Quando il legittimo diritto di critica al datore di lavoro sfocia nell'illecito disciplinare

La critica mossa dal lavoratore al datore di lavoro può trasformarsi da esercizio lecito di un diritto in condotta idonea a configurare un illecito disciplinare, laddove superi i limiti della corrispondenza a verità dei fatti narrati ("continenza sostanziale") e delle modalità espressive che possano dirsi rispettose di canoni di correttezza, misura e civile rispetto della dignità altrui ("continenza formale"), anche considerando il mezzo utilizzato. Ulteriormente, nell'ipotesi di critica espressa da lavoratore con funzioni di rappresentanza sindacale all'interno dell'azienda, il diritto di critica gode di un'ulteriore copertura costituzionale nel momento in cui l'espressione di pensiero è finalizzata al perseguimento di un interesse collettivo (Corte di Cassazione, sentenza 02 dicembre 2019, n. 31395).

Una Corte d'appello territoriale, in riforma della decisione del Tribunale di prime cure, aveva dichiarato la nullità del licenziamento intimato ad un dipendente adibito a mansioni di operatore ecologico e rivestito della carica di delegato sindacale, condannando la società alla reintegra nel posto di lavoro ed al pagamento del conseguente risarcimento del danno. La Corte territoriale, in particolare, aveva rinvenuto la natura ritorsiva del licenziamento intimato al dipendente che aveva rilasciato una dichiarazione ad un quotidiano nazionale, relativa allo spostamento di un collega di lavoro ad altro Comune, rilevando il rispetto della c.d. continenza sostanziale della manifestazione di critica (in ordine ai fatti dichiarati: spostamento territoriale del collega, difficoltà della raccolta di rifiuti "porta a porta", condizioni dell'appalto pubblico stipulato con il Comune circa il numero minimo di operatori ecologici da adibire), nonché dell'ulteriore requisito della continenza formale (non essendo stati utilizzati toni dispregiativi, volgari, denigratori, polemici).
Ricorre così in Cassazione la società, lamentando che la Corte avesse accolto un'inaccettabile dilatazione del diritto di critica, sotto il profilo del requisito della continenza formale, non avendo attentamente valutato l'uso del mezzo della stampa, intrinsicamente idoneo a ledere l'immagine del datore di lavoro.
Altresì, la Corte non aveva tenuto in considerazione le clausole collettive che prevedevano il licenziamento per mancanze relative all’obbligo di tenere comportamenti improntati a responsabilità, collaborazione, buona fede, correttezza ed educazione anche nei confronti degli utenti, anche ai fini del buon nome dell'azienda, nonché di non svolgere attività contraria agli interessi dell'azienda stessa.
Per la Suprema Corte, il ricorso non è fondato. Preliminarmente, essa ha accertato che tutte le circostanze riferite dal lavoratore al quotidiano, erano corrispondenti al vero e, dunque, ha sottolineato la sostanziale veridicità della dichiarazione, complessivamente tesa ad evidenziare la gravosità della prestazione lavorativa, senza che dette dichiarazioni abbiano effettivamente cagionato un danno economico alla società. La Corte distrettuale, poi, esaminando le concrete modalità di espressione del pensiero, ha ritenuto rispettato il limite della continenza formale, non essendo stati adottati toni dispregiativi, volgari, denigratori, polemici. Al riguardo, peraltro, l'apprezzamento in ordine al superamento dei limiti di continenza stabiliti per un esercizio lecito della critica rivolta dal lavoratore al datore, costituisce valutazione affidata ai giudici di merito (Corte di Cassazione, sentenza n. 21910/2018). Ebbene, la Corte territoriale si è conformata al consolidato orientamento di legittimità, secondo cui l'esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro può essere considerato comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che è alla base del rapporto di lavoro, e costituire giusta causa di licenziamento, quando avvenga con modalità tali che, superando i limiti della continenza formale, si traduca in una condotta gravemente lesiva della reputazione, con violazione dei doveri fondamentali alla base dell'ordinaria convivenza civile (ex multis, Corte di Cassazione, sentenza n. 18176/2018).
Altresì, nell'ipotesi di critica espressa da lavoratore con funzioni di rappresentanza sindacale all'interno dell'azienda, il diritto di critica goda di un'ulteriore copertura costituzionale (art. 39) nel momento in cui l'espressione di pensiero è finalizzata al perseguimento di un interesse collettivo, sicché si è affermato che il lavoratore sindacalista è titolare di due distinti rapporti con l'imprenditore: come lavoratore, in posizione subordinata con il datore di lavoro, e come sindacalista, invece in una posizione parificata a quella della controparte in virtù delle richiamate garanzie costituzionali (Corte di Cassazione, sentenza n. 18176/2018).
In definitiva, la critica manifestata dal lavoratore all'indirizzo del datore di lavoro può trasformarsi da esercizio lecito di un diritto in una condotta idonea a configurare un illecito disciplinare, laddove superi i limiti posti a presidio della dignità della persona umana, ossia i requisiti della corrispondenza a verità dei fatti narrati (c.d. continenza sostanziale) e delle modalità espressive che possano dirsi rispettose di canoni, generalmente condivisi, di correttezza, misura e civile rispetto della dignità altrui (c.d. continenza formale), anche considerando che le modalità espressive possono assumere valenza diversa a seconda che la manifestazione del pensiero sia contenuta in un articolo di stampa, in un servizio televisivo, in un'opera letteraria o cinematografica, in un pezzo di satira, ovvero se la critica sia esercitata nell'ambito di un rapporto contrattuale di collaborazione e fiducia che lega lavoratore e datore di lavoro.