Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 11 dicembre 2019, n. 32425

Tributi - Contenzioso tributario - Procedimento - Atti impugnabili - Provvedimento di diniego di disapplicazione di norme antielusive

 

Rilevato che

 

1. Con la sentenza in epigrafe indicata la CTR laziale, accogliendo il motivo di appello proposto dall'Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, dichiarava inammissibile il ricorso proposto dalla società contribuente avverso il provvedimento agenziale di diniego di disapplicazione di norme antielusive, alla stregua del principio affermato da Cass. n. 5843 del 2012 e sulla base della disposizione introdotta dall'art. 6 del d.lgs. n. 156 del 2015, precisando, altresì e «pur senza rilievo ai fini del presente appello», l'insussistenza sub specie dei presupposti per la disapplicazione della disciplina delle società di comodo.

2. Avverso tale statuizione la società contribuente ricorre per cassazione sulla base di due motivi. L'Agenzia delle entrate si costituisce ai soli fini della partecipazione all'eventuale pubblica udienza.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

 

Considerato che

 

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell'art. 19 d.lgs. n. 546 del 1992 con riferimento agli artt. 37 bis, comma 8, d.P.R. n. 600 del 1973, nonché dell'art. 6 del d.lgs. n. 156 del 2015 e 100 cod. proc. civ., sostenendo che quella citata dalla CTR a sostegno della tesi della non impugnabilità del diniego di disapplicazione di norme antielusive, era giurisprudenza isolata, e che la disciplina introdotta dall'art. 6 d.lgs. n. 156 del 2015 non era applicabile retroattivamente.

2. Il motivo è fondato e va accolto.

2.1. Invero, il principio giurisprudenziale di cui a Cass. n. 5843 del 2012, richiamato dalla CTR a sostegno dell'accoglimento dell'appello agenziale, è stato affermato da questa Corte in ipotesi di istanza di disapplicazione di norme antielusive dichiarata «improcedibile, ai sensi del D.M. n. 259 del 1998, art. 1, comma 3, in quanto inidonea ad ottenere una determinazione in ordine all'eventuale disapplicazione delle disposizioni contenute nella L. 23 dicembre 1994, n. 124, art. 30» e quindi con riferimento ad un'istanza considerata «come non presentata», con la conseguenza che quel provvedimento non poteva essere considerato «provvedimento di definitivo diniego della richiesta disapplicazione, bensì provvedimento, sostanzialmente interlocutorio, di declaratoria d'improcedibilità dell'istanza, con il quale, non si respinge nel merito l'istanza medesima, ma se ne rileva una tale carenza, sul piano della descrizione della situazione e delle correlative allegazioni documentali, da renderla come non proposta siccome insuscettibile di qualsiasi plausibile valutazione». Da ciò l'inammissibilità dell'impugnazione del diniego, avendo la Corte ribadito in quella pronuncia «la regola [...] dell'impugnabilità dei soli atti amministrativi definitivi con rilevanza esterna».

2.2. L'ipotesi qui vagliata è invece del tutto diversa. Invero, l'Agenzia delle entrate con il provvedimento impugnato dalla contribuente, trascritto per autosufficienza nel ricorso, ha rigettato l'istanza di interpello di quest'ultimo per la disapplicazione delle disposizioni antielusive, ex art. 30 della legge n. 724 del 1994, per ragioni di merito, ritenendo che «la circostanza descritta nell'istanza», ovvero il conseguimento di perdite fiscali nel triennio 2010-2012 per la «impossibilità di avviare l'attività di costruzione e compravendita di immobili a causa dell'inedificabilità dell'unico terreno posseduto», non costituisse «causa esimente ai fini della disapplicazione» richiesta «in quanto la società istante si trova sempre in una situazione di stallo operativo e, di conseguenza, di perdita di esercizio, non avendo intrapreso nessuna attività necessaria al raggiungimento dello scopo sociale, né l'istante ha dimostrato l'esistenza di iniziative volte a superare l'inattività dell'impresa» ed inoltre la società «risulta[va] proprietaria di altri fabbricati, di cui la stessa non dà contezza, né spiega i motivi per cui tali beni non produzono reddito».

Pertanto, il provvedimento agenziale ha indubitabilmente natura e contenuto di diniego definitivo della richiesta disapplicazione, con conseguente ammissibilità della sua impugnabilità giudiziale, come più volte ribadito da questa Corte, secondo cui «In tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l'Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un'interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la legge 28 dicembre 2001, n. 448. Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l'onere di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive ex art. 37 bis, comma 8, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, atteso che lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dall'art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, ma provvedimento con cui l'Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 17010 del 05/10/2012, Rv. 623917; conf., Cass., Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 23469 del 06/10/2017, Rv. 646406).

3. Il secondo motivo, con cui la ricorrente deduce la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione là dove la CTR ha rigettato nel merito il ricorso, va dichiarato inammissibile alla stregua del principio giurisprudenziale secondo cui «Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della "potestas iudicandi" in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l'onere né l'interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l'impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l'impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta "ad abundantiam" nella sentenza gravata» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 - 01; conf. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 20/08/2015, Rv. 636624 - 01, nonché Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 30393 del 19/12/2017, Rv. 646988 - 01). Peraltro, nel caso di specie è la stessa CTR ad affermare che la sua valutazione del merito della vicenda processuale veniva fatta «per completezza» e «senza alcun rilievo ai fini del presente appello».

4. Conclusivamente, va accolto il primo motivo di ricorso e dichiarato inammissibile il secondo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente CTR per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.