Blocco dei licenziamenti escluso per i dirigenti

IlTribunale di Roma, con sentenza del 19 aprile 2021, n. 3605, ha affermato che, i dirigenti non rientrano nella platea dei dipendenti beneficiari del blocco dei licenziamenti. Agli stessi, infatti, non è consentito, almeno in pendenza del rapporto, di accedere agli ammortizzatori sociali, di conseguenza, nell’ipotesi in cui venisse esteso il blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti, il datore si ritroverebbe nella condizione di non poter reperire una soluzione sostitutiva (come per tutti gli altri dipendenti non dirigenti) che permetta loro di garantire reddito e tutela occupazionale senza costi aggiuntivi.

Nella specie, una società, visto il periodo di grandissima sofferenza economica e finanziaria, acuita dalle drammatiche conseguenze della pandemia Covid-19, aveva avviato un processo di riorganizzazione aziendale finalizzato alla progressiva integrazione ed ottimizzazione delle strutture operative, nell’ottica del contenimento dei costi e di una più utile gestione dell’impresa, sopprimendo la posizione lavorativa di un dirigente e ridistribuendo le relative funzioni ad altri responsabili aziendali. Il dirigente veniva così licenziato, con effetto immediato, nonché esonerato dal rendere in servizio il periodo di preavviso contrattualmente previsto.
Impugnando il recesso, il medesimo dirigente ha sostenuto la nullità e la illegittimità per più motivi. Si tratta, in particolare, di stabilire se il blocco riguardi anche la figura del dirigente.
Il dato letterale della disposizione non consente di ritenere che la figura del dirigente possa essere ricompresa nel blocco. Si è stabilito, infatti, che il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non possa recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/66, disposizione quest’ultima che pacificamente non si applica ai dirigenti sia per espressa previsione normativa sia per consolidato principio giurisprudenziale (cfr. Cass. n. 23894/2018 e Cass. n. 27199/2018).
L’esclusione della figura del dirigente convenzionale dal blocco dei licenziamenti - continuano i giudici - risulta coerente con lo spirito che sorregge l’eccezionale ed emergenziale previsione del blocco dei licenziamenti durante la pandemia. Il blocco è stato accompagnato da una pressoché generalizzata possibilità per le aziende, anche quelle piccole, di ricorrere agli ammortizzatori sociali, con la conseguenza che la cassa integrazione, estesa come detto a tutte le aziende, ha consentito a queste ultime di tamponare le perdite (attraverso una riduzione del costo del lavoro), permettendo la tutela occupazionale dei lavoratori, anche a fronte del blocco dei licenziamenti.
Dunuqe, per far fronte ad una emergenza sanitaria ed economica senza precedenti, il sistema così delineato appare ragionevolmente sorretto dal binomio divieto di licenziamento/costo del lavoro a carico della collettività.
Con riguardo ai dirigenti detto binomio non può stare in piedi, poiché a questi ultimi non è consentito, almeno in pendenza del rapporto di lavoro, di accedere agli ammortizzatori sociali. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui venisse esteso il blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti, il datore di lavoro si ritroverebbe nella condizione di non poter reperire una soluzione sostitutiva (come per tutti gli altri dipendenti non dirigenti) che permetta loro di garantire reddito e tutela occupazionale senza costi aggiuntivi. Ciò determinerebbe che della categoria dei dirigenti dovrebbe necessariamente farsene carico il datore di lavoro, pur in presenza di motivi tali da configurare un’ipotesi di giustificatezza del recesso. E ciò potrebbe determinare un profilo di incoerenza costituzionale tra estensione del blocco ai dirigenti e principio di libertà economica.
In definitiva, la lettera della norma e la ratio del sistema non consentono di includere i dirigenti nella platea dei dipendenti beneficiari del blocco.
Diversamente, uno degli argomenti utilizzati da chi propende per l’estensione del blocco anche ai dirigenti è quello della irragionevolezza che sarebbe determinata dal fatto che il dirigente è protetto dal blocco quando rientra nella disciplina dei licenziamenti collettivi, mentre invece non è protetto quando si tratti di licenziamento individuale. Al riguardo, la diversità delle due fattispecie (da una parte, il dirigente coinvolto in una procedura di licenziamento collettivo unitamente ad altri dipendenti protetti dal blocco; dall’altra, il dirigente destinatario da solo di un licenziamento economico individuale) è ragione tale da giustificare una diversità di trattamento tra le due ipotesi. E d’altra parte, comunque, tale diversità di trattamento non può costituire valido motivo per estendere il beneficio del blocco al licenziamento individuale del dirigente, quando come detto la lettera della legge e la ratio del sistema non lo consentono.
Ciò premesso, nella specie, il dirigente nell’impugnare il recesso ha per lo più invocato regole e principi non applicabili al licenziamento del dirigente, avendo fatto richiamo alla nozione del giustificato motivo oggettivo e all’obbligo del repechage, notoriamente non applicabili alla posizione dirigenziale del lavoratore, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro. Ciò sui cui la difesa del ricorrente ha molto insistito, è una floridezza economica della compagine convenuta, nonché la circostanza che le funzioni espletate dalo stesso dirigente non sarebbero state soppresse o eliminate.
Qaunto alla nozione di giustificatezza del recesso, gli Ermellini hanno ribadito che, è ravvisabile laddove sussista un’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione della figura dirigenziale in esecuzione di un riassetto organizzativo e societario e non emerga, in base ad elementi oggettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione. In tali casi, l’intervento del giudice non può entrare nel merito delle scelte di riorganizzazione ma può solo consistere nella verifica e nel controllo sull’effettività delle scelte del datore di lavoro poste a base del licenziamento.
L’esigenza, economicamente apprezzabile in termini di risparmio, della soppressione di una figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario integra la nozione di giustificazione del licenziamento del dirigente richiesta delle norme collettive laddove, come nella specie, non emerga la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione e sia dimostrata l’effettività della scelta di riorganizzazione posta a base del licenziamento. La nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente, infatti, non deve necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto di lavoro e con una situazione di grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale prosecuzione, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, deve essere coordinato con quello di iniziativa economica, che verrebbe realmente negata ove si impedisse all'imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie o pretestuose o discriminatorie riorganizzazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa.
Per tali motivi, il recesso intimato al dirigente non è privo di giustificatezza.