Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 novembre 2019, n. 31120

Tributi - Cessione d’azienda - Attività di taxi - Corrispettivo non dichiarato - Accertamento - Risposte al questionario fornite dal cessionario - Validità

 

Rilevato che

 

1. O.M.G. ricorre con tre motivi contro l'Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n.26/2/14 della Commissione Tributaria di secondo grado di Bolzano (di seguito C.T.), emessa il 29/4/2014, depositata il 5/5/2014 e non notificata, che ha rigettato l'appello del contribuente e quello incidentale dell'Ufficio, in controversia relativa all'impugnativa dell'avviso di accertamento, con cui l'Amministrazione Finanziaria, ai fini Irpef per l'anno di imposta 2005, aveva accertato l'occultamento di parte del corrispettivo percepito per la cessione dell'azienda (relativa all'attività di taxi), con conseguenti maggiori imposte, sanzioni ed interessi;

2. in data 27 febbraio 2010 l'Agenzia delle Entrate di Bolzano notificava al ricorrente un avviso di accertamento, che richiamava il p.v.c. della G.d.F. del 5 giugno 2008, dal quale si desumeva l'occultamento di parte del corrispettivo percepito per la cessione dell'azienda (relativa all'attività di taxi) sulla base delle risposte al questionario fornite da S. A., cessionario dell'azienda;

il contribuente aveva impugnato tale avviso, deducendone, tra l'altro, la nullità per difetto di motivazione, dovuto alla mancata allegazione del questionario, al quale faceva riferimento il p.v.c.;

nelle more del giudizio l'Agenzia delle Entrate emetteva un nuovo avviso di accertamento, che annullava e sostituiva il precedente, contenente l'allegazione del questionario;

la Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano dichiarava, quindi, la cessazione della materia del contendere nel giudizio di impugnazione del primo avviso di accertamento, ed il contribuente impugnava il secondo avviso con un nuovo giudizio;

3. con la sentenza impugnata, la C.T. di secondo grado, confermando la decisione del giudice di prime cure, ha ritenuto che: il giudizio relativo al primo avviso di accertamento fosse definitivamente concluso, non essendo stata impugnata la dichiarazione di cessazione della materia del contendere; il nuovo avviso di accertamento costituisse legittimo esercizio del potere di autotutela dell’Amministrazione, in quanto intervenuto prima della formazione del giudicato sul primo avviso e, comunque, entro la scadenza del termine decadenziale per l'esercizio del potere di accertamento; il secondo avviso di accertamento fosse legittima espressione del potere di autotutela sostitutiva dell'Ufficio, idoneamente motivato con la dicitura "annulla e sostituisce quello precedentemenete emesso", che rendeva edotto il contribuente che il precedente avviso era stato annullato perché affetto da una causa di nullità; nel merito, le dichiarazioni del cessionario in risposta al questionario erano da considerarsi meritevoli di affidamento, perché avevano avuto effetti negativi nei confronti del dichiarante (costretto a pagare una maggiore imposta di registro, con le relative sanzioni) e trovavano riscontro negli importi prelevati da quest'ultimo sul proprio conto corrente bancario in contanti in epoca prossima alla cessione; inoltre, non aveva valenza decisiva la circostanza che tali somme non risultassero depositate sul conto corrente bancario del cedente, in quanto esse potevano essere state utilizzate dal percettore per le normali esigenze di vita, trattandosi di importi non elevati;

la C.T. riteneva ulteriormente significativa la circostanza che, nonostante il ricorrente fosse coobbligato in solido con il cessionario per l'imposta di registro, non avesse proposto impugnazione avverso l'avviso di liquidazione dell'imposta di registro;

infine, relativamente alla sottoscrizione dell'avviso di accertamento, il giudice di appello affermava che l'Ufficio avesse dato prova che la sig. M. B. ricoprisse la necessaria qualifica dirigenziale e fosse munita di valida delega a tempo determinato;

4. a seguito del ricorso, l'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;

5. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 9 ottobre 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;

6. il ricorrente ha depositato memoria;

 

Considerato che

 

1.1. con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.3 L. n.241/1990, 7 L. n. 212/2000, 42 d.P.R. n. 600/1973, 67 d.P.R. n. 600/1973, 132 n. 4 c.p.c., in relazione all'art.360, comma 1, n.3, c.p.c.;

in particolare il ricorrente deduce che i giudici di appello, nel ritenere sufficientemente motivato l'avviso di accertamento emesso in autotutela dall'Ufficio, avrebbero ignorato la necessità che l'atto riconoscesse che il precedente avviso fosse viziato da una causa di nullità (consistente, nel caso di specie, nell'omessa allegazione del questionario) e che l'annullamento precedesse il secondo avviso di accertamento;

con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.2727 e 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.;

il ricorrente sostiene che le dichiarazioni di terzi non possano assumere rilievo probatorio, in assenza di riscontri oggettivi, del tutto assenti nel caso in esame, in cui il giudice di secondo grado avrebbe utilizzato presunzioni " a catena";

con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.42 d.P.R. n.600/1973, 4 e 17 d.lgs. n. 165/2001, 115, 116 e 159 c.p.c., 2697 c.c., 24 e 111 Cost., in relazione all'art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.;

secondo il ricorrente nel caso di specie l'avviso non risulta sottoscritto dal capo dell'Ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato;

