Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 16 gennaio 2020, n. 1564

Reati tributari - Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte - Sequestro diretto delle somme esistenti sui conti correnti nella disponibilità delle società

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con ordinanza del 13 luglio 2019, il Tribunale del riesame di Palermo ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Termini Imerese nel procedimento a carico, tra gli altri, di Y.J., per i reati di cui agli artt. 216, legge fall., 11 d.lgs. 74 del 2000 e 648-ter.l. cod. pen. Più precisamente, secondo quanto si legge nel provvedimento genetico, il Giudice per le indagini preliminari ha disposto:

1) in relazione a tutti i reati contestati, il sequestro cd. impeditivo diretto delle quote, dei complessi aziendali (conti compresi) e di tutti i punti vendita riconducibili alle società S., Y., H., N.S. e Y.2;

2) in relazione al delitto di autoriciclaggio, il sequestro (anche per equivalente), finalizzato alla confisca, delle utilità riconducibili alle società S., Y., H., Y.2 e N.S.;

3) in relazione al reato di cui all'art. 11 del d.lgs. 74 del 2000, il sequestro diretto delle somme esistenti sui conti correnti nella disponibilità delle società S., Y., H., Y.2 e N.S., «dei titoli e/o obbligazioni, gestione collettiva del risparmio, depositi, buoni fruttiferi, contratti derivati ed ogni altro rapporto giacente sui conti correnti intestati alle società, pari a 1.783.668,49 euro oltre l'eventuale valore corrispondente agli utili maturati durante la gestione delle predette società», nonché, ove non fossero state rinvenute somme pari all'importo da sequestrare, il sequestro per equivalente, nei limiti dell'importo suddetto, delle somme, dei titoli e degli immobili nella disponibilità degli indagati.

Y.J. risponde dei reati quale amministratore della Y. nella quale era confluito il ramo di azienda corrispondente ad uno dei grandi magazzini della Z., sito in Palermo.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagata, ricorso affidato a tre motivi.

2.1. Il primo motivo deduce violazione degli artt. 11 del d.lgs. 74 del 2000 e 321 cod. proc. pen., assumendo che il reato tributario in discorso è reato proprio che può essere commesso solo dal contribuente obbligato al pagamento del debito tributario e dall'amministratore di fatto, entrambe figure che non si attagliano alla ricorrente, che è una concorrente estranea al reato e solo appartenente al medesimo nucleo familiare degli amministratori di diritto. A seguire, opina la ricorrente che, tra le condotte di sottrazione a lei contestate, non ve ne sarebbero né di simulate, né di fraudolente; a sostegno del suo assunto, la parte trascrive un passaggio della motivazione dell'ordinanza avversata, opinando che quelle ivi indicate sarebbero operazioni fisiologiche dell'attività di impresa.

2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione dell'art. 321, comma 1, cod. proc. pen. quanto al sequestro disposto per la bancarotta fraudolenta distrattiva, sostenendo che, mentre l'editto accusatorio aveva individuato i rami di azienda e gli utili che sarebbero stati distratti, non conteneva, invece, la precisazione di quali fossero gli utili assegnati a ciascuna società H., Y. e Y.2. Ne conseguirebbe - sostiene la ricorrente - che il valore del sequestro preventivo nei confronti di ciascun indagato è di gran lunga superiore al valore delle presunte "quote distrattive" contestate a ciascuno di essi, nonché all'esposizione debitoria della fallita. Inoltre difetterebbe il necessario rapporto di pertinenzialità tra i beni sequestrati ed il reato.

2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione dell'art. 648-ter. 1 cod. pen. perché vi sarebbe coincidenza tra le condotte distrattive contestate ex art. 216 legge fall, e quelle che integrerebbero l'autoriciclaggio, senza alcun quid pluris che possa far ritenere concretizzata l'oggettività del reato.

