Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 15 gennaio 2020, n. 710

Contratto di agenzia - Polizza fideiussoria - Revoca del mandato - Crediti - Provvigioni e prestazioni previdenziali maturate nel periodo di gestione del mandato - Compensazione legale - Presupposti

Rilevato

 

che il Tribunale di Cagliari, con sentenza del 9/11/2012 ha respinto la domanda proposta da S.S., volta ad ottenere la condanna della società Compagnie assicuratrici D.S.S.Z., alla somma di euro 113.000,00 o quella risultante in causa, a titolo di risarcimento dei danni subiti dal S., poiché la controricorrente aveva attivato la polizza fideiussoria stipulata dal ricorrente a garanzia di eventuali crediti derivanti dal contratto di agenzia, dopo la revoca del mandato, nonostante fosse debitrice nei suoi confronti di provvigioni e prestazioni previdenziali maturate nel periodo di gestione ventennale di tale mandato (titoli per i quali il ricorrente aveva ottenuto due sentenze di condanna dal tribunale di Cagliari); che la Corte di appello di Cagliari, con la sentenza impugnata, aveva respinto l'appello proposto da S., non condividendo la sua prospettazione secondo la quale il giudice di primo grado avrebbe dovuto operare una compensazione legale fra i contro-crediti, ed evidenziando, invece, la corretta applicazione dell'art. 1243 cod. civ. che, per la compensazione legale, richiede i requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del credito ed escludendo, pertanto, i presupposti per l'invocato risarcimento;

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il S., affidato a due motivi;

che Z.I.C. s.p.a., ha resistito con controricorso;

che non sono state depositate memorie illustrative.

 

Considerato che

 

Con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:

1) ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte d'appello di Appello ritenendo insussistenti i presupposti per la compensazione legale tra i crediti, al fine di pervenire al rigetto della domanda risarcitoria; avrebbe errato la corte nel ritenere che il credito per provvigioni invocato dall'agente revocato fosse divenuto certo ed esigibile solo più tardi in corrispondenza del passaggio in giudicato della sentenza numero 1032/2003 con cui la preponente veniva condannata al pagamento in suo favore di euro 27.677,24 a titolo di provvigioni per i rapporti pendenti; tale credito, invece, si doveva ritenere già esistente al momento del recesso dal contratto della preponente, ^ antecedente rispetto al credito dalla stessa invocato, rappresentato da un riconoscimento di debito al momento della chiusura dell'esercizio, e doveva essere ritenuto, altresì, un credito certo, liquido ed esigibile.

Nessuna rilevanza dovevano spiegare nella vicenda le circostanze evidenziate dal giudice di merito, ossia che l'agente non avesse rivendicato il proprio contro»«credito, che solo nel 1995 avesse avanzato richieste per provvigioni e che il credito fosse stato accertato con sentenza passata in giudicato solo successivamente.

2) ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., l'omessa valutazione di un punto decisivo della controversia in cui sarebbe incorsa la corte di appello, escludendo l'abuso di diritto da parte della preponente, e ritenendo che neppure l'altro credito, vantato dall'agente nei confronti della Cassa di previdenza agenti presso l'agenzia preponente (scaturente dalla sent. numero 954/2005) potesse essere opposto in compensazione, poiché riguardava un soggetto diverso e non era esigibile prima del 1995; la corte infatti avrebbe omesso di esaminare la lettera del 9 maggio 1996, della Z., indicata nei motivi di appello, dalla quale avrebbe potuto desumere comportamenti della preponente rilevanti ai fini della sua responsabilità per danni, e violativi dell'obbligo di buona fede nell'esecuzione del contratto, ossia che la Z., non procedendo alla compensazione dei crediti del S. con i debiti, non aveva creato i presupposti (chiusura delle operazioni contabili) che avrebbero consentito all'ex agente di soddisfare il proprio credito verso la Cassa, che entrambi i motivi, così come formulati, sono inammissibili per violazione del disposto di cui all'art. 366, co. 1, n. 6, c.p.c., in base al quale l'impugnazione per cassazione deve contenere "la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda".

Questa corte ha chiarito, da tempo, come il requisito di natura contenutistica (v. Cass. SS. UU. n. 28547 del 2008) per essere assolto postula sia che il documento venga specificamente indicato nel ricorso, sia che si dettagli in quale sede processuale risulti prodotto, "poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile" (cfr. Cass. SS. UU. n. 7161 del 2010, Cass. N. 27475 del 20/11/2017).

Il doppio onere della localizzazione e della trascrizione ha avuto seguito nella giurisprudenza successiva (tra le altre v. Cass. n. 18679 del 2017 Cass. n. 6937 del 2010; Cass. sez. VI n. 4220 del 2012).

In particolare, circa l'indicazione della sede processuale ove i documenti risultino prodotti, è stato sovente ribadito che è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l'esame (Cass. n. 8569 del 2013, Cass. n. 18679 del 27/07/2017) con precisazione (anche) dell'esatta collocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. n. 12239 del 2007; Cass. n. 26888 del 2008; Cass. n. 22607 del 2014).

Quanto poi alla trascrizione dei contenuti si è detto in generale che "l'onere di specificazione non concerne solo il cd. contenente, cioè il documento o l'atto processuale come entità materiale, ma anche il cd. contenuto, cioè quanto il documento o l'atto processuale racchiudono in sé e fornisce fondamento al motivo di ricorso. Sotto questo profilo l'onere di indicazione si può adempiere trascrivendo la parte del documento su cui si fonda il motivo o almeno riproducendola indirettamente in modo da consentire alla Corte di cassazione di esaminare il documento o l'atto processuale proprio in quella parte su cui il ricorrente ha fondato il motivo, sì da scongiurare un inammissibile soggettivismo della Corte nella individuazione di quella parte del documento o dell'atto su cui il ricorrente ha inteso fondare il motivo" (in termini: Cass. n. 22303 del 2008; conformi: Cass. n. 2966 del 2011; Cass. n. 15847 del 2014; Cass. n. 18024 del 2014).

Mancando, nei motivi in disamina, la "specifica indicazione" dei documenti e degli atti processuali su cui si fondano, nei sensi espressi dagli orientamenti di legittimità innanzi richiamati, i medesimi risultano inammissibili, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificarne il fondamento sulla base delle sole deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso diretto agli atti del giudizio di merito (tra le tante: Cass. n. 8569 del 2013; Cass. n. 3158 del 2003; Cass. n. 12444 del 2003; Cass. n. 1161 del 1995).

In particolare, nel primo motivo, il ricorrente si richiama, per dedurre la violazione di legge in cui sarebbe incorsa la corte d'appello, a sentenze intercorse tra le parti, da cui dovrebbero scaturire i crediti in discorso, che la corte avrebbe valutato erroneamente nel giudizio circa la correttezza dell'esecuzione del contratto, pervenendo al rigetto della domanda risarcitoria. Nel generico motivo il ricorrente omette di ricostruire in maniera chiara ed analitica i presupposti di fatto su cui il presunto errore di diritto si sarebbe fondato precludendo a questa corte la relativa valutazione.

Del pari, nel secondo motivo, il ricorrente incorre in tale violazione, riferendosi ancora alle sentenze suddette e fondando la dedotta omessa valutazione della corte su documenti non prodotti nel giudizio di cassazione ma solo richiamati.

che alla stregua di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile;

che alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, secondo il principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità;

che, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13".