Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 13 gennaio 2020, n. 401

Indennità di mobilità - Rideterminazione - Massimale superiore - Termine di prescrizione - Passaggio in giudicato

 

Ritenuto che

 

La Corte d'appello di Napoli, con sentenza n. 8030 del 2013, ha rigettato l'appello proposto da M. S. nei confronti dell'INPS avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede di rigetto per prescrizione della domanda, proposta (con ricorso notificato in data 20/21 marzo 2008) dallo stesso S., tesa ad accertare che l'importo dell'indennità di mobilità, di cui aveva fruito dal mese di agosto 2000 al mese di gennaio 2003, era inferiore a quello dovuto,dovendosi applicare il cd. massimale superiore ai sensi del d.l. n. 299 del 1994 in ragione della inclusione nella base di calcolo di talune voci retributive;

ad avviso della sentenza impugnata, superato in quanto infondato il rilievo della tardività dell'eccezione della prescrizione sollevata dall'Inps in primo grado, la questione dell'individuazione del termine di prescrizione andava risolta in applicazione dell'orientamento di legittimità che, in presenza di prestazione da corrispondere in ratei mensili che maturano nel tempo, aveva ritenuto che il termine di prescrizione fosse quinquennale ai sensi dell'art. 2948 n. 4 c.c.;

la Corte territoriale, dopo aver esaminato la fattispecie analoga della rivalutazione del trattamento di disoccupazione agricola e degli accessori sulla medesima prestazione, per la quale si era invece affermato il termine decennale di prescrizione, ha concluso che si trattava di fattispecie non omogenea rispetto a quella in esame in ragione del fatto che nel caso della disoccupazione agricola (di cui la rivalutazione costituisce parte integrante) quella che viene in rilievo è l'unica prestazione che comporta una erogazione una tantum, anche se pagabile in due soluzioni ex art. 8 d.P.R. n. 1323/55 e non periodica; neanche sarebbe accostabile alla fattispecie in esame l'ipotesi della rivalutazione ed interessi delle pensioni, per cui il termine decennale di prescrizione segue il regime del credito base grazie al disposto dell'art. 129 r.d.l. n. 1827 del 1935 e della sentenza della Corte Costituzionale n. 283 del 1989, per la peculiarità dell'ambito pensionistico; al contrario, il caso in esame si mostrerebbe simile a quelle ipotesi in cui il termine di prescrizione breve si è applicato per legge come ad esempio, ex art. 6 I. n. 138 del 1943 per l'indennità di malattia, che si prescrive in un anno a prescindere dalla <liquidità> o meno della prestazione, l'assegno per il nucleo familiare o per il pagamento dei sussidi ai lavoratori socialmente utili;

a diversa conclusione, poi, non poteva condurre quanto affermato dalla sentenza n. 3335 del 2009 della stessa Corte d'appello di Napoli, relativa alla questione dell'applicabilità del termine di decadenza alla presente fattispecie, giacché la questione relativa al termine di prescrizione era stata solo accennata;

la Corte di merito ha, inoltre, affermato l'inapplicabilità alla fattispecie del giudicato formatosi nelle more del giudizio con la sentenza n. 28162/2008, emessa tra le stese parti dal Tribunale di Napoli e relativa ad altre annualità della medesima indennità di mobilità, posto che il ricorrente aveva parcellizzato illegittimamente il proprio credito, scegliendo di frazionare le azioni relative al medesimo credito quando lo stesso era del tutto maturato e definito nei propri presupposti;

avverso tale sentenza M. S. ricorre per cassazione sulla base di vari motivi illustrati da memoria: 1) violazione ed errata applicazione dell'art. 2948 c.c. n. 4, il quale, pur prevedendo la prescrizione quinquennale per I tutto ciò che viene pagato ad anno o a termini più brevi, non potrebbe essere applicato alla presente fattispecie perché oggetto della domanda è il riconoscimento del diritto al ricalcolo di una prestazione già erogata (SS.UU n. 12720 del 2009) che, prima delle modifiche apportate dall'art. 38 d.l. n. 98 del 2011 conv. con mod. in I. n. 111 del 2011, non era soggetto a decadenza, né alla prescrizione quinquennale (introdotta dall'art. 38, comma 4, del citato d.l.) di cui all'art. 47 bis d.p.r. n. 639 del 1970, applicabile in via transitoria alle sole fattispecie pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della nuova disposizione; 2) violazione ed errata applicazione dell'art.324 c.p.c. vertendosi in ipotesi di rapporto di durata connotato da obbligazioni periodiche di pagamento in relazione ad un segmento del quale è già intervenuta pronuncia giudiziale, divenuta cosa giudicata formale che ha acclarato un punto essenziale della questione ovverosia l'accertamento di una retribuzione globale di fatto all'atto dell'entrata in mobilità superiore alla soglia di riferimento sancita dalla circolare Inps per l'anno 1999; 3) violazione ed errata applicazione dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 3 Cost. anche alla luce dei circa 200 precedenti costituiti da sentenze passate in giudicato e conformi agli arresti della giurisprudenza di legittimità ; 4) omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione legata alla rilevata realizzazione di un abuso del processo alla luce del diverso principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità attraverso le sentenza della Corte di cassazione n. 10634 del 2010 e n. 10438 del 2011; resiste l'INPS con controricorso illustrato da memoria;

il P.G. ha reso conclusioni scritte chiedendo con l'accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri, la cassazione della sentenza impugnata;

