Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 novembre 2019, n. 31237

Tributi - Controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi - Opzione di adeguamento agli studi di settore - Errore dell’intermediario - Emendabilità della dichiarazione - Esclusione

Fatti di causa

 

A seguito di controllo automatizzato effettuato ex art. 36 bis dpr 600/73, veniva emessa cartella di pagamento n. 09720100097168490 circa l'iscrizione a ruolo di 122.734,79 euro per Ires, Irap, Iva, quale adeguamento alle risultanze dello studio di settore.

Avverso tale cartella proponeva ricorso il contribuente deducendo che la notifica era inesistente e che la dichiarazione dei redditi da cui scaturiva la pretesa fiscale, sia pure dopo la notifica della cartella, era stata emendata in quanto la scelta di adeguarsi agli studi di settore era conseguenza di errore dell'intermediario che aveva trasmesso all'Agenzia delle Entrate una dichiarazione diversa da quella concordata.

I giudici tributari di primo grado respingevano il ricorso.

A seguito di appello del contribuente, la Commissione Regionale del Lazio respingeva il gravame ritenendo valida la notifica della cartella e nel merito rilevava la tardività della dichiarazione integrativa presentata dal contribuente .

Proponeva ricorso in Cassazione il contribuente deducendo:

1) violazione ed errata interpretazione di norme di diritto ex art. 360 n 3 cpc, violazione art. 26 comma 1 Dpr 602\73 e art. 60 del Dpr n. 600 del 1973 , da parte del giudice di appello nel considerare valida la notifica della cartella ;

2) contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360, n. 5 cpc nella parte in cui non ha considerato emendabile la dichiarazione del contribuente affetta da errore.

Resistono con controricorso sia l'Agenzia delle Entrate che Equitalia Sud, chiedendo il rigetto del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo, si assume la inesistenza della notifica della cartella, avvenuta in violazione delle disposizioni di legge senza peraltro specificare le ragioni della inesistenza.

Comunque, come sostenuto anche dalle sezioni unite della Suprema Corte, alle cui conclusioni il collegio intende aderire, (con le sentenze 20 luglio 2016, n. 14916 e 14917), l'inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell'atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un'attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità . In particolare, i vizi relativi alle modalità della notifica (nel caso avvenuta mediante il servizio postale e cioè una modalità generale di notifica ) ricadono sempre nell'ambito della nullità dell'atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc per raggiungimento dello scopo, a seguito della tempestiva impugnativa dell'atto notificato come nel caso in esame .Tali principi, sebbene espressi in relazione alla notificazione del ricorso per cassazione, si possono estendere alla notificazione della cartella di pagamento, ricorrendo l'eadem ratio.

Comunque ben poteva il concessionario in applicazione dell'art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, eseguire la notificazione mediante invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell'avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza necessità di redigere un'apposita relata di notifica, come risulta confermato per implicito dal penultimo comma del citato art. 26, secondo il quale l'esattore è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell'avvenuta notificazione o l'avviso di ricevimento in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirle su richiesta del contribuente o dell'Amministrazione.

Per quanto riguarda il secondo motivo con cui si censura la sentenza della commissione Regionale del Lazio per vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 cpc, non avendo ritenuto emendabile la dichiarazione del contribuente inficiata da errore materiale, è inammissibile.

Invero tale motivo appare inammissibile in quanto in modo surrettizio il ricorrente intende ottenere una nuova rivalutazione dei fatti e della normativa, così come interpretati dal giudice di secondo grado, non ammissibile in questa fase . La sentenza di secondo grado ha negato la possibilità di emendare senza limiti di tempo la dichiarazione eventualmente viziata da errore a danno del contribuente.

Del resto non vi è stato alcun errore nel processo logico seguito avendo chiaramente ritenuto che la pretesa fiscale non era in alcun modo paralizzata dalla dichiarazione successiva redatta dal contribuente.

Neppure ove si volesse ritenere che la parte abbia inteso criticare la affermazione circa la non emendabilità nel caso della dichiarazione dei redditi l'esito sarebbe diverso.

