Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 30 dicembre 2020, n. 29862

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Domanda di revocazione - Prova - Accertamento di falsità - Decreto di archiviazione del giudice penale - Esclusione

 

Fatti di causa

 

1. Il contribuente era attinto da avviso di accertamento con rideterminazione del reddito professionale per l'anno di imposta 2006, in quanto socio al 50% della soc. Professionisti A. s.r.I., a sua volta destinataria di avviso di accertamento per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi relativamente al medesimo anno. Esperiva quindi ricorso protestando la carenza di legittimazione a ricevere la notifica alla società, in quanto da tempo non più legale rappresentante, avendone ceduto la posizione al sig. V. C., contestando altresì nel merito la pretesa tributaria, relativa ad un importo non depurato dai costi di gestione 'societari, agevolmente ricavabili dai dati in possesso dell'amministrazione finanziaria. Il giudice di primo grado non ammetteva la partecipazione all'udienza del funzionario non ritualmente delegato, sicché non erano acquisite le relazioni di notifica alla società, in persona di V. C. che questi intendeva produrre, veniva riconosciuta l'invalidità della notifica societaria al contribuente non più legittimato a riceverla e ad impegnare la società, donde - per l'effetto - l'invalidità della ripresa a tassazione per utili da partecipazione a società che non abbia previamente ricevuto notifica o il cui accertamento non sia definitivo. Avverso la sentenza favorevole al contribuente proponeva ricorso l'Ufficio, ottenendo la produzione ex art. 58, comma secondo, d.lgs. n. 546/1992 delle relazioni di notifica alla società, sicché il giudice dell'appello accoglieva il gravame riscontrando la ritualità della notifica dell'accertamento al legale rappresentante, non opposto nei termini di legge e, quindi, divenuto definitivo.

2. Avverso questa pronuncia, già impugnata per cassazione, il contribuente ha successivamente esperito ricorso per revocazione, sulla scorta delle risultanze di indagine penale - sfociata in archiviazione - da cui emerge che l'acquirente delle quote e (nuovo) legale rappresentante della società Professionisti A. s.r.l. non sarebbe V. C., ma altro soggetto -ignoto - che si è presentato al rogito esibendo una carta di identità contraffatta, per numero di serie, soggetto rilasciante, dati anagrafici.

La CTR ha però respinto la domanda di revocazione, donde ricorre per cassazione il contribuente, affidandosi ad unico motivo, mentre rimane resistente l'Amministrazione.

In prossimità dell'udienza il P.G. deposita requisitoria scritta in forma di memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Viene proposto unico motivo di ricorso.

1. Con l'unico motivo di ricorso si prospetta censura ex art. 360 n. 3 c.p.c. per violazione degli articoli 2699 c.c. nonché 116 e 395 c.p.c. oltre all'art. 64 d.lgs. n. 546/1992, nella sostanza affermando che la commissione territoriale non abbia apprezzato i nuovi elementi che danno prova di estraneità dell'acquirente delle quote e vero legale rappresentante della società Professionisti A. s.r.l. rispetto al sig. V. C. presso cui è stata tentata la notifica dell'avviso di accertamento dove ha trovato scaturigine la ripresa a tassazione dell'odierno ricorrente.

Occorre preliminarmente ricordare che l'indagine penale de qua si è conclusa con decreto di archiviazione e che la domanda di revocazione è stata proposta sulla base della conoscenza di fatti preesistenti, documentati successivamente alla sentenza revocanda.

Sotto il primo profilo, questa Corte ha ricordato come "il decreto di archiviazione emesso dal giudice penale ex art. 409 cod. proc. pen., per la sua natura di atto giudiziale non definitivo, non integra accertamento della falsità di una prova che possa dare luogo al giudizio di revocazione ex art. 395, n. 2, cod. proc. civ.". (Così, Cass. IV, n. 156/2015).

Sotto il secondo profilo, devesi precisare come la disciplina della revocazione, trattandosi di rimedio impugnatorio straordinario, sconti i limiti della stretta interpretazione di cui all'art. 14 dis. leg. gen., donde il lemma "trovati" si riferisce a documenti preesistenti alla sentenza revocanda e non successivi, come nel caso in esame (cfr. sul punto Cass. III, n. 3362/2015;  Cass. IV, n. 14114/2006). Sicché né si può dare per accertato il "furto di identità" in danno al sig. V. C., né vengono offerti documenti preesistenti alla sentenza revocanda che, se conosciuti, avrebbero orientato diversamente il giudizio.

Il motivo è quindi infondato.

In conclusione il ricorso è infondato e dev'essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese a favore dell'Agenzia delle entrate che liquida in €.settemilatrecento/00, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.