Prassi - CONSIGLIO NAZIONALE DOTT COMM E ESP CON - Nota 12 settembre 2019, n. 79

Documento "Gli scenari futuri dell'IVA alla luce delle direttive e delle proposte dell'UE"

Caro Presidente,

sono lieto di inviarTi il documento "Gli scenari futuri dell'IVA alla luce delle direttive e delle proposte dell'UE", approvato dal Consiglio Nazionale il 4 settembre u.s., elaborato dal Gruppo di lavoro "Evoluzione normativa IVA", coordinato dai Consiglieri Nazionali Gilberto Gelosa e Maurizio Postai.

Il documento, dopo un'analisi delle direttive e dei regolamenti UE in materia di IVA di prossima entrata in vigore, offre una visione d'assieme del percorso che condurrà al sistema IVA 2022 e successivamente al sistema definitivo del tributo.

Il documento è disponibile sul nostro sito web all'indirizzo www.commercialisti.it

Allegato

Gli scenari futuri dell'IVA alla luce delle direttive e delle proposte dell'UE

CAPITOLO I - DIRETTIVE E REGOLAMENTI UE IN MATERIA DI IVA DI PROSSIMA ENTRATA IN VIGORE: ANALISI DEI PRINCIPALI ASPETTI E CRITICITÀ

Presentazione

 

La riforma del sistema IVA e la creazione di uno "spazio unico europeo" per l’applicazione dell’imposta, la cui prima fase è prevista con decorrenza primo luglio 2022, sono destinate a realizzarsi seguendo un percorso step by step. Gli obiettivi sono fissati nel piano d’azione della Commissione europea, cui è data esecuzione tramite proposte di modifica della direttiva n. 2006/112/CE o dei regolamenti dell’Unione europea. Delle modifiche previste da tali proposte, alcune sono state già trasfuse in direttive e altri atti, la cui efficacia è anticipata rispetto alla scadenza del 2022, altre non sono ancora state tradotte in atti legislativi; alcune delle disposizioni approvate, inoltre, sono già sotto osservazione, al fine di migliorarne l’applicazione. Il tutto, mentre il legislatore nazionale prova ad anticipare l’applicazione di talune norme (è il caso della disciplina in materia di marketplace), la cui effettiva entrata in vigore, tuttavia, è stata oggetto di rinvio.

In un simile contesto, è immaginabile il disorientamento dell’interprete, al quale non sfugge di certo l’importanza dei cambiamenti in arrivo, ma che si vede costretto a una non semplice attività di ricerca (prima) e collocazione sistematica (poi) delle numerose novità, dovendo distinguere fra disposizioni in vigore, disposizioni parimenti in vigore ma ad effetto posticipato, e norme ancora da approvare. Scopo del presente capitolo è dunque quello di fornire una visione d’assieme del percorso che condurrà al sistema IVA 2022 (e, successivamente, al sistema definitivo del tributo), predisponendo un "cruscotto" per controllare e monitorare l’avanzamento dei lavori, di cui sia possibile l’aggiornamento mano a mano che saranno approvate o prenderanno effetto le nuove regole, offrendo nel contempo un contributo di sintesi sulle principali novità.

 

1. Premessa

 

Il "piano di azione sull’IVA" - che dovrebbe condurre alla creazione di uno "spazio unico europeo" dell’imposta - è contenuto nella comunicazione della Commissione europea COM(2016) 148 final del 7 aprile 2016. Con tale documento, rilevata l’esigenza di una riforma del sistema che dev’essere improntato a una maggior semplicità, alla necessità di meglio fronteggiare il crescente rischio di frodi e a una migliorata efficienza, oltre che fondato su un più elevato livello di fiducia fra imprese e amministrazioni fiscali e fra le stesse amministrazioni fiscali dei