 

Considerato in diritto

 

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo di ricorso è, in parte, manifestamente infondato e, in parte, generico.

2.1. Quanto al tema della possibilità che Y.J., siccome concorrente estranea alla società cui si riferisce l'attività rilevante ex art. 11 d.lgs. 74 del 2000 concorra in quest'ultimo reato, il Collegio osserva che la premessa da cui muove la ricorrente è errata in diritto.

Giova ricordare che Y.J. - figlia di H.U.I., legale rappresentante della Z. - è raggiunta dal fumus del reato ipotizzato siccome legale rappresentante della Y., nella quale era confluito il ramo di azienda della società fallita corrispondente ad uno dei grandi magazzini siti in Palermo, attività che integra la condotta di artificiosa sottrazione di beni della Z. alle ragioni del Fisco che le è addebitata.

Ebbene, contrariamente a quanto assume la ricorrente, non è errato in diritto reputare che quest'ultima, nell'ambito del ruolo rivestito nella Y. e prestandosi a ricevere una parte dei beni della società contribuente Z., abbia offerto un contributo concorsuale rilevante ex art. 11 d.lgs. 74 del 2000, a nulla rilevando la mancanza di cariche all'interno della Z..

La qualifica di amministratore della Y., infatti, è stata pur sempre essenziale per l'attuazione dell'attività distrattiva e funzionale ad essa, giacché la sottrazione dei beni della Z. alle ragioni dell'Erario in cui si sostanza la contestazione è stata resa possibile dall'accondiscendenza della società ricevente e, per essa, naturalmente, del suo legale rappresentante, che ha ricevuto il ramo di azienda della prima.

In altri termini, la circostanza che la fattispecie in contestazione sia un reato costruito sulla figura del contribuente non impedisce che vi concorra un soggetto estraneo al rapporto tributario nell'ambito del quale si realizzano le attività sottrattive, laddove egli ponga in essere un qualsiasi consapevole contributo concorsuale.

Ciò vale a prescindere dalla costruzione del reato non solo come proprio, ma anche con monosoggettivo. A quest'ultimo proposito viene in gioco anche la tematica del concorso atipico (riconosciuta riferibile anche al concorso materiale, cfr. Sez. 4, n. 1236 del 16/11/2017, dep. 2018, Raduano, Rv. 271755), secondo la quale, combinando la norma di cui all'art. 110 cod. pen. con le singole figure di reato, è possibile attribuire rilievo penale a condotte che esulano, a rigore, dal modello precettivo individuato dalla fattispecie legale costruita con riferimento alla commissione monosoggettiva del reato. La condizione per la rilevanza penale della condotta del compartecipe è, naturalmente, che essa, ancorché non rispondente al paradigma tipico della fattispecie, abbia apportato un qualunque contributo alla realizzazione del fatto reato così come concretamente materializzatosi, contributo che, nel caso di Y.J., è tangibile.

Una definitiva conferma alla possibilità della costruzione del reato tributario in discorso come suscettibile di coinvolgere soggetti diversi dal contribuente infedele si ricava, a contrario, proprio dal corpo normativo di riferimento, segnatamente dalla disposizione di cui all'art. 9 D.l.vo 74 cit., che esclude la possibilità di concorso tra autori di reati tributari solo in relazione a quelli di cui agli artt. 2 e 8 (negando, quindi, la possibilità di concorso tra emittente di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e chi si avvale di tali documenti). Ciò significa che, in relazione alle altre fattispecie tributarie per le quali manca una norma come quella appena indicata, il legislatore non ha inteso escludere le regole generali in materia di concorso di persone nel reato.

2.2. Per il resto il ricorso sostiene che, tra le condotte di sottrazione contestate alla Yu, non ve ne sarebbero né di simulate, né di fraudolente; a sostegno del suo assunto, la parte trascrive un passaggio della motivazione dell'ordinanza avversata, opinando che quelle ivi indicate sarebbero operazioni fisiologiche dell'attività di impresa.

