Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 07 novembre 2019, n. 28693

Tributi - Reddito d’impresa - Attività di ristorazione - Accertamento analitico-induttivo - Inattendibilità delle scritture contabili - Legittimità

 

Rilevato che

 

Con ricorso alla CTP di Caserta, il Ristorante La S. di P. A. e C. Snc e A. P., in proprio, impugnavano l'avviso di accertamento IRPEF, IRAP, IVA, relativo all'annualità 2005, con il quale l'Agenzia delle entrate recuperava a tassazione maggiori ricavi (euro 256.869,00) rispetto ai ricavi dichiarati (euro 141.523,00), con una differenza di ricavi omessi pari a euro 115.346,00, alla stregua di un accertamento analitico-induttivo, e deducevano l'illegittimità del metodo d'accertamento applicato anche a causa di alcuni errori, di fatto e di diritto, dell'atto impositivo;

con distinti ricorsi, L. P. e A. P., soci titolari (ciascuno) del 33% del capitale sociale della Snc, impugnavano, a loro volta, gli atti impositivi che (per l'anno 2005) rettificavano i rispettivi redditi di partecipazione alla società;

la CTP di Caserta, con quattro distinte sentenze (nn. 626/2010, 629/2010, 630/2010 e 272/2011), accoglieva i ricorsi della società e dei soci;

interposto appello da parte dell'ufficio contro tali sentenze (a cominciare dalla sentenza n. 626/2010 riguardante la società che, nel corso del giudizio, per effetto di un atto di trasformazione, assumeva la denominazione "Ristorante la S. Srl"), la CTR della Campania, riuniti i giudizi, nel contraddittorio dei contribuenti, in parziale accoglimento dei gravami, ha accertato maggiori ricavi per euro 78.666,00;

il giudice d'appello ha premesso che l'accertamento è stato compiuto con metodo analitico-induttivo e che esso non è stato fondato sullo scostamento tra reddito dichiarato e reddito risultante dallo studio di settore, in relazione all'attività di ristorazione svolta dalla società accertata, ma sull'inattendibilità delle scritture contabili, che aveva trovato un riscontro processuale sulla base di alcuni dati di fatto (mancata registrazione, nell'anno, di acquisti di pasta; mancanza di alcuni numeri nei blocchetti delle ricevute fiscali; registrazione di finanziamenti dei soci, sebbene negli ultimi anni essi non avessero manifestato capacità contributiva; incongruenze nella registrazione delle fatture d'acquisto dell'acqua minerale);

muovendo da questi elementi di fatto, la CTR ha condiviso la ricostruzione dei maggiori ricavi, compiuta dall'ufficio, e ne ha ricalcolato l'ammontare pervenendo, come suaccennato, ad un risultato (euro 78.666,0) inferiore a quello dell'Amministrazione finanziaria;

i contribuenti ricorrono per la cassazione, sulla base di tre motivi, illustrati con successiva memoria, mentre l'Agenzia resiste con atto di costituzione, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 370, primo comma, cod. proc. civ.;

 

Considerato che

 

con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 39, primo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 62-sexies, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, i ricorrenti premettono che la legittimità dell'accertamento è stata riconosciuta sulla base dell'inattendibilità delle scritture contabile e non per la discordanza tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dall'apposito studio di settore, e, quindi, censurano «l'erroneità della motivazione dell'impugnata sentenza, laddove, nel rigettare la precipua eccezione degli attuali ricorrenti, assume "che l'accertamento non è stato motivato dalla discordanza dei redditi dichiarati rispetto ai dati degli studi di settore", così legittimando l'arbitraria procedura seguita dall'ufficio e come sopra richiamata.» (cfr. pag. 11 del ricorso per cassazione); il motivo è infondato;

in disparte la prospettabile inammissibilità della censura, per la sua scarsa, intrinseca chiarezza, è il caso di rilevare che la CTR, illustrando compiutamente il proprio convincimento, ha affermato che l'accertamento non poggia sulla discordanza tra ricavi dichiarati e quelli desumibili dall'apposito studio di settore, secondo quanto consentito dall'art. 62- sexies, del d.l. n. 331/1993, bensì sul giudizio d'inattendibilità delle scritture contabili, desunto da varie inesattezze delle registrazioni - che il giudice d'appello menziona analiticamente - conformemente a quanto previsto dall'art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973;

