Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 24 febbraio 2021, n. 7135

Reati tributari - Omessa dichiarazione Iva - Art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000 - Cessione simulata di immobile - Art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con l'impugnata sentenza, la Corte di appello di Bologna confermava la pronuncia resa dal Tribunale di Forlì e appellata dall'imputato, la quale aveva condannato F.R. alla pena di giustizia perché ritenuto responsabile dei reati di cui agli artt. 5, quanto all'omessa dichiarazione di IVA (capo 1), e 11 d.lgs. n. 74 del 2000 (capo 3); il Tribunale assolveva l'imputato dalla residua imputazione di cui al capo 1) e dal reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 (capo 2), perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce l'errata applicazione della legge penale. Assume il ricorrente che la società aveva comunque effettuato la comunicazione IVA di cui all'art. 22, comma 4, direttiva CEE n. 77/388 del 17 maggio 1977, la quale, seppure non equipollente alla dichiarazione annuale, nondimeno sarebbe idonea ad escludere il dolo specifico previsto dall'art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce l'errata applicazione ed interpretazione della legge penale in riferimento all'art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000. Ad avviso del ricorrente, l'immobile non sarebbe sfuggito alla procedura esecutiva eventualmente intentata perché esso era tracciabile, non essendo mai uscito dalla sfera di controllo dei coniugi R.; invero, sebbene l'immobile sia stato dirottato verso una società estranea al gruppo coinvolto di presunte false fatturazioni, tuttavia le tre società erano tutte ricollegabili al R., con la conseguenza che detto bene non sarebbe sfuggito all'apprensione tributaria, dal momento che la simulazione degli atti non era idonea a tale scopo.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è inammissibile, perché reitera censure che la Corte territoriale ha disatteso con motivazione immune da vizi logici e da errori di diritto e con la quale il ricorrente, a ben vedere, omette di confrontarsi criticamente.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

3. Invero, premesso che il termine per la dichiarazione dei redditi del 2011 scadeva il 30 settembre 2012, la Corte territoriale ha correttamente confutato la prospettazione difensiva, qui riproposta, secondo cui l'imputato, al 31 maggio 2012, sarebbe stato nel termine per la dichiarazione IVA, ai sensi dell'art. 22, comma 7, d.P.R. n. 322 del 1998, correttamente osservando che si tratta di una tempistica non pertinente al capo d'imputazione e al relativo termine di consumazione del reato.

3. In ogni caso, la Corte territoriale ha correttamente richiamato il principio, che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità, secondo il quale è configurabile la responsabilità del contribuente per il delitto di omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, anche quando lo stesso abbia regolarmente provveduto alla comunicazione IVA, prevista dall’art. 8-bis del d.P.R. n. 322 del 1998, poiché si tratta di adempimenti non equipollenti e che rispondono a diverse finalità (Sez. 3, n. 44433 del 01/10/2013 - dep. 04/11/2013, Scrivano, Rv. 257377).

Recita infatti l’art. 8-bis, comma 1, d.P.R. n. 322 del 1998: "Fermi restando gli obblighi previsti dall’art. 3 relativamente alla dichiarazione unificata e dall'art. 8 relativamente alla dichiarazione I.V.A. annuale e ferma restando la rilevanza attribuita alle suddette dichiarazioni anche ai fini sanzionatori, il contribuente presenta in via telematica, direttamente o tramite gli incaricati di cui all'art. 3, commi 2-bis e 3, entro il mese di febbraio di ciascun anno, una comunicazione dei dati relativi all'imposta sul valore aggiunto riferita all'anno solare precedente, redatta in conformità al modello approvato con provvedimento amministrativo da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. La comunicazione è presentata anche dai contribuenti che non hanno effettuato operazioni imponibili".

Orbene, dal chiaro tenore testuale della norma emerge la non equipollenza della comunicazione IVA, da effettuarsi entro il mese di febbraio di ciascun anno, con la dichiarazione annuale dell'imposta, dovendosi evidenziare che l'art. 8-bis, comma 1, fa salvi gli effetti sanzionatori, tra cui evidentemente quelli penali, comminati per l'omessa dichiarazione.