 

considerato che

 

in primo luogo va rilevato che la sentenza non poggia anche sull'autonoma ratio decidendi della improponibilità della domanda in ragione di un illegittimo frazionamento dell'unico credito, giacché la Corte territoriale ha utilizzato tale passaggio motivazionale al fine di rigettare il profilo dei motivi d'appello legati alla efficacia del giudicato formatosi sulla sentenza n. 28162 del 2008 del Tribunale di Napoli. Se si fosse trattato, peraltro, di autonoma ragione di decisione, di per sé idonea a sostenere la decisione, è evidente che non avrebbe avuto alcun senso trattare della questione a proposito degli effetti del giudicato e successivamente alla affermazione dell'avvenuta prescrizione del credito; il primo motivo va accolto;

in primo luogo, va precisato che l'art. 47 bis d.p.R. n. 639 del 1970, che ha introdotto il termine quinquennale di prescrizione - fra l'altro - delle prestazioni della gestione di cui all'articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni, non può essere applicato alla presente fattispecie perché la stessa è antecedente al 6.7.2011 ( data di entrata in vigore del citato art. 47 bis) e posto che la notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio risale al 20-21 marzo 2008;

invero, Corte Costituzionale n. 69 del 2014, intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 38, comma 4, del DL n 98/2011 che stabilisce che "Le disposizioni di cui al comma 1, lettera c) e d), si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto"; per quel che qui rileva la lettera d) della norma citata ha aggiunto il citato art. 47 bis per cui la pronuncia di illegittimità costituzionale dell'art 38, comma 4, riguarda necessariamente anche le disposizioni introdotte dall'art. 47 bis il quale non potrà che avere applicazione per il periodo successivo al 6/7/2011, dovendosi al riguardo richiamare quanto si legge nella citata sentenza della Corte Costituzionale che sottolinea "il vulnus arrecato al principio dell'affidamento, nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 4, lettera d), si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente decreto";

è evidente che se il nuovo termine quinquennale di prescrizione per ratei non liquidati, in vigore dal 6 luglio 2011, si applica solo da tale data, essendo stato proposto il ricorso introduttivo in data 20-21 marzo 2008, non viene neanche in rilievo l'applicazione dell'art. 252 disp. att. c.c. valevole in ogni caso in cui cambia la prescrizione in corso di rapporto; anteriormente a tale nuova disciplina, come si è detto inapplicabile al caso di specie, la soluzione della questione del termine di prescrizione dei crediti per prestazioni temporanee non corrisposte integralmente, ha formato oggetto di numerose pronunce di questa Corte di cassazione che ha avuto modo di elaborare il principio di diritto secondo il quale in tali casi l'applicabilità dell'art. 2948 c.c. è preclusa in quanto, pur trattandosi di erogazioni periodiche mensili, non sussiste il presupposto implicito della liquidità ed esigibilità del medesimo credito preteso;

l'art. 2948 c.c., si è detto, presuppone la liquidità ed esigibilità del credito, perché solo in tal caso il credito stesso si può considerare pagabile periodicamente e non è sufficiente, a questo fine, che tale sia soltanto in astratto, in base cioè alla disciplina legale applicabile nei momento in cui esso è sorto (Cass. 21 maggio 1990 n. 6245, Cass. n 12472 del 1993, cit., Cass. n 7393 del 1994; Cass. n. 4534 del 1995; Cass. 2563 del 2016); per questa ragione si è affermato che alle componenti essenziali di ratei di prestazioni previdenziali o assistenziali non liquidate si applica la prescrizione ordinaria decennale e non la prescrizione quinquennale, che presuppone la liquidità del credito, da intendere, non secondo la nozione comune ma secondo il disposto del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, secondo cui si prescrivono in cinque anni a favore dell'istituto le rate di pensione "non riscosse";

ne consegue che il diritto di credito relativo a qualsiasi somma (ivi compresa quella per rivalutazione ed interessi, costituente parte integrante del credito base) che non sia stata posta in riscossione si prescrive nel termine di dieci anni, trattandosi di credito non liquido ai sensi e per gli effetti del citato art. 129. (Cass. n. 10955 del 2002 ed anche Cass. n. 4353 del 2009, n. 16023 del 2004, n. 17771 del 2003, n. 7030 del 2003, n. 17126 del 2002); in sostanza, in tema di ratei di prestazioni assistenziali o previdenziali, occorre considerare, al fine della verifica del termine di prescrizione in concreto applicabile, se il credito sia o meno liquido e cioè se vi sia stata o meno messa a disposizione dell'avente diritto delle relative somme; quello infatti che rileva, ai fini del termine di prescrizione applicabile, non è la circostanza che le somme pretese a titolo di accessori siano riferite a somme erogate in unica soluzione o con cadenza periodica, bensì che sia stato completato il procedimento amministrativo di liquidazione della spesa con riferimento alle dette somme;

ne segue che il diritto di credito relativo a qualsiasi somma che non sia stata posta in riscossione si prescrive nel termine di dieci anni, trattandosi di credito non liquido ai sensi e per gli effetti della norma sopra indicata ed il pagamento parzialmente estintivo della pretesa creditoria lascia permanere la "illiquidità", nel senso precisato, del credito per la parte residua; orbene, oggetto della controversia è la determinazione dell'esatto importo del trattamento di mobilità, per cui, la prescrizione applicabile è quella decennale;

la sentenza impugnata non si è attenuta al suddetto principio affermando la prescrizione del diritto, per cui, accolto il primo motivo di ricorso, la sentenza va cassata con rinvio, restando assorbiti gli altri motivi;

il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d'appello di Napoli in diversa composizione, provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo, assorbito gli altri, cassa la sentenza impugnata quanto al motivo accolto e rinvia alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione cui demanda la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.