Sebbene in via generale le denunce dei redditi costituiscono di norma delle dichiarazioni di scienza, e possano quindi essere modificate ed emendate in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno il contribuente può nell'ambito della dichiarazione effettuare delle vere proprie scelte , in conformità di quanto previsto dal legislatore per esempio per avvalersi di un beneficio fiscale, quale opporre in compensazione un credito di imposta . In tal caso la concessione del beneficio è subordinata ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall'erario, che assume per questa parte il valore di un atto negoziale, come tale irretrattabile, anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall'amministrazione" (Cass. n. 7294 del 2012; Cass. n. 1427 del 2013; Cass. 22673 del 2014, Cass. n. 18180 del 2015; Cass. n. 883 del 2016; Cass. n. 10239 del 2017). In altri termini la emendabilità degli errori commessi nella dichiarazione fiscale, deve correttamente circoscriversi all'indicazione di quei dati, relativi alla quantificazione delle poste reddituali positive o negative, che integrino errori tipicamente materiali (ad es. errori di calcolo od anche errata liquidazione degli importi), ovvero anche formali (concernenti l'esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta), rimanendo quindi a tali ipotesi estranea la concreta fattispecie in esame in cui il contribuente, con la stessa dichiarazione, ha inteso esercitare una facoltà di opzione riconosciutagli dalla norma tributaria di volersi o meno uniformarsi agli studi di settore da qualificarsi manifestazione di volontà negoziale.

Tale opzione integra, pertanto, esercizio di un potere discrezionale di scelta riconducibile ad una tipica manifestazione di autonomia negoziale del soggetto che è diretta ad incidere sull'obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento all'imposta, e dunque eventuali errori della volontà espressa dal contribuente assumono rilevanza soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità ex art. 1428 c.c. norma che trova applicazione, ai sensi dell'art. 1324 c.c., anche agli atti negoziali unilaterali diretti ad un destinatario determinato (cfr. Cass. n. 9777/1993).

Poiché nel caso pacificamente il contribuente ha inteso adeguarsi agli studi di settore, da considerarsi atto negoziale (incidente sulla determinazione dell'imponibile e sull'entità del tributo da versare), la dichiarazione non era emendabile in ipotesi di errata valutazione della opzione. In tal modo il collegio intende dare continuità all'indirizzo già espresso dalla sentenza n. 19410 del 30/09/2015 in materia perfettamente sovrapponibile a quelle attuale secondo cui "In tema di dichiarazione dei redditi, l'errore relativo all'indicazione di dati inerenti all'esercizio di un'opzione offerta dal legislatore, -costituente, come tale, espressione di volontà negoziale, è emendabile e ritrattabile solo se il contribuente, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui agli artt. 1427 e ss. c.c., estesa dall'art. 1324 c.c. agli atti unilaterali in quanto compatibile, fornisce la prova della sua essenzialità e obiettiva riconoscibilità da parte dell'Amministrazione finanziaria. In effetti, poiché vi è stata inizialmente indicazione di una opzione di volersi uniformare agli studi di settore, frutto evidentemente di una precisa scelta manifestata dalla compilazione di una voce specifica del modello di dichiarazione fiscale il contribuente avrebbe dovuto dimostrare, nel contestare l'atto impositivo notificatogli dalla Amministrazione finanziaria, l'errore commesso nella propria dichiarazione. In particolare, la contribuente avrebbe dovuto chiarire in che cosa era consistito l'errore intervenuto con la dichiarazione dei redditi; lo stesso invece si è invece limitato ad affermare genericamente essersi trattato di "un errore commesso dall'intermediario ".Lo stesso contribuente era altresì onerato, secondo la disciplina generale dei vizi della volontà di cui all'art. 1427 c.c. e ss. estesa  dall’art. 1324 c.c. in quanto compatibile agli atti unilaterali "inter vivos" a contenuto patrimoniale - a fornire "la prova della rilevanza dell'errore con riguardo ad entrambi i requisiti della essenzialità e della obiettiva riconoscibilità (da valutarsi secondo la diligenza propria che deve essere richiesta agli Uffici accertatori)" (Cass. 7294/2012). Ne consegue che, non avendo la ricorrente non solo indicato ma neppure fornito la prova del requisito di obiettiva riconoscibilità dell'errore, da parte della Amministrazione finanziaria, indispensabile affinché il vizio della volontà potesse incidere sulla dichiarazione negoziale e non di mera scienza, presentata invalidandola, il motivo è inammissibile.

 

P.Q.M.

 

rigetta il primo motivo del ricorso, dichiara inammissibile il secondo motivo , e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidandole in euro 7000 oltre alle spese prenotate a debito per l'Agenzia delle Entrate, e in euro 7000 per l'agente della riscossione Equitalia Sud spa, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed oneri di legge .

Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quarter del dpr 115\2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13) se dovuto.