Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 10 gennaio 2020, n. 310

Tributi - Dichiarazione di successione - Imposte ipotecaria e catastale - Accertamento - Difetto di motivazione dell’atto - Nullità

 

Svolgimento del processo

 

La Commissione tributaria provinciale di Palermo con sentenza 4056/14, sez 7, rigettava il ricorso proposto da M. S., M. E. e M. A. M. avverso l’avviso di liquidazione 09/00493/000027/001 per imposta ipotecaria e catastale 2009 relativa alla dichiarazione di successione di P. K. L.

Avverso detta decisione i contribuenti proponevano appello, innanzi alla CTR Sicilia.

Il giudice di seconde cure, con sentenza 100/12/2018, accoglieva l’impugnazione ritenendo la mancanza di motivazione da parte dell’atto impugnato.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di un motivo.

M. S. ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art 380 bis c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate sostiene che, essendosi trattato nella specie di una erronea applicazione dell’aliquota da parte degli eredi senza che l’Ufficio avesse disposto alcuna rettifica dei dati esposti o disconosciuto alcuna passività, non sussisteva alcun obbligo motivazionale per cui era sufficiente l’indicazione nell’avviso che la maggiore imposta era dovuta " per pagamento imposta principale : imposta e sanzioni dovuta per pagamento insufficiente ". In particolare sotto tale profilo la sentenza impugnata avrebbe fatto erronea applicazione dell’art 33 comma 3 del d.lgs 346/90.

Il ricorso appare ammissibile risultando, da un lato , una adeguata, sia pur sintetica, esposizione dei fatti di causa ,e, dall’altro, non costituendo ragione di inammissibilità la mancanza di riferimenti alla sentenza di primo grado dovendo le censure incentrarsi esclusivamente sulla sentenza di secondo grado oggetto di ricorso.

Ciò posto, il motivo appare infondato.

La controversia si incentra sulla valutazione delle conseguenze che discendono dalla applicazione da parte dei dichiaranti la successione di una aliquota d’imposta errata.

L’Ufficio espressamente riconosce che nel caso di specie non è stata effettuata alcuna rettifica dei dati esposti in dichiarazione e non è stata disconosciuta alcuna passività e che si è provveduto soltanto alla applicazione della imposta corretta.

Va premesso che, ai sensi dell’art 7 della legge 212 del 2000, "gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama.

Ciò comporta che tutti gli atti dell’amministrazione devono fornire adeguata motivazione riguardo la loro adozione ed il contenuto e siffatta necessità non è esclusa dalla circostanza che in materia tributaria, l'esistenza e la congruità della motivazione, deve essere valutata alla stregua delle regole dettate specificatamente per il singolo tributo cui l'atto si riferisce, attesa la polisistematicità della normativa,(v.Cass.5190/15).

Venendo al caso di specie si osserva che si verte in tema di imposta ipotecarie e catastali da versare in sede di successione.

A tale proposito l’art 13, comma 2 bis ,del decreto legislativo 347 del 1990 espressamente prevede che "Gli uffici del registro, in sede di liquidazione di imposta di successione, provvedono a correggere gli errori e le omissioni commessi dagli eredi e dai legatari nell'adempimento degli obblighi previsti dall'articolo 33, comma 1-bis, del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, approvato con decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346. In caso di omesso o insufficiente versamento gli uffici liquidano la maggiore imposta che risulta dovuta con le modalità e nei termini di cui all'articolo 27 del suddetto decreto legislativo n. 346 del 1990."

Nel caso di specie la controversia si incentra sull’errata applicazione dell’aliquota delle imposte in questione in occasione della dichiarazione di successione da parte dei ricorrenti effettuata ai sensi dell’art 33 , comma 1 bis del citato d.lgs 346/90.

In siffatta situazione l’Ufficio era tenuto a liquidare la maggiore imposta in osservanza delle modalità e dei termini di cui all’art. 27 del d.lgs 346 del 1990 come prescritto dal dianzi riportato art 13 ,comma 2 bis, del d.lgs 347/90.