con il secondo motivo, denunciando "Motivazione incongrua ed incoerente in relazione all'art. 360 n. 5, c.p.c. - Violazione dell'art. 2697 cod. civ. in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.", i ricorrenti censurano i vizi logici della Commissione regionale nella ricostruzione dei dati di fatto sottesi alla verifica fiscale; inoltre, con riferimento al rilievo riguardante il finanziamento da parte dei soci, evidenziano che la CTR, da un lato, non ha tenuto conto che A. P. e L. P. erano privi di legittimazione passiva, rispetto alla pretesa fiscale relativa all'annualità 2005, per avere acquistato le quote del ristorante alla fine dell'anno (in data 20/12/2005); dall'altro, non ha considerato che l'ufficio, gravato del relativo onere probatorio, non aveva dimostrato la generica affermazione secondo cui i soci, negli ultimi anni, non avevano manifestato capacità contributiva; il motivo è inammissibile;

il giudizio di cassazione è a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito;

ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità e esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ.;

nella specie, il complesso motivo del ricorso, sussunto, contemporaneamente, sotto i diversi paradigmi della violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), e dell'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ibidem n. 5), contiene - in sostanza - una critica del tutto generica, inammissibilmente ampia e incerta nella fisionomia;

sicché è demandato, in modo non consentito, a questa Corte il compiuto di sostituirsi alla parte ricorrente e di enucleare, dall'insieme indistinto delle doglianze congiuntamente proposte, autonomi profili di censura (Cass. 18/04/2018, n. 9486);

con il terzo motivo, denunciando, "Violazione dell'art. 116 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. - Vizio di motivazione relativamente  all'accertamento ed alla valutazione rilevanti ai fini della decisione, circa un punto prospettato dalle parti (art. 360 n. 5 c.p.c.)", i ricorrenti censurano la sentenza impugnata che, per un verso, non ha fatto corretta applicazione del principio di diritto (art. 116 cod. proc. civ.), per il quale, anche nel processo tributario, il giudice è tenuto a pronunciarsi iuxta alligata e probata partium; per altro verso, utilizzando espressioni generiche (per esempio "appare attendibile perché prudenziale"), non ha illustrato il percorso logico seguito;

il complesso motivo, nella sua duplice articolazione, questa volta (diversamente da quanto accade con riferimento al secondo motivo), sufficientemente delineata, è in parte infondato e in parte inammissibile;

dal primo punto di vista (infondatezza del motivo), questa Corte (Cass. 12281, n. 9/05/2019) ha avuto modo di affermare che sussiste la violazione dell'art. 116, cod. proc. civ., (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), che, come precisato da Cass. 11892 del 2016 e ribadito (in motivazione) da Cass. sez. un. 16598/2016, è idonea ad integrare il vizio di cui all'art. 360, n. 4, cod. proc. civ. (e non quello del n. 3 del medesimo articolo, indicato nel ricorso), solo quando (e non è il caso di specie) il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime;

dal secondo punto di vista (inammissibilità del motivo), la doglianza da considerare è quella enunciata nell'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nella nuova formulazione introdotta dall'art. 54, primo comma, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d'appello pubblicate a partire dall'11/09/2012 (nella specie, la sentenza impugnata è stata pubblicata il 26/07/2013), sicché essa consiste nell'omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;

nel caso concreto, i ricorrenti non menzionano alcun fatto il cui esame, omesso dal giudice d'appello, secondo la loro linea difensiva, avrebbe  condotto ad un diverso esito processuale, ma si limitano a denunciare, genericamente, asserite lacune e carenze della trama argomentativa della sentenza impugnata;

ne consegue il rigetto del ricorso;

nulla si dispone sulle spese del giudizio di legittimità, nel quale l'Agenzia non ha svolto attività defensionale;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis del citato art. 13.