Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 09 settembre 2021, n. 24259

Tributi - Accertamento - Svalutazione di partecipazione di società controllata - Versamenti dei soci a copertura perdite - Riqualificazione in spesa d'esercizio determinante un versamento cd. "sottozero" - Deducibilità - Competenza

 

Fatti di causa

 

1. La Direzione regionale del Lazio emetteva nei confronti della società M.B.F.S.I. s.p.a. (di seguito, MBFSI) l'avviso di accertamento (cd. di primo livello) n. TJB080300189/2010, relativo all'anno di imposta 2005, con il quale rettificava, ai fini IRES, la perdita trasferita al consolidato D.C.I.H. s.p.a. (svalutazione di partecipazione indeducibile ex art. 61 t.u.i.r. per euro 1.508.325,31 e costi non di competenza per euro 408.634,00), nonché l'avviso di accertamento TJB080300186/2010, sempre relativo all'anno di imposta 2005, con il quale, conseguentemente ai rilievi mossi ai fini IRES, accertava una maggiore imponibile ai fini IRAP pari ad euro 34.502,00.

2. Tali gli avvisi di accertamento seguivano ad una verifica fiscale della Guardia di finanza di Roma, e conseguente p.v.c., riguardante l'operazione di svalutazione delle partecipazioni in D.C.C.S.I. s.p.a. effettuata da MBFSI nell'anno 2003, ma con ricaduta fiscale negli anni successivi, in base alla "valore minimo" fiscalmente attribuibile alla partecipazione in questione, ai sensi degli artt. 59, 61 e 66 t.u.i.r., nel testo anteriore alla riforma di cui al d.lgs. n. 344 del 12/12/2003; l'Ufficio, pertanto, recuperava a tassazione, ex art. 61 t.u.i.r., la relativa quota parte (1/5) imputata all'esercizio 2004. Inoltre, accertava l'erronea riduzione degli oneri sostenuti dalla società in conseguenza del pagamento di cartelle di pagamento volte al recupero coattivo di tasse automobilistiche non versate per gli anni dal 1999 al 2004, con conseguente recupero a tassazione.

3. In via conseguenziale ai recuperi operati dalla Direzione regionale del Lazio nei confronti della consolidata MBFSI, la Direzione provinciale III di Roma notificava alla consolidante M.B.I. s.p.a. (di seguito, MBI), nella qualità di incorporante della consolidante D.C.I.H. s.p.a., gli avvisi di accertamento di primo livello, relativi all'anno d'imposta 2005, nn. TK70905390/2010 e TK7090104407/2010, con il quale in rettifica della dichiarazione fiscale, accertava la minore perdita fiscale del consolidato.

4. La società MBFSI e la società MBI impugnavano tali avvisi di accertamento innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che, con sentenza n. 15653/24/14, riuniti i quattro ricorsi originati dall'impugnazione dei rispettivi avvisi, li accoglieva parzialmente.

5. Avverso tale sentenza veniva proposto appello, per i capi di rispettiva soccombenza, sia da parte della Direzione regionale del Lazio, sia da parte della Direzione provinciale III di Roma, sia da parte delle società contribuenti; l'adita Commissione tributaria regionale del Lazio, previa riunione dei procedimenti, con la sentenza in epigrafe, così provvedeva: «P.Q.M. Rigetta integralmente gli appelli proposti dalla Direzione regionale e dalla Direzione provinciale dell'Agenzia delle entrate. Accoglie il motivo di appello proposto dalla società concernente Ila deduzione della svalutazione della controllata e rigetta tutti gli altri. Compensa integralmente tra le parti le spese del doppio grado».