Orbene, questo segmento del motivo di ricorso in esame è, in parte, intrinsecamente generico - risolvendosi nell'enunciazione di principi teorici - ed in parte aspecifico, in quanto non ha colto la ratio decidendi del provvedimento impugnato. A quest'ultimo riguardo giova infatti osservare che la parte, a sostegno della propria doglianza, ha valorizzato un passaggio della motivazione che non è quello cui i giudici di merito hanno riferito le operazioni rilevanti ex art. 11, passaggio che, al contrario, è stato utilizzato dal Tribunale del riesame per sostenere che la società operava normalmente e che, quindi, era anomalo che non fossero stati trovati né mobili, né rimanenze di magazzino al momento del fallimento. I giudici della cautela, invece, anche mediante il richiamo della motivazione del Giudice per le indagini preliminari a pag. 17 del decreto di sequestro, hanno indugiato sul fumus della fattispecie tributaria in altra sezione della motivazione, attribuendo la natura di atti fraudolenti alle operazioni svolte, tese a trasferire i rami d'azienda e l'avviamento della Z. ad altre società, facenti capo ai medesimi soggetti e destinate alla prosecuzione dell'attività aziendale; il tutto, dopo avere, nonostante la solidità dell'impresa, omesso di adempiere all'obbligazione tributaria e lasciando sulla Z. tutti gli oneri legati al debito maturato nei confronti dell'amministrazione fiscale.

Ebbene, questa porzione del tessuto argomentativo dell'ordinanza impugnata è rimasta del tutto priva di critiche specifiche da parte della ricorrente, il che confligge con gli insegnamenti della giurisprudenza di questa Corte - ribaditi da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268823 - secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.

3. Il secondo motivo di ricorso - con cui la parte deduce violazione dell'art. 321, comma 1, cod. proc. pen. quanto al sequestro disposto per la bancarotta fraudolenta distrattiva - è inammissibile perché generico e manifestamente infondato. E' appena il caso di osservare che il sequestro preventivo ordinato per il reato di bancarotta fraudolenta è impeditivo e, quindi, non vi era alcuna necessità di commisurarlo al profitto di ciascuno, come invece supposto dalla ricorrente. Quanto alla pertinenzialità dei beni rispetto alla fattispecie ritenuta sussistente, l'impugnativa è marcatamente apodittica, non chiarendo perché tale pertinenzialità andrebbe esclusa.

4. Il terzo motivo di ricorso - che deduce violazione dell'art. 648-ter. 1 cod. pen. perché vi sarebbe coincidenza tra le condotte distrattive contestate ex art. 216 legge fall, e quelle che integrerebbero l'autoriciclaggio, senza alcun quid pluris che possa far ritenere concretizzata l'oggettività del reato - pur fondando su una base esegetica che il Collegio reputa corretta, è del pari inammissibile.

Se, invero, si ritiene valido il principio già sancito da precedenti di questa sezione - secondo cui non integra la condotta di autoriciclaggio il mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare a favore di imprese operative, occorrendo a tal fine un quid pluris che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene (Sez. 5, n. 38919 del 05/07/2019, De Marco, Rv. 276853; Sez. 5, n. 8851 del 01/02/2019, Petricca, Rv. 275495) - la ricorrente non ha tuttavia chiarito quale sarebbe il suo concreto interesse ad ottenere l'annullamento, in parte qua, dell'ordinanza impugnata, né tale interesse emerge dagli atti di causa. A fronte dell'inammissibilità del ricorso rispetto al fumus delle altre fattispecie ed alla sostanziale convergenza del sequestro sui medesimi beni, infatti, la situazione che si profila è che l'eventuale annullamento del provvedimento non sortirebbe alcun effetto concreto rispetto al vincolo che grava sui beni appresi.

5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell'art.616 cod. proc. pen. (come modificato ex. I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.