Ebbene, l’art 27del d.lgs 346/90 in questione ai commi 2 e 5 ,che qui interessano, prevede quanto segue:

(omissis)

"2. L'imposta è liquidata dall'ufficio in base alla dichiarazione della successione, a norma dell'art. 33, ed è nuovamente liquidata, a norma dello stesso articolo, in caso di successiva presentazione di dichiarazione sostitutiva o integrativa dì cui all'art. 28, comma 6. La liquidazione deve essere notificata, mediante avviso, entro il termine di decadenza di tre anni dalla data di presentazione della dichiarazione della successione o della dichiarazione sostitutiva o integrativa. ( omissis)

5. Se nelle liquidazioni di cui ai commi 2, 3 e 4 vi sono stati errori od omissioni, l'ufficio può provvedere alla correzione e liquidare la maggiore imposta che ne risulta dovuta. Il relativo avviso deve essere notificato entro il termine di decadenza stabilito per la liquidazione alla quale si riferisce la correzione".

Nel caso di specie non è dubbio che la liquidazione dell’Ufficio è stata effettuata ai sensi del citato articolo 27 del d.lgs 346/90.

Ciò tuttavia non vuol dire che non vi è stata alcuna rettifica dei dati esposti nella dichiarazione di successione perché si è evidentemente corretta l’aliquota applicata dai contribuenti e modificato l’importo dovuto.

Ora, è ben vero che nella fattispecie non risultano applicabili i commi 2 e 3 dell’art 33 del decreto legislativo in esame che prevedono quanto segue:

"2. In sede di liquidazione l'ufficio provvede a correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dal dichiarante nella determinazione della base imponibile e ad escludere:

a) le passività esposte nella dichiarazione per le quali non ricorrono le condizioni di deducibilità di cui agli articoli 21 e 24 o eccedenti i limiti di deducibilità di cui agli articoli 22 e 24, nonché gli oneri non deducibili a norma dell'art. 8, comma 1;

b) le passività e gli oneri esposti nella dichiarazione che non risultano dai documenti prodotti in allegato alla dichiarazione o su richiesta dell'ufficio;

c) le riduzioni e le detrazioni indicate nella dichiarazione non previste negli articoli 25 e 26 o non risultanti dai documenti prodotti in allegato alla dichiarazione o su richiesta dell'ufficio.

3. Le correzioni e le esclusioni di cui al comma 2 devono risultare nell'avviso di liquidazione dell'imposta.

Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che il comma 3 dell’art 33 del d.lgs 346/90 di cui si discute , dispone, con riferimento al potere dell'Ufficio di correggere gli errori materiali e di calcolo e di escludere le passività (o altri oneri, riduzioni e detrazioni) esposte in dichiarazione ma non spettanti o non documentate, che dette correzioni ed esclusioni "devono risultare nell'avviso di liquidazione dell'imposta". Deve al riguardo ritenersi che tale obbligo non possa essere assolto in modo generico e globale, ma esiga, al fine di porre il contribuente in condizione di approntare una adeguata difesa, che le "voci" escluse siano analiticamente individuate (Cass 8190/11; Cass 22148/17)

In ogni caso, la necessità di tale obbligo è generalizzata e discende dal citato art 7 della legge 212 del 2000.

Questa Corte ha a tale proposito già avuto occasione di affermare che in tema di imposta sulle successioni, la motivazione dell'avviso di rettifica e di liquidazione, ha la funzione di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'Ufficio finanziario nell'eventuale successiva fase contenziosa e di consentire al contribuente l'esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che l'atto deve enunciare i criteri astratti in base ai quali è stato determinato il maggior valore, ma non anche gli elementi di fatto utilizzati per l'applicazione di essi, in quanto il contribuente, presa conoscenza del criterio di valutazione adottato, è in condizione di contestare e documentare l'infondatezza della pretesa erariale, fermo restando l'onere della prova gravante sull'Amministrazione .(Cass 14027/12 vedi anche Cass 8136/12)

Venendo dunque alla fattispecie in esame la Commissione regionale ha correttamente affermato che la motivazione dell’avviso di liquidazione basata sulle parole " pagamento imposta principale insufficiente" non è in grado di consentire al contribuente un adeguato esercizio del diritto di difesa poiché trattasi di affermazione del tutto generica che non consente in alcun modo di comprendere le ragioni della rideterminazione dell’imposta poiché il " termine insufficiente pagamento" può riferirsi ad una vasta casistica di ipotesi.

Il ricorso va in conclusione respinto. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna l’Amministrazione ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in euro 2500,00 oltre spese forfettarie 15% ed accessori.