6. L'Agenzia delle entrate propone ricorso avverso tale sentenza affidandosi a due motivi di ricorso.

7. M.B.F.S.I. s.p.a. e M.B.I. s.p.a., resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale affidato a cinque motivi, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 61, commi 3 e 5, t.u.i.r., nella formulazione vigente ratione temporìs, per avere i giudici di secondo grado statuito l'illegittimità della rettifica in riduzione operata dall'Ufficio sulla determinazione della svalutazione della partecipazione in D.C. s.p.a. e per aver ritenuto legittima, sul piano fiscale, la qualificazione dell'operazione come svalutazione di partecipazione (siccome deducibile, in quote costanti, nell'anno in cui è iscritta e nei quattro anni successivi ai sensi del d.l. 24/09/2002, n. 209, convertito, con modificazione, dalla legge 22/11/2002, n. 265), mentre, invece, si trattava di una spesa d'esercizio determinante un versamento c.d. sottozero, il quale, ai sensi del quinto comma, dell'art. 61 t.u.i.r., avrebbe dovuto essere interamente dedotto nell'anno 2002.

1.1. Il mezzo è fondato.

1.2. I versamenti dei soci a copertura perdite, per la parte che eccede il patrimonio netto della partecipata, non possono concorrere all'entità del costo finale della partecipazione su cui operare la svalutazione, in quanto per essi continua a valere il regime di deduzione immediata (e facoltativa) disposto dall'articolo 61, comma 5, t.u.i.r.

1.3. Tale disposizione nel testo in vigore fino al 31/12/2003 (prima dell'entrata in vigore, in data 01/01/2004, del d.lgs. 12/12/2003, n. 344 che ha nuovamente mutato la normativa introducendo il cd. regime PEX - "Participation exemption" che ha sancito l'irrilevanza fiscale delle minusvalenze e delle plusvalenze stabilendo che non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti nella misura del 95 per cento) - prevedeva che i versamenti a fondo perduto o in conto capitale fatti dai soci a favore di una propria partecipata, come anche le rinunce ai crediti nei confronti di quest'ultima, si aggiungessero al costo della partecipazione («L'ammontare dei versamenti fatti a fondo perduto o in conto capitale alla società emittente, o della rinuncia ai crediti nei confronti della società stessa, si aggiunge al costo delle azioni in proporzione alla quantità delle singole voci della corrispondente categoria»); la norma in parola ammetteva, in alternativa, la deduzione immediata (dei versamenti e delle remissioni), per la parte eccedente il patrimonio netto della società partecipata risultante dopo la copertura della perdita («tuttavia è consentita la deduzione dei versamenti e delle remissioni di debito effettuati a copertura di perdite per la parte che eccede il patrimonio netto della società emittente risultante dopo la copertura »); infine, nella determinazione del valore minimo dei titoli non negoziati in mercati regolamentati, escludeva la possibilità di tenere conto dei versamenti effettuati a copertura di perdite della società emittente («Nella determinazione del valore normale delle azioni non quotate in borsa e non negoziate nel mercato ristretto non si tiene conto dei versamenti e delle remissioni di debito fatte a copertura di perdite della società emittente»).

1.4. Appare chiaro che la ratio sottesa alla disciplina in esame era quella di garantire una sorta di correlazione tra le svalutazioni incidenti sul valore della partecipazione in conseguenza delle perdite realizzate dalla partecipata e l'effettiva consistenza della "svalutazione" patrimoniale risentita dalla partecipata per effetto delle perdite. Tale correlazione, proprio perché consente la determinazione dell'effettiva diminuzione patrimoniale, non può prescindere dalla cd. "omogeneizzazione" dei patrimoni tra società partecipate, per la quale, appunto, l'ultima parte della disposizione in parola esclude che possano concorrere alla determinazione del valore del titolo i versamenti fatti per ripianare le perdite. In altri termini, la correlazione costante tra i due patrimoni richiede di depurare i dati patrimoniali da eventuali nuovi conferimenti volti a reintegrare il patrimonio o a coprire le perdite.

1.5. Nel caso all'esame è pacifico che la società partecipata aveva subito forti perdite che avevano intaccato sia il patrimonio che le riserve ed avevano comportato un rilevante deficit patrimoniale (cd. sottozero), sì che nell'esercizio 2003, la MBFSI, aveva effettuato due successivi versamenti per ripianare la perdita, l'uno nel primo semestre, in data 22/09/2003, e l'altro in data 18/12/2003, in conto copertura perdite per il secondo semestre.

1.6. Come innanzi anticipato, facendo seguito ai principi enunciati da questa Corte in fattispecie analoghe (cfr., Cass., Sez. 5, 27/07/2011, n. 16429; sulle rinunce ai crediti nei confronti della società partecipata, effettuate a copertura di perdite di quest'ultima, cfr., in senso conforme, Sez. 5, 04/02/2015, n. 1949), deve ritenersi che per i cd. versamenti sottozero - effettuati dai soci a copertura delle perdite della partecipata per la parte che eccede il patrimonio netto della stessa a seguito del ripianamento - continui a valere l'art. 61, comma 5, t.u.i.r., in quanto tali versamenti non attengono alla valutazione del valore minimo delle partecipazioni, ma si riferiscono a perdite che vanno oltre lo zero; sul piano tecnico, questi oneri costituiscono una spesa d'esercizio, e non una svalutazione, la cui deducibilità è subordinata all'effettivo ripiano del sottozero da parte dei soci (in termini, Cass., 30/12/2019, n. 34709, che richiama, in senso conforme, la circolare dell'Agenzia delle entrate del 5 febbraio 2003 n. 7/E).

1.7. In conclusione, le disposizioni fiscali di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), del d.l. 24/09/2002, n. 209, secondo cui le «minusvalenze non realizzate», relative a partecipazioni che costituiscono immobilizzazioni finanziarie, sono deducibili in quote costanti nell'esercizio in cui sono iscritte e nei quattro successivi, non possono essere applicate alla fattispecie in esame ove i versamenti in conto capitale effettuati dalla MBFSI hanno determinato l'azzeramento e la successiva ricostruzione del capitale della partecipata.

2. Col secondo mezzo, la ricorrente Amministrazione deduce, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 109 t.u.i.r., 2697, 2727 e 2729 cod. civ.) nella parte in cui ha ritenuto deducibili, per l'anno 2005, i costi delle cartelle esattoriali relative alle tasse automobilistiche non pagate dagli utilizzatori in leasing per gli anni 1999-2004, nonostante, trattandosi di oneri certi e predeterminati trasferiti in capo all'utilizzatore e conglobati nel canone di leasing, il relativo costo in quanto strettamente correlato al ricavo, sarebbe stato deducibile per competenza e non per cassa; inoltre, censura la sentenza impugnata per aver sostituito l'onere della prova gravante sul contribuente con un "giudizio presuntivo" là dove ha affermato che se la società non aveva dedotto i relativi oneri, negli anni di competenza (19992004) era perché aveva avuto conoscenza di tali oneri solo successivamente.

2.1. Il mezzo è fondato.

2.2. L'erroneità della decisione impugnata è evidente considerati i principi, qui condivisi, costantemente affermati dalla giurisprudenza sezionale, sulla inderogabilità delle regole sull'imputazione temporale dei componenti negativi (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 5, 18/12/2009, n. 26665; Cass., Sez. 5, 17/07/2014, n. 16349; Cass., Sez. 5, 27/10/2020, n. 23521), nonché sui criteri di imputazione, nell'esercizio di competenza, dei ricavi dei costi e degli altri oneri e sul relativo onere probatorio (Cass., Sez. 5, 09/11/2018, n. 28671; Cass., Sez. 5, 18/01/2017, n. 1107).

2.3. Ed invero, è principio pacifico, da cui non si ha motivo di discostarsi che, in tema di reddito d'impresa, le regole sull'imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall'art. 75 (attuale art. 109) del d.P.R. n. 917 del 22/12/1986 (t.u.i.r.), sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza. Sempre in relazione alla determinazione dei redditi di impresa, è stato precisato che, ai sensi dell'art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, i ricavi, i costi e gli altri oneri sono imputabili nell'esercizio di competenza in cui si è formato il titolo giuridico che ne costituisce la fonte, purché l'esistenza o l'ammontare degli stessi sia determinabile in modo oggettivo, circostanze, queste ultime, che rientrano, per i componenti positivi, nell'onere probatorio dell'Amministrazione finanziaria e per quelli negativi in quello del contribuente.

2.4. Ha errato, dunque, la CTR, da un lato, a ritenere possibile la deroga sull'imputazione temporale dei componenti negativi consentendo la relativa deduzione del costo nell'anno 2005 quale anno in cui la società «ebbe notizia, con la notifica delle cartelle, che l'utilizzatore non le aveva pagate»; dall'altro, a non verificare, con il dovuto accertamento di merito, l'anno di competenza in cui si era formato il titolo (se trasferito in capo all'utilizzatore e conglobati nel canone di leasing il titolo si sarebbe formato nell'anno del contratto) ed in base al quale stabilire la relativa deducibilità del costo (cfr., Cass., Sez. 5, 15/03/2021, n. 7183, che, con riguardo ai costi deducibili per beni conseguiti in locazione finanziaria, a seguito della modifica normativa prevista dall'art. 3, commi 103, lett. c), e 109 della I. n. 549 del 28/12/1995, ha ritenuto che il cd. «"maxi-canone", corrisposto con il pagamento della prima rata, va contabilizzato interamente nell'esercizio di competenza).

3. Il ricorso incidentale, affidato a sei motivi, è infondato.

3.1. Con il primo le società ricorrenti (incidentali) deducono la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha considerato l'efficacia espansiva esterna del giudicato formatosi con la sentenza n. 150/01/12, resa dalla CTP di Roma, in controversia tra le stesse parti, riguardante l'annualità 2003; assumono le ricorrenti che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, tale sentenza non si è limitata a "prendere atto" dell'annullamento in autotutela operato dall'Ufficio dell'avviso di accertamento n. RCE030202527/2008 (riguardante la ripresa a tassazione della svalutazione della partecipazione detenuta in D.C. s.p.a, per euro 32.041.626,00) ma ha pronunciato nel merito, accogliendo tutte le domande proposte da MBFSI, tra le quali quella diretta alla deducibilità della svalutazione della partecipazione in D.C.. Ne conseguirebbe, ad avviso delle ricorrenti, che - essendosi anche nella fattispecie oggetto del presente giudizio, riguardante l'avviso di accertamento per l'anno 2005, verificata la medesima situazione di cui all'atto annullato, essendo l'ammontare fiscalmente rilevante, per l'annualità 2005, dipendente da quella stessa svalutazione della partecipazione detenuta dalla M.B.F.S. Italia s.p.a. in D.C. s.p.a. - il giudicato formatosi sulla predetta sentenza avrebbe un'efficacia espansiva nel presente giudizio, ancorché avente ad oggetto una diversa annualità di imposta.

3.2. Va osservato, in primo luogo, che gli effetti dell'autotutela non si riflettono sul giudicato sostanziale, incontrando i limiti dell'accertamento giurisdizionale cui il giudicato stesso attiene. Ed invero, questa Corte, con orientamento unanime e qui condiviso, ha chiarito che l'esercizio del potere dell'Amministrazione finanziaria di provvedere in via di autotutela e con effetti retroattivi all'annullamento d'ufficio (o alla revoca) degli atti illegittimi (o infondati) - espressamente riconosciuto dall'art. 2-quater, comma 1, del d.l. 30/09/1994, n. 564, conv. in I. 30/11/1994, n. 656 - incontra, anche in ipotesi di cd. autotutela sostitutiva (ove all'atto originariamente annullato l'Amministrazione se ne sostituisce un altro), il limite del giudicato sull'accertamento ad esso sotteso (cfr., ex plurimis, per l'autotutela cd. sostitutiva, Cass., 23/10/2019, n. 27091; Cass., 08/10/2019, n. 25055). Ciò significa, da un lato, che l'accertamento giudiziale sulla pretesa fiscale prescinde dall'atto emanato in autotutela e/o in sostituzione del provvedimento annullato da parte dell'Amministrazione, richiedendo una specifica pronuncia sulle domande oggetto del giudizio; dall'altro, che non può esservi efficacia espansiva esterna del giudicato in mancanza di un accertamento giurisdizionale sulla res controversa.

3.3. Vieppiù, le censure delle ricorrenti sono dissolte in considerazione del condivisibile arresto monofilattico di questa Corte secondo cui «la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d'imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità» (così, Cass., 08/04/2015, n. 6953; id., Cass., 01/06/2016, n. 11440; Cass., 30/09/2011, n. 20029; Cass., 29/01/2014, n. 1837; Cass., 09/10/2013, n. 22941; cfr., sulla compatibilità di tali principi con il diritto dell’Unione Europea, Cass., 04/03/2021, n. 5939). Si è precisato che per le imposte periodiche, il vincolo del giudicato opera laddove vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco temporale che comprende più periodi d imposta o nei quali l'accertamento concerne la qualificazione del rapporto, a meno che, in materia di Iva, ciò comporti l'estensione ad altri periodi d'imposta di un giudicato in contrasto con la disciplina comunitaria, avente carattere imperativo, compromettendone l'effettività (cfr. Cass., 19/04/2018, n. 9710; id, Cass., 30/10/2019, n. 27802; v. Cass., 20/07/2020, n. 15374).

3.4. Col secondo mezzo, deducono la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 6 e 7 I. 27/07/2000, n. 212, 4 d.m. 4/02/1997, n. 37) per non aver i giudici di appello ritenuto l'illegittimità dei provvedimenti emessi in autotutela sostituiva per omessa notifica ed omessa motivazione. Il mezzo è infondato.

3.5. La sostituzione in autotutela di un avviso di accertamento sostitutiva non necessita di adempimenti formali né di una specifica motivazione, tranne che non attui una modifica del precedente atto in "aumento" che determini, cioè, una "nuova" pretesa da parte dell'Amministrazione (cfr., Sez. 5, 17/10/2014, n. 22019; Sez. 5, 30/10/2018, n. 27543; Sez. 5, 16/03/2020, n. 7293; Sez. 6 5, 07/09/2020, n. 18625). Ed infatti, mentre la modificazione, in diminuzione, dell'originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, ma una riduzione di quella originaria, sicché non costituisce atto nuovo, ma revoca parziale di quello precedente, quella in aumento sostanzia una nuova pretesa che determina una "nuova" pretesa tributaria rispetto a quella originaria che deve necessariamente formalizzarsi, a garanzia del contribuente, sia rispetto alla conoscenza del destinatario sia che alla motivazione sui nuovi elementi posti a base dell'accertamento (art. 43, comma 3, d.P.R. 29/09/1973, n. 600).

3.6. Nella specie, come si trae dall'esposizione del motivo di ricorso, alcuna novazione in aumento vi è stata della pretesa fiscale, ma semplice annullamento dell'accertamento afferente all'anno 2003 con quelli emessi per gli anni successivi, sicché alcun adempimento formale gravava sull'Amministrazione.

4. Con il terzo motivo di ricorso incidentale le ricorrenti denunciano la violazione dell'articolo 43, d.P.R. 29/09/1973, n. 600, per aver la CTR ritenuto legittimo il recupero a tassazione della quota di svalutazione relativa al 2005, pur trattandosi di una svalutazione effettuata nell'esercizio 2003. Assumono le ricorrenti che poiché il vero oggetto della rettifica non è altro che l'ammontare fiscalmente rilevante della svalutazione della partecipazione detenuta in D.C. (pari ad euro 32.041.626,54), operata nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2003, il potere di rettifica dell'Amministrazione avrebbe dovuto interessare l'annualità 2003 e non, come è avvenuto, la successiva annualità (2005) mediante atto di accertamento notificato, ai sensi dell'art. 43 cit., entro e non oltre il 31/12/2008 (31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione).

4.1. Anche tale mezzo è infondato.

4.2. La questione posta risulta superata dal principio enunciato dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 8500 del 25/03/2021 secondo cui «In caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale non per l'errato computo del singolo rateo dedotto, ma a causa del fatto generatore e del presupposto costitutivo di esso, la decadenza dell'amministrazione finanziaria dalla potestà di accertamento va riguardata, ex art. 43, d.P.R. n. 600 del 1973, in applicazione del termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo di suddivisione del componente pluriennale è indicato, e non già del termine per la rettifica della dichiarazione concernente il periodo di imposta nel quale quel componente sia maturato o iscritto per la prima volta in bilancio».

In altri termini, la rilevanza fiscale dell’immobilizzazione finanziaria è data dal tempo di realizzazione del valore della minusvalenza che, nella specie, la CTR ha ritenuto protratto per gli anni successivi al 2003 «in funzione dell'imputazione legittimamente operata dalla società», escludendo, rettamente, la decadenza del potere accertativo dell'Ufficio.

5. Il quarto mezzo di ricorso incidentale è infondato. Con esso le società ricorrenti denunciano la violazione dell'art. 109 t.u.i.r. per non aver i giudici della CTR ritenuto deducibili i costi sostenuti per il pagamento delle cartelle esattoriali relative a multe e sanzioni connesse alla inosservanza del codice della strada dagli utilizzatori in leasing delle autovetture.

5.1. La giurisprudenza di questa Corte da tempo afferma che un costo può essere ritenuto deducibile dal reddito di impresa solo se ed in quanto risulti funzionale alla produzione del reddito escludendosi, pertanto, i costi rappresentati dal pagamento di sanzioni pecuniarie (sulle infrazioni alle norme sulla circolazione stradale, cfr., Sez. 5, 13/05/2003, n. 7317; in tema di sanzioni della Commissione UE, Sez. 5, 11/04/2011 n. 8135; Cass., Sez. 5, 29/05/2000, n. 7071). Nella specie, trattandosi di pagamento di cartelle esattoriali relative a sanzioni connesse all'inosservanza del Codice della Strada da parte degli utilizzatori in leasing dell'autovetture M., non v'è dubbio che i costi connessi al pagamento di tali infrazioni siano indeducibili, dovendosi escludere senz'altro, in tal caso, il rapporto di correlazione fra costo e reddito prodotto.

6. Col quinto motivo di ricorso incidentale, le ricorrenti censurano la sentenza impugnata, per violazione dell'art. 109 t.u.i.r., nella parte in cui ha ritenuto l'indeducibilità dei costi sostenuti per realizzare i lavori di riparazione e messa in sicurezza della nave "G." (di proprietà della H.L.) della quale la MBFSI è titolare di garanzia ipotecaria. In particolare, la difesa delle società contribuenti sostiene che il costo in questione è "inerente" in quanto direttamente funzionale all'attività di impresa ed all'utilità ad essa derivante dal valore del bene ipotecato in quanto i lavori di messa in sicurezza della nave ipotecata sono stati sostenuti per mantenere il valore del bene il più possibile congruo al fine di rivalersi su di esso e ricavarne una maggiore utilità all'impresa.

6.1. Il mezzo è infondato.

7. E' pacifico, in fatto, che la nave "G." era di proprietà della società H.L. e che MBFSI aveva iscritto ipoteca su tale bene, in virtù del sottostante rapporto commerciale tra le due società (concessione, da parte di MBFSI di un cospicuo finanziamento in favore della H.L., finalizzato all'acquisto della nave stessa).

7.1. La CTR ha escluso la deducibilità dei costi di manutenzione per la riparazione del bene ipotecato, affermando che: «gli interventi di natura manutentiva non competono al titolare di garanzia reale, giacché il creditore ipotecario a appositi strumenti per evitare la definizione di valore del bene, indicati nell'art. 2743 cod. civ.».

8. La sentenza impugnata non merita le censure prospettate per le seguenti considerazioni.

8.1. In primo luogo, va considerato che l'esistenza di un obbligo di manutenzione dei beni ipotecati è escluso dalla stessa struttura del credito ipotecario volto a soddisfare, in via preferenziale, il creditore senza addossargli oneri ulteriori connessi alla gestione, ordinaria e straordinaria, del bene il cui valore rimane "fermo" al valore del credito per il quale l'ipoteca è stata accesa.

Ed infatti, le norme del codice civile rapportano il valore del credito ipotecario alla somma per la quale l'iscrizione è eseguita (art. 2838 cod. civ.) somma che, pertanto, identifica l'ammontare della garanzia e la "sicurezza" che da essa ricava il creditore ipotecario. Il codice civile non ignora l'eventualità che il bene concesso in ipoteca possa deteriorarsi, anche per caso fortuito, minando la "sicurezza" del creditore, ma in tal caso concede facoltà al creditore ipotecario di richiedere idonea garanzia su altri beni o, in mancanza, di soddisfare immediatamente il suo credito si da limitare l'eventuale incapienza del bene (2743 cod. civ.). Il regime dell'ipoteca regola anche l'ipotesi di migliorie apportate al bene ipotecato che, tuttavia, limita a quelle effettuate dal "terzo", così implicitamente riconoscendo l'insussistenza di una corrispondente facoltà, e men che meno di un obbligo del creditore ipotecario di effettuarle a maggiore sicurezza della sua garanzia (art. 2864 cod. civ. che riconosce il diritto del terzo di separare dal prezzo di vendita la parte corrispondente ai miglioramenti eseguiti dopo la trascrizione del suo titolo).

8.2. Anche il codice della navigazione - trattandosi di ipoteca accesa su una nave - è allineato a tale disciplina atteso che nessuna disposizione in esso contenuta (v. artt. 565-577 cod. nav.) prevede un accollo delle spese di manutenzione o il subentro del creditore ipotecario in esse, né, d'altro canto, risulta dagli scritti difensivi delle parti o dalla sentenza che la nave sia stata sottoposta ad amministrazione giudiziaria con anticipazione di spese a carico dei creditori ipotecari (art. 652 cod. nav.).

9. Sul piano fiscale, le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 11533 dell'11/05/2018, hanno riconosciuto la detrazione IVA dei costi riguardanti lavori di ristrutturazione o manutenzione di beni di proprietà di terzi, a condizione che tra l'attività svolta dall'impresa che abbia dedotto il costo e le opere di manutenzione, sussista un nesso di strumentalità, anche se potenziale o di prospettiva e pur se, per cause estranee al contribuente, detta attività non possa poi in concreto essere esercitata.

9.1. Il caso in esame fuoriesce dal perimetro di rilevanza fiscale delineato dalla Suprema Corte, considerato che la difesa delle ricorrenti non ha allegato di aver dedotto il costo delle opere di messa in sicurezza della nave "G.", in proprietà della H.L., in virtù del nesso funzionale e/o strumentale, anche eventuale o di prospettiva, tra le opere di ristrutturazione o manutenzione di immobili di proprietà di terzi e l'attività d'impresa svolta delle società contribuenti, limitandosi a sostenere che "l'inerenza del costo sussista ogni qual volta questo sia funzionale all'attività di impresa esercitata e consenta a chi lo sostiene di ricavarne una qualsiasi utilità" (v. ricorso incidentale pag. 36-37); secondo l'assunto delle ricorrenti incidentali, cioè, l'utilità all'attività di impresa è insita nel fatto di aver mantenuto costante - tramite i lavori miglioria - il valore del bene ipotecato con conseguente deducibilità della relativa spesa.

9.2. Ritiene il Collegio che l'assunto delle ricorrenti è irrilevante sul piano degli effetti fiscali che ne dovrebbero conseguire, in quanto i costi sostenuti per la messa in sicurezza della nave ipotecata, non solo non rispondono ad un obbligo o ad un dovere previsto dalla legge in capo al creditore ipotecario - così come evidenziato ai paragrafi che precedono - ma non realizzano quel nesso di strumentalità, anche potenziale, tra il bene ipotecato e l'attività svolta, nei termini indicati dalla Suprema Corte. D'altro canto, è logico dedurre che tale nesso di strumentalità non possa sussistere, tenuto conto della natura del bene ipotecato (nave) e dei lavori ad esso inerenti, che risulta del tutto estranea alla natura dell'attività di impresa esercitata da MBFSI.

10. In conclusione, il ricorso principale dell'Agenzia delle entrate deve essere accolto, mentre va respinto il ricorso incidentale delle società ricorrenti. La sentenza impugnata va cassata in relazione al ricorso principale accolto, con rinvio alla CTR del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese relative al presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso principale.

Rigetta il ricorso incidentale.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle società ricorrenti incidentali, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.