Contrattazione aziendale e assenza di rappresentatività sindacale: la pronuncia della Cassazione

Gli accordi stipulati da un rappresentante dei lavoratori non sindacalista ed il datore di lavoro hanno natura non di contratti collettivi aziendali ma di contratti individuali di lavoro, ancorché plurisoggettivi o plurilaterali. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con ordinanza del 28 aprile 2020, n. 8265, con la quale ha ritenuto, per l'assenza di rappresentatività sindacale dei lavoratori, l’accordo in esame non idoneo ad integrare i presupposti per la fruizione della decontribuzione.

Nella specie, una Corte d'appello territoriale ha accolto l'appello proposto dall'INPS nei confronti di una società avverso la sentenza di primo grado di accoglimento della opposizione a cartella con la quale l'Istituto aveva preteso dalla medesima società il pagamento di differenze sulla contribuzione dovuta sui premi di risultato erogati in esecuzione di un accordo aziendale sottoscritto annualmente dalla società e da un rappresentante dei lavoratori e, quindi, ritenuto - per l'assenza di rappresentatività sindacale dei lavoratori - non idoneo ad integrare i presupposti per la fruizione della decontribuzione prevista dall'art. 2 d.l. n. 67/1997 conv. in I. n. 135 del 1997.
La Corte territoriale, nel dettaglio, ha ritenuto che secondo la nozione accolta dalla giurisprudenza di legittimità, per contratto aziendale si deve intendere un atto di autonomia generale che, concernendo una collettività di lavoratori indistintamente considerati e soggettivamente non identificati col contratto stesso, se non attraverso il loro inserimento nella organizzazione aziendale, realizza una uniforme disciplina nell'interesse collettivo di costoro; pertanto, laddove il contratto sia stipulato senza il tramite di organizzazione sindacale, si realizza una ipotesi di contratto plurimo, inteso come somma di contratti individuali identici, ma non sindacale. Dunque, la Corte ha ritenuto insussistente il diritto della società in questione a fruire della decontribuzione.
Con ricorso in Cassazione, la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro in ragione della errata ricognizione da parte della sentenza impugnata della fattispecie astratta contenuta nell'art. 2 d.l. n. 67/1997 conv. in I. n. 135 del 1997, posto che tale disposizione sarebbe ispirata al principio di libertà formale in ordine alle fonti sindacali che introducano forme di erogazione premiale che consentirebbe anche all'uso negoziale, integrato nel caso di specie, di essere sussunto nella astratta previsione; ciò in applicazione dell'art. 39 Cost. in tema di libertà sindacale, e sempre che, dal punto di vista dei contenuti, si tratti di erogazioni incerte quanto alla corresponsione ed all'ammontare e collegate ad incrementi di produttività.
Orbene, tale motivo è infondato. La questione riguarda l'interpretazione dell'art. 2, comma 1, d.l. n. 67 del 1997 conv. in I. n. 135 del 1997 (oggi abrogato dalla legge n. 247 del 2007). In particolare, il vantaggio contributivo disciplinato dall'intero articolo 2 d.l. n. 67 del 1997 risultava strutturato, nel periodo di vigenza della disposizione, mediante la esclusione dalla retribuzione imponibile a fini previdenziali della retribuzione di risultato; tale beneficio era concesso automaticamente, non poteva essere maggiore alla aliquota massima della retribuzione percepita dal lavoratore (1% sino al 1997; 2% sino al 1998; 3% a partire dal 1999); era previsto un contributo di solidarietà (10%) a carico dei datori di lavoro e vi era obbligo di applicazione dei minimali retributivi stabiliti da CCNL ed era anche previsto I'obbligo di deposito del contratto collettivo decentrato presso gli uffici del lavoro; si trattava, dunque, di un sistema volto ad alleggerire il costo del lavoro puntando sull'incentivazione della maggiore produttività, ma al contempo lasciando all'esterno della previsione la individuazione dei parametri di misurazione del risultato atteso in termini di produttività, competitività, ecc.. In via generale, fu imposta dalla legge la presenza di un'alea legata alla attribuzione del premio e delegando alla negoziazione collettiva il compito di individuare nel concreto detti parametri. Si trattava di una delega ampia e fondata su una pluralità di parametri di riferimento alternativi il cui esercizio avrebbe anche potuto determinare il rischio di fenomeni collusivi delle parti, posto il comune interesse del lavoratore che si vede riconosciuta una maggiore retribuzione netta e dell'impresa che affronta un minor costo del lavoro.
Alla specifica funzione della previsione di legge in commento risponde, dunque, l'affidamento all'organismo sindacale decentrato della legittimazione alla produzione della fonte costitutiva del diritto al premio di risultato; si comprende, dunque, come l'attribuzione alla fonte sindacale del potere di incidere sulla regola generale della base contributiva, riposi su considerazioni specifiche della disciplina previdenziale che rendono non pertinente il richiamo ai principi regolatori della libertà di associazionismo sindacale di cui all'art. 39 Cost. o, ancora, ai principi espressi in materia di efficacia dei cd. usi negoziali, invocati in ricorso e sollecitino, invece, una interpretazione restrittiva del testo di legge in esame.
La Corte di Cassazione ha avuto modo di statuire che agli accordi collettivi aziendali si debba riconoscere (anche e soprattutto in ragione dei rinvii che plurime disposizioni legislative operano alla contrattazione aziendale) efficacia vincolante analoga a quella del contratto collettivo nazionale, trattandosi pur sempre non già d'una sommatoria di più contratti individuali, ma di atti di autonomia sindacale riguardanti una pluralità di lavoratori collettivamente considerati. Come il contratto nazionale e quelli di qualsiasi altro livello, anche il contratto aziendale è destinato ad introdurre una disciplina collettiva uniforme dei rapporti di lavoro, sia pure limitatamente ad una determinata azienda o parte di essa; il contratto collettivo è posto a tutela di interessi collettivi della comunità di lavoro aziendale e l'eventuale inscindibilità della disciplina che ne risulta concorre a giustificare sempre, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l'efficacia erga omnes dei contratti collettivi aziendali.
Dunque, gli accordi oggetto della controversia in esame (stipulati da un rappresentante dei lavoratori non sindacalista ed il datore di lavoro), hanno natura non di contratti collettivi aziendali ma di contratti individuali di lavoro, ancorché plurisoggettivi o plurilaterali.