Licenziamento per motivi economici, la legittimità prescinde da una situazione economica sfavorevole

In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, connesso a motivi economici, il giudizio di legittimità non esige la sussistenza di una situazione economica sfavorevole, essendo invece sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, o quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale e persino ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa (Corte di Cassazione, ordinanza 17 febbraio 2020, n. 3908)

La vicenda giudiziaria ha origine a seguito della domanda proposta da un lavoratore tesa ad ottenere la declaratoria di illegittimità, per difetto di giustificato motivo oggettivo, del licenziamento intimatogli. La Corte di appello, confermando la sentenza del Giudice di prime cure, aveva accertato tale illegittimità e condannato la società datrice di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata a venti mensilità dell'ultima retribuzione di fatto, oltre accessori.
La società ricorre così per Cassazione, deducendo l’erroneità della sentenza di merito laddove essa non si era limitata alla verifica della sussistenza del nesso causale tra ragioni riorganizzative e licenziamento, bensì aveva sindacato nel merito le scelte imprenditoriali di riorganizzazione aziendale comportanti la soppressione della posizione di quadro del lavoratore licenziato, con affidamento delle relative mansioni all'amministratore delegato.
Per la Suprema Corte il ricorso è fondato.
Secondo consolidato orientamento, ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l'andamento economico negativo dell'azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all'attività produttiva ed all'organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell'assetto organizzativo attraverso la soppressione di un'individuata posizione lavorativa.
Dunque, la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro è insindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al principio di libertà dell’iniziativa economica privata (art. 41 Costituzione), salvo che il giudice accerti in concreto l'inesistenza della ragione organizzativa o produttiva, nel qual caso il licenziamento risulta ingiustificato per la mancanza di veridicità o la pretestuosità della causale addotta (ex multis, Corte di Cassazione, sentenza 18 luglio 2019, n. 19302).
Altresì, è sempre necessario che le suddette ragioni incidano, in termini di causa efficiente, sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore licenziato, solo così potendosi verificare la non pretestuosità del recesso (Corte di Cassazione, sentenza 28 marzo 2019, n. 8661).
Nel caso di specie, invece, la Corte territoriale aveva esteso il proprio accertamento alla verifica della necessità dedotta dalla società datrice, a spiegazione della ragione organizzativa, consistente nella "necessità di fronteggiare la situazione sfavorevole di mercato e specifica della (...) azienda, soprattutto verso l'estero" comportante "la stringente necessità di adottare un piano di ristrutturazione organizzativa volto a ridurre i costi, anche relativi alle trasferte". Ma "esigere la sussistenza di una situazione economica sfavorevole" per valutare legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo "significa inserire nella fattispecie legale astratta disegnata dall'articolo 3 della Legge n. 604/1966 un elemento fattuale non previsto, con una interpretazione che trasmoda inevitabilmente, talvolta surrettiziamente, nel sindacato sulla congruità e sulla opportunità della scelta imprenditoriale" (Corte di Cassazione, sentenza 7 dicembre 2016, n. 25201).