1.2. il primo motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato; invero, nell'illustrazione del motivo, il ricorrente si duole, sia dell'inesistenza radicale della motivazione, con il riferimento all'art.132 c.p.c. ed al fatto che il giudice di appello avrebbe del tutto ignorato la doglianza sulla carenza di motivazione dell'avviso di accertamento emesso in autotutela, sia direttamente della insufficiente motivazione dell'avviso di accertamento;

il primo profilo di censura è infondato, in quanto lo stesso ricorrente riporta testualmente la motivazione adottata sul punto dalla C.T., che ha ritenuto che il secondo avviso di accertamento fosse adeguatamente motivato con la dicitura "annulla e sostituisce quello precedentemenete emesso", idonea a rendere edotto il contribuente dell'annullamento del precedente avviso, perché affetto da una causa di nullità;

il secondo profilo di censura è, invece, inammissibile perché rivolto contro l'atto amministrativo e non contro la sentenza di appello;

per quanto riguarda, poi, la doglianza relativa all'illegittimità della decisione di secondo grado, che ha ritenuto sufficientemente motivato l'avviso di accertamento in ordine all'esercizio del potere di autotutela, nonostante l'Ufficio non avesse esplicitamente ammesso la nullità del precedente avviso, emettendo un previo provvedimento di annullamento, la censura è infondata, poiché, come ritenuto dal giudice di appello, l'avviso di accertamento, contenente l'allegazione del questionario (non allegato nel primo avviso, per questo oggetto di impugnazione da parte del contribuente), reca l'espressa indicazione del previo annullamento del precedente, di cui si pone in sostituzione;

come più volte ribadito da questa Corte, il potere di sostituzione dell’atto impositivo incontra i soli limiti del termine decadenziale previsto per la notifica degli avvisi di accertamento e del divieto di violazione od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull'atto viziato (cfr. Corte cass. 5 sez. 16.7.2003 n. 11114; Corte cass. 5 sez. 20.11.2006 n. 24620; Cass. 5 sez. 8.07.2015 n.14219; Cass., sez. 6-5, 17.06.2016 n. 12661), nonché del diritto di difesa del contribuente (Cass. 5 sez. 26.3.2010 n. 7335; Cass. 5 sez. 8.07.2015 n.14219; Cass., sez. 6-5, 17.06.2016 n. 12661);

nel caso di specie, è pacifico che tali condizioni siano state rispettate, per cui la doglianza è infondata;

1.3. anche il secondo motivo è infondato, poiché è palese che il giudice di appello abbia ritenuto che le dichiarazioni del cessionario, in risposta al questionario, non solo fossero particolarmente attendibili, perché contrarie all'interesse del dichiarante (sottoposto ad una maggiore imposta di registro e a sanzioni), ma trovassero riscontro nella documentazione bancaria relativa al conto corrente di quest'ultimo, dalla quale risultavano numerosi prelievi in contante in epoca prossima alla cessione;

ogni ulteriore doglianza, sulla circostanza che il giudice di appello abbia ritenuto non decisive le risultanze della documentazione bancaria relativa al conto corrente del ricorrente, attiene alla valutazione delle risultanze istruttorie, rimessa al giudice di merito, che sul punto ha anche congruamente motivato nel senso della loro irrilevanza;

1.4. il terzo motivo è, invece, inammissibile, poiché, pur denunziando una violazione di legge, nella sostanza è volto a contestare l'accertamento del giudice di merito sul fatto che l'avviso di accertamento fosse stato sottoscritto da impiegato della carriera direttiva munito di idonea delega a tempo determinato da parte del dirigente dell'Ufficio;

sul punto, il giudice di appello, infatti, ha ritenuto che la sottoscrizione provenisse da soggetto legittimato e che l'Ufficio avesse dato prova che la sig. M. B., che la aveva apposta, ricoprisse la necessaria qualifica dirigenziale e fosse munita di valida delega a tempo determinato;

inoltre, dalla lettura del ricorso, emerge che, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, il contribuente aveva contestato unicamente la circostanza che l'avviso di accertamento non fosse stato sottoscritto dal capo dell'ufficio o da un impiegato della carriera direttiva da lui delegato, senza alcuna contestazione in ordine alle delega;

la doglianza relativa all'invalidità della delega, derivante dal suo carattere indeterminato, per altro negato dal giudice di appello, risulta introdotta in maniera inammissibile per la prima volta con l'atto di appello e reiterata in sede di legittimità (con ulteriore inammissibile ampliamento nella memoria da ultimo depositata);

pertanto il ricorso va complessivamente rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento, in favore dell'Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell'Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, oltre spese prenotate a debito;

sussistono i requisiti per porre a carico del ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, se dovuto/a.