Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 08 gennaio 2020, n. 216

Reati tributari - IVA - Omesso versamento - Conclamata crisi finanziaria della società - Inesigibilità dell'obbligazione tributaria - Esclusione

 

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 15/2/2019, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della pronuncia emessa l'8/3/2016 dal Tribunale di Livorno, assolveva F.D.N. dall'imputazione di cui all'art. 10-bis, d. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, perché il fatto non sussiste, confermando nel resto la condanna in ordine a plurime violazioni dell'art. 10-ter, stesso decreto, con rideterminazione della pena in quattro mesi e venti giorni di reclusione.

2. Propone ricorso per cassazione il D.N., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:

- mancanza e manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna con argomento superficiale e, soprattutto, senza tener in alcun conto numerosi elementi - sottoposti al Giudice del gravame - che attesterebbero la radicale inesigibilità dell'obbligazione tributaria, attesa la conclamata crisi finanziaria nella quale si sarebbe trovata la S. Società cooperativa (della quale il ricorrente era legale rappresentante) sin dal 2008. In particolare, nessun passo della motivazione attesterebbe - come invece documentato - la sensibile riduzione del fatturato già da quell'anno, e fino a circa il 40%, limitandosi la sentenza - per contro - a richiamare il solo dato "assoluto" relativo all'anno 2014, la cui lettura "isolata" (ossia senza considerare le spese sostenute nell'esercizio) lo renderebbe privo di alcun effettivo rilievo. Ancora, la sentenza non darebbe conto di tutti i tentativi posti in essere dal ricorrente - e del pari documentati - volti a fronteggiare la crisi, quali il licenziamento di 18 dipendenti, la richiesta di accesso ad un piano di ammortizzatori sociali, una duplice richiesta di transazione fiscale, i finanziamenti erogati proprio dal D.N. nella misura di circa 250.000,00 euro; al riguardo, infatti, la Corte di appello si sarebbe concentrata soltanto sull'accordo di rateizzazione raggiunto con Equitalia nel 2015, il quale, tuttavia, costituirebbe ulteriore conferma della preesistente indisponibilità delle risorse liquide necessarie agli adempimenti, infine sfociata nella dichiarazione di fallimento del 2018. Tutto quanto precede, peraltro, integrerebbe anche l'inosservanza o erronea applicazione degli artt. 27, commi 1 e 3, Cost., 10-ter contestato (di cui al secondo motivo), atteso che la condanna sarebbe stata confermata pur difettando una reale e riscontrata colpevolezza in capo al ricorrente, trovatosi - per causa a lui non imputabile - nell'impossibilità di versare quanto dovuto, pur avendo adottato ogni iniziativa ed aver dato prova di ciò.

 

Considerato in diritto

 

3. Il ricorso risulta infondato; al riguardo, peraltro, le censure proposte possono esser trattate in modo congiunto, emergendone chiara l'identità di ratio e di contenuto.

4. Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482; Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247). Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi; ciò in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo (Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074).

5. In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le doglianze mosse dal ricorrente al provvedimento impugnato si evidenziano come infondate; la Corte di appello - pronunciandosi proprio sul punto in esame - ha infatti steso una motivazione del tutto congrua, fondata su oggettive risultanze dibattimentali e priva  di quei caratteri (carenza ed illogicità manifesta) denunciati con il ricorso. Una motivazione, quindi, non censurabile.

6. In particolare, la sentenza - con argomento fattuale sottratto alla verifica del Giudice di legittimità - ha innanzitutto rappresentato che il D.N. non aveva provato di essersi trovato in una situazione di oggettiva impossibilità di adempimento, a lui non imputabile, al momento della scadenza del termine ultimo dei pagamenti (27/12/2011, 27/12/2012, 27/12/2013); l'affermazione di cui al ricorso, infatti, risulta al riguardo generica, evocando soltanto "una sensibile riduzione del fatturato (stimata in circa il 40%), determinata, come notorio, dalla significativa crisi di produzione che ha interessato il settore manifatturiero e, in particolar modo, i maggiori committenti della cooperativa". E con la precisazione che le omissioni contestate hanno ad oggetto somme che la società aveva comunque e per certo incassato, e che avrebbe dovuto quindi accantonare a fini IVA, non essendo mai stato neppure dedotto che le relative fatture non fossero state onorate, in tutto od in parte.

7. Ancora, la Corte ha sottolineato che nessuna prova adeguata era stata offerta anche con riguardo alla causa della crisi societaria, ossia alla sua imputabilità esclusiva a vicende straordinarie estranee alla condotta gestionale del ricorrente. E fermo restando, inoltre, che la crisi attraversata - che la sentenza stessa in sé non esclude - non aveva comunque impedito alla società di proseguire la sua attività, "tanto che nell'anno 2014 chiudeva il bilancio con un fatturato di circa 2.966.000,00 di euro". Proprio a quest'ultimo riguardo, peraltro, ritiene il Collegio non decisiva la considerazione - offerta dal ricorso - secondo cui il fatturato "positivo" non sarebbe sufficiente a definire il quadro finanziario dell'ente, in assenza di un'analisi dei costi sostenuti nel medesimo esercizio; tale affermazione - in sé astrattamente corretta - risulta infatti nel concreto generica, poiché non sostenuta dall'indicazione di un "rapporto" fatturato/costi (per l'appunto) negativo negli anni di interesse e, soprattutto, dall'attestazione di aver sottoposto alla Corte di appello un tale dato e di aver ricevuto in sentenza una risposta viziata nei termini di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.

