Contratti di lavoro e diritto applicabile: i criteri di determinazione in assenza della scelta delle parti

In tema di norme di diritto internazionale privato relative al contratto individuale di lavoro, il giudice nazionale deve, in mancanza di scelta da parte dei contraenti, procedere alla determinazione della legge applicabile al rapporto, sulla base dei criteri di collegamento specifici (normativa del Paese in cui il lavoratore "svolge abitualmente il suo lavoro" e, in mancanza di un siffatto luogo, del Paese dove si trova la "sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore"). Tuttavia, qualora risulti dall’insieme di ulteriori elementi che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro Paese, spetta al giudice nazionale escludere i criteri di collegamento e applicare la legge di tale diverso Paese (Corte di Cassazione, sentenza 21 novembre 2019, n. 30416)

Dinanzi a un Tribunale di primo grado, in funzione di giudice del lavoro, un datore di lavoro aveva proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale gli veniva ordinato il pagamento in favore di un lavoratore di una somma a titolo di TFR. Si deduceva, in particolare, il difetto di giurisdizione del giudice italiano, la prescrizione del credito e che il lavoratore aveva accettato di applicare al proprio rapporto di lavoro il contratto collettivo tedesco (BAT), che non prevede il TFR a fronte di una retribuzione maggiore rispetto a quella di un dipendente cittadino italiano. Il Tribunale di merito, dal canto suo, aveva affermato la giurisdizione del giudice italiano, rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata e statuito l’applicabilità alla controversia della norma nazionale sul TFR, tuttavia, accogliendo l’opposizione, concludeva che il lavoratore non aveva subito alcun danno, poiché il TFR era stato conglobato nella retribuzione.
In secondo grado, poi, a seguito dell’appello proposto dal lavoratore, la Corte territoriale rigettava le eccezioni riproposte dal datore di lavoro, respingendo l’opposizione al decreto ingiuntivo. Nello specifico, la Corte statuiva che secondo la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con L. n. 975/1984, mancando la scelta delle parti circa la normativa da applicare, il contratto di lavoro tra le parti doveva intendersi regolato dal diritto italiano, cioè dalla legge del Paese in cui il lavoratore, in esecuzione del contratto, compie abitualmente il suo lavoro. Tuttavia, doveva essere escluso l’inglobamento del TFR nella retribuzione, possibile solo in presenza di un accordo tra datore e lavoratore (non emerso nella fattispecie) ed in presenza di specifiche condizioni (pure non sussistenti), a nulla rilevando la rinuncia al TFR mediante la sottoscrizione dell’accordo "BAT".
Contro tale ultima sentenza, perciò, propone ricorso in Cassazione il datore di lavoro, lamentando violazione e falsa applicazione della legge (Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del 19 giugno 1980), giacché la Corte avrebbe ignorato la "norma di chiusura" di cui all’articolo 6, che prevede una ulteriore deroga alla regola generale, facendo riferimento alla legge del Paese dove si trova la sede aziendale che ha proceduto ad assumere il lavoratore, qualora questi non compia abitualmente il suo lavoro in uno stesso Paese e risulti dall’insieme delle circostanze che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro Paese.
Per la Suprema Corte il motivo del ricorso è fondato e deve essere accolto. Effettivamente, la Corte territoriale rinvia alla legge del luogo di esecuzione della prestazione di lavoro e non dà minimamente conto dell’esame globale delle circostanze, che astrattamente potrebbero far ritenere che il contratto di lavoro presenti "un collegamento più stretto con un altro Paese". La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, peraltro, ha fissato con chiarezza i principi che presiedono all’applicazione della disposizione (articolo 6 della Convenzione).
Da un lato, la scelta della legge applicabile al contratto di lavoro ad opera delle parti non può portare a privare il lavoratore delle garanzie previste dalle norme imperative della legge che regolerebbe il contratto in mancanza di una scelta siffatta.
Dall’altro, i criteri di collegamento specifici che consentono di determinare la lex contractus, in mancanza di scelta ad opera delle parti, sono:
- in primo luogo, quello del Paese in cui il lavoratore "compie abitualmente il suo lavoro";
- in subordine, in mancanza di un siffatto luogo, quello in cui si trova la "sede che ha proceduto ad assumere il lavoratore".
Tali criteri di collegamento non sono applicabili qualora dall’insieme delle circostanze emerga che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro Paese, nel qual caso è applicabile la legge di tale diverso Paese.
Secondo la Corte di giustizia, il giudice deve perciò, in un primo tempo, procedere alla determinazione della legge applicabile sulla base dei criteri di collegamento specifici, i quali rispondono alla generale esigenza di prevedibilità della legge e quindi di certezza del diritto nelle relazioni contrattuali. Tuttavia, qualora risulti dall’insieme di ulteriori elementi che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un altro Paese, spetta al giudice nazionale escludere i criteri di collegamento e applicare la legge di tale diverso Paese.
Tale interpretazione si concilia anche con la formulazione della nuova disposizione sulle norme di diritto internazionale privato relative ai contratti individuali di lavoro, introdotta dal Regolamento Roma I (Regolamento CE n. 593/2008), non applicabile in questo procedimento ratione temporis. Infatti, in forza dell’articolo 8, paragrafo 4, di tale Regolamento, se dall’insieme delle circostanze risulta che il contratto di lavoro presenta un collegamento più stretto con un Paese diverso da quello indicato ai paragrafi 2 o 3 di tale articolo, si applica la legge di tale diverso Paese.