La comunicazione prevista dalla disposizione citata, infatti, è sostitutiva delle dichiarazioni periodiche IVA infrannuali ed assolve allo scopo di fornire all'amministrazione finanziaria i dati IVA sintetici, che costituiscono una prima base di calcolo per la determinazione delle risorse proprie che lo Stato deve versare al bilancio comunitario. Si tratta perciò di una comunicazione che non interferisce affatto con la dichiarazione dei redditi e la cui presentazione non incide affatto sugli elementi oggettivi e soggettivi previsti dal delitto di cui all'art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000.

4. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo.

5. Secondo quanto accertato dai giudici di merito, e non oggetto di contestazione da parte del ricorrente, R., nella sua qualità di amministratore unico e legale rappresentate dalla S.G. srl, vendette simulatamente una serie di immobili alla società E. s.r.l., legalmente rappresentata dalla coniuge E.P., per un importo di 630 mila euro, oltre iva pari a 107.400 euro, in modo da rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

6. Va ricordato che l'art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 punisce la condotta di chi "aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva"; la norma prevede il dolo specifico, ossia il "fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila".

La presenza del dolo specifico, oltre che arricchire l'elemento soggettivo del reato, si riflette anche sulle caratteristiche della condotta, la quale deve essere idonea al conseguimento del fine, essendo peraltro indifferente, ai fini della consumazione del reato, che ciò avvenga in concreto.

7. In tal senso, del resto, è orientata la giurisprudenza di questa Sezione, la quale ha costantemente affermato che il delitto previsto dall'art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, è reato di pericolo, integrato dal compimento di atti simulati o fraudolenti volti a occultare i propri o altrui beni, idonei - secondo un giudizio ex ante che valuti la sufficienza della consistenza patrimoniale del contribuente rispetto alla pretesa dell'Erario - a pregiudicare l'attività recuperatoria dell'amministrazione finanziaria (Sez. 3, n. 46975 del 24/05/2018 - dep. 16/10/2018, F, Rv. 274066; Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016 - dep. 01/04/2016, Pass, Rv. 266771; Sez. 3, n. 39079 del 09/04/2013 - dep. 23/09/2013, Barei e altro, Rv. 256376: fattispecie in cui è stata ritenuta penalmente rilevante la condotta di un commercialista che, in prossimità degli esiti di una verifica fiscale a suo carico, aveva ceduto immobili e quote sociali alla convivente).

8. Nella vicenda che ci occupa, secondo quanto accertato dalla Corte territoriale, già alla data del preliminare di vendita - ossia l'8 gennaio 2010 - il R. era consapevole che le verifiche fiscali, in corso dal 4 novembre 2009, sulla S. s.r.l., società di cui era amministratore, si sarebbero inevitabilmente estese anche alla M. s.r.l. e alla S.G. s.r.l., sicché egli fu indotto alla vendita immobiliare all'E. s.r.l., società della moglie, così ottenendo l'effetto di sottrarre tali risorse alle pretese erariali che avrebbero potuto attingere la S.G. s.r.l., dirottandole verso una società, estranea al giro di false fatturazioni, al contempo rimanendone di fatto in possesso, desumendo la fraudolenza dell'operazione, oltre che dalla cronologia degli accadimenti, dal mancato rinvenimento di qualsiasi fattura di vendita, dall'omessa presentazione da parte dell'E. s.r.l. del bilancio relativo all'anno di imposta 2011, in cui fu effettuato l'acquisto degli immobili, e dall'assenza, nei dati di bilancio della S.G. s.r.l., dell'avvenuta vendita.

9. Orbene, a fronte di tale ricostruzione, da cui emerge, in maniera non manifestamene illogica, il carattere fraudolento della vendita degli immobili in esame attuato al fine di sottrarre detti cespiti all'azione di recupero da parte dell'Erario, non ha pregio l'assunto difensivo, secondo cui i beni sarebbero stati comunque individuati, in quanto le società erano comunque riconducibili al R.; invero, la vendita fittiziamente realizzata di immobili da parte di una società dell'imputato, coinvolta nel giro di fatture false, a una società terza, di proprietà della moglie del ricorrente, ha pregiudicato, secondo un giudizio ex ante, l'attività recuperatoria dell'amministrazione finanziaria, ciò che integra il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice in esame.

10. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.