8. Alle medesime conclusioni, poi, si perviene quanto all'ulteriore elemento valorizzato in sentenza con riguardo al dolo (generico) del reato ex art. 10-ter, d. Igs. n. 74 del 2000, ossia "che la S. r.l. è riuscita nel 2015 a concordare un procedimento (...) volto al pagamento del debito maturato con l'Agenzia delle Entrate, con due rateizzazioni, di cui risultano onorate le rate scadute". Osserva la Corte, infatti, che emerge del tutto apodittica la tesi - sostenuta sul punto nel ricorso - secondo cui "la conclusione di un accordo per la ripartizione rateale del pagamento del debito tributario presuppone (...) la preesistente indisponibilità delle risorse liquide necessarie per l'adempimento puntuale degli obblighi fiscali"; un simile accordo, per contro, trova oggettivo fondamento esclusivamente nel pregresso, mancato pagamento del dovuto, che di per sé non attesta un'impossibilità assoluta ad adempiere, ben potendo trovare fondamento in una precisa scelta gestionale (ad esempio, mancato accantonamento delle somme; destinazione ad altri fini delle somme accantonate) che di certo integra il profilo soggettivo del delitto.

9. Esattamente quel che, con motivazione adeguata ed immeritevole di censura, la Corte di appello ha riconosciuto nel caso di specie, concludendo che - anche a voler ritenere provato un "severo stato di crisi" - la difesa non aveva comunque dimostrato che questa dovesse esser riferita soltanto a cause esterne al D.N. e che, in ogni caso, si fosse tradotta in una impossibilità oggettiva - non altrimenti evitabile - di adempiere agli obblighi tributari. Sì da confermarsi, quindi, il costante e condiviso indirizzo - menzionato anche nella sentenza - in forza del quale, nel reato in esame, l'imputato può invocare la assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l'azienda, sia l'aspetto della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (tra le molte, Sez. 3, n. 23796 del 21/3/2019, Minardi, Rv. 275967); occorre, cioè, la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili (Sez. 3, n. 8352 del 24/6/2014, Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 20266 del1 18/4/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467 del 5/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).

10. E senza che, al riguardo, possano valere le ulteriori considerazioni di cui al ricorso - di carattere evidentemente fattuale, quindi inammissibili in questa sede - secondo cui il fallimento della S., peraltro dichiarato soltanto nel 2018 (ossia cinque anni dopo l'ultima scadenza qui in esame), avrebbe costituito l'esito di una crisi di liquidità in atto già dal biennio 2008-2010, rappresentandone, "per così dire, l'obiettiva ratifica a posteriori"; ciò, in uno con il richiamo - ampiamente documentato - all'accordo di ristrutturazione del debito (omologato dal Tribunale di Livorno nel 2018) ed ai due "tentativi" di transazione fiscale (il secondo dei quali del 2017), che costituisce argomento proprio della sola fase di merito, a prescindere, peraltro, dalla significativa distanza cronologica di tali eventi dalle omissioni di cui alla rubrica. Da ultimo sul punto, non risulta decisivo neppure il riferimento alla somma di 250.000,00 euro che il ricorrente, in proprio, avrebbe rivolto alla società, quale "prestito soci" o a garanzia di finanziamenti; sebbene non trattato espressamente in sentenza, infatti, di tale dato sfugge la sicura aderenza alle condotte contestate, sia perché in parte successivo al consumarsi di queste, sia perché - nella maggior misura (200.000,00 euro), come da documentazione allegata al ricorso - relativo non a finanziamenti erogati dal D.N., ma soltanto a garanzie da questi prestate a fronte di finanziamenti erogati da istituti di credito, come da ricorso sul punto.

11. Quanto precede, infine, coinvolge anche sul profilo soggettivo della condotta, trattato nel secondo motivo di impugnazione. La Corte di appello, infatti, ha congruamente sostenuto che le omissioni in esame avevano costituito il portato di una precisa scelta imprenditoriale, dunque con piena identificazione del dolo generico, ossia della volontà del ricorrente di indirizzare somme, comunque ottenute, a pagamenti diversi dall'adempimento dell'obbligo tributario. Quel che sostiene con evidenza il profilo psicologico del reato, anche alla luce di tutte le considerazioni sopra riportate; quel che, peraltro, ben emerge anche dal tenore dell'atto di appello, nel quale, infatti, si affermava che "appare realistico ritenere che, anche nei casi in cui vi sia stata una scelta da parte dell'imprenditore, questi possa essersi trovato, come nel caso di specie, ad essere vincolato da una serie di elementi (in primis la sopravvivenza dell'azienda), tali da impedirgli di assumere un comportamento diverso da quello effettivamente tenuto."

11. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed i ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.