Licenziamento collettivo e fungibilità delle mansioni, la prova è a carico del lavoratore

In tema di licenziamento collettivo e di criteri di scelta del personale in esubero, grava sul lavoratore l'onere di allegare e provare la fungibilità delle mansioni tra il dipendente addetto al reparto soppresso e gli altri dipendenti assegnati a settori o reparti non coinvolti dalla procedura di riduzione di personale (Corte di Cassazione, sentenza 15 aprile 2021, n. 10025).

Una Corte di appello territoriale, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva dichiarato la legittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo.
Ad avviso della Corte, l'individuazione del lavoratore era stata effettuata in modo coerente rispetto alla scelta aziendale di delimitare l'ambito delle eccedenze di personale alle "attività dirette non operative" e, quindi, "primariamente nei settori connessi alla logistica, alle mansioni  segretariali ed a quelli più strettamente amministrativi".
In tema di licenziamento collettivo per riduzione del personale, infatti, ove la ristrutturazione della azienda interessi uno specifico settore, la comparazione dei lavoratori per l'individuazione di coloro da avviare a mobilità può essere limitata al personale addetto a quel settore, salvo l'idoneità dei dipendenti del reparto, per il pregresso impiego in altri reparti della azienda, ad occupare le posizioni lavorative dei colleghi a questi ultimi addetti, spettando ai lavoratori l'onere della deduzione e della prova della fungibilità nelle diverse mansioni.
Tuttavia, in sede di merito nulla era stato allegato circa una verifica della sua eventuale fungibilità con le mansioni di altro personale non in esubero.
Ricorre così in Cassazione il lavoratore, deducendo che sarebbe stato "documentalmente provato" che il medesimo svolgesse una rilevante funzione operativa (e, pertanto, non eccedentaria) nell'ambito dell'Ufficio acquisti, come confermato anche da testimoni.
Per la Suprema Corte Il motivo non può trovare accoglimento.
Oltre i profili di inammissibilità nella formulazione del motivo eccepiti, nella sentenza impugnata si afferma esplicitamente che dal lavoratore non era stata svolta alcuna deduzione con riguardo ad altro personale, "di qualsivoglia settore o livello", con cui si sarebbe dovuta effettuare la comparazione.
Orbene, secondo consolidato orientamento di legittimità, infatti, grava sul lavoratore l'onere di allegare e provare la fungibilità delle mansioni tra il dipendente addetto al reparto soppresso e gli altri dipendenti assegnati a settori o reparti non coinvolti dalla procedura di riduzione di personale.
Altresì, il lavoratore non censura in modo adeguato neanche l'altra autonoma ratio decidendi che sorregge la decisione cioè quella secondo cui, in ogni caso, alcuna comparazione utile avrebbe potuto essere effettuata con gli altri dipendenti dell'Ufficio acquisti, perché la responsabile era in gravidanza, altra dipendente apparteneva alle categorie protette ed altra ancora rivestiva un inquadramento inferiore a quello del reclamato.
Al riguardo, per pacifica giurisprudenza, qualora la sentenza impugnata sia basata su una motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti o alternative, autonome l'una dall’altra, e ciascuna, di per sé solo, idonea a supportare il relativo dictum, la resistenza di una di queste rationes agli appunti mossi con l'impugnazione comporta che comunque la decisione va tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurata (ex multis, Corte di Cassazione, sentenza n. 4349/2001).