Contrattazione collettiva e lavoro intermittente: nessun potere di veto, ma individuazione delle"esigenze"

La legge si limita a demandare alla contrattazione collettiva l’individuazione delle "esigenze" per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, senza riconoscere esplicitamente alle parti sociali alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale. L’impossibilità per le parti collettive di impedire del tutto l’utilizzazione di tale forma contrattuale risulta smentita dalla contestuale previsione di un potere di intervento sostitutivo da parte del Ministero del lavoro nei casi di inerzia delle parti sociali, ciò denota in termine inequivoci la volontà del legislatore di garantire l'operatività dell’istituto, a prescindere dal comportamento inerte o contrario delle parti collettive (Cassazione, sentenza n. 29423/2019).

Il caso
La Corte d'appello di Bologna, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda della lavoratrice volta all'accertamento dell'illegittimità del contratto di lavoro intermittente stipulato con la società datrice di lavoro ed alla conversione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
La Corte territoriale, premessa la genuinità del contratto di lavoro intermittente stipulato sulla base delle esigenze individuate, in via sostitutiva della contrattazione collettiva, dal Ministero del Lavoro con il DM 23.10.2004 n. 459, il quale faceva riferimento alla tabella allegata al r.d. n. 2657 del 1923 espressamente richiamata nel contratto individuale, ha osservato che il c.c.n.I. 2011, applicabile alla concreta fattispecie, non conteneva più la previsione impeditiva del ricorso alla tipologia del lavoro intermittente adottata dalle parti collettive con il contratto vigente nel periodo 2004/2007, legata ad un presupposto transitorio, con un'efficacia limitata nel tempo.
Il giudice di appello ha, inoltre, rimarcato che la interpretazione delle previsioni collettive in senso ostativo alla possibilità di stipulare il contratto avrebbe finito con il vanificare la sostanziale operatività del ricorso al lavoro intermittente introdotto dall'art. 33 d. Igs n. 276 del 2003 e riconosciuto alle parti collettive un potere smentito dalla disciplina di legge stante la contestuale previsione dell'intervento ministeriale in caso di inerzia delle parti sociali nel regolamentare i casi in cui era consentito il ricorso a detta tipologia contrattuale.

La Cassazione
Con l'unico motivo di ricorso, la parte ricorrente denuncia che l'intervento sussidiario e sostitutivo del Ministero del lavoro mediante l'adozione di apposito decreto ministeriale avrebbe dovuto contemplarsi nella sola ipotesi di inerzia delle parti collettive e non anche quando queste si fossero comunque attivate esprimendosi in senso ostativo alla utilizzabilità di tale tipologia contrattuale. Il motivo è stato considerato infondato.
E' noto che il d. Igs n. 276 del 2003 ha introdotto, per la prima volta nel nostro ordinamento il contratto di lavoro intermittente (art. 33-40 d. Igs cit.) il quale, secondo la definizione contenuta nell'art. 33 d. Igs cit., è il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti di cui all'articolo 34.
Dopo una prima abrogazione ad opera della legge n. 247 del 2007 l'istituto è stato ripristinato nella formulazione iniziale dal d.l. n. 112 del 2008, e modificato dalla legge n. 92 del 2012. Successivamente ancora modificato dal d.l. n. 76 del 2013 con il duplice obiettivo di limitarne il campo d'applicazione e di introdurre correttivi diretti a contrastare forme distorsive di ricorso all'istituto.
Il d. Igs. n. 81 del 2015, riordinando i contratti di lavoro, ha riformulato negli artt. 13-18 la disciplina del contratto in esame, senza alterarne i tratti caratteristici che restano confermati. Lo stesso provvedimento dispone contestualmente l'abrogazione, a decorrere dal 25 giugno 2015, della previgente normativa.
Considerato che il contratto intermittente in oggetto è stato stipulato in data 30 giugno 2011, la disciplina applicabile è quella risultante dal ripristino operato dal d. I. n. 112 del 2008 convertito dalla legge n. 133 del 2008.
Ciò premesso, pacifico che il contratto in esame è fondato su una causale cd. di carattere oggettivo, e non legata alle condizioni personali, rientra nella ipotesi regolata dall'art. 34, comma 1, la tesi del ricorrente circa il ruolo della contrattazione collettiva ed in particolare la configurabilità in capo a quest'ultima di un potere di veto in ordine alla utilizzabilità tout -court del contratto di lavoro intermittente, non trova conferma nel dato testuale e sistematico della disciplina di riferimento.
L'art. 34, comma 1, d. Igs n. 276 del 2003 si limita, infatti, a demandare alla contrattazione collettiva l’individuazione delle "esigenze" per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, senza riconoscere esplicitamente alle parti sociali alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale; né un siffatto potere di veto può ritenersi implicato dal richiamato "rinvio" alla disciplina collettiva che concerne solo un particolare aspetto di tale nuova figura contrattuale e che nell'ottica del legislatore trova verosimilmente il proprio fondamento nella considerazione che le parti sociali, per la prossimità allo specifico settore oggetto di regolazione, sono quelle maggiormente in grado di individuare le situazioni che giustificano il ricorso a tale particolare tipologia di lavoro.
L’impossibilità per le parti collettive di impedire del tutto la utilizzazione di tale forma contrattuale risulta smentita dalla contestuale previsione di un potere di intervento sostitutivo da parte del Ministero del lavoro che denota in termine inequivoci la volontà del legislatore di garantire l'operatività del nuovo istituto, a prescindere dal comportamento inerte o contrario delle parti collettive.
Ulteriore conferma inqusto senso si trae, infine, dalla previsione del comma 3 dell'art. 34 d. Igs cit., il quale tra le ipotesi di divieto del ricorso al lavoro intermittente non contempla anche quella di inerzia o veto delle parti collettive.
Per i motivi di cui sopra il ricorso è stato rigettato.