può essere intesa come una sorta di risarcimento del danno da inadempimento (costituisce declinazione di tale principio quello affermato da Sez. 3, n. 40358 del 05/07/2016, Rv. 268329 - 01, secondo cui il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non può che avere ad oggetto il valore del profitto del reato, così come determinato in sede di accertamento giudiziale e non può essere ampliato con l'evocazione dell'incidenza di interessi maturati in favore dello Stato o del deprezzamento che il bene oggetto di esso può frattanto subire, senza che si produca l'effetto di attribuire alla confisca un carattere risarcitorio e al sequestro stesso una funzione conservativa incompatibili con il dettato normativo);

5.4. in caso di confisca per equivalente, dunque, non vale opporre la capienza patrimoniale dell'ente: è necessario spiegare dove si trovi il profitto inutilmente cercato e non rinvenuto, questione - quest'ultima - mai posta nelle precedenti sedi di merito;

5.5. la transazione fiscale non impedisce al giudice di disporre la confisca dei beni per un valore corrispondente al profitto nella sua interezza, confisca che, in tal caso, non opera (nel senso che non produce effetto) se il contribuente paga quanto concordato con l'Agenzia delle Entrate (art. 12-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000).

6. L'inammissibilità dei ricorsi osta all'esame dei motivi nuovi e alla rilevazione della prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata, con conseguente irrilevanza dell'applicabilità al caso di specie dell'art. 578-bis cod. proc. pen.

4. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 3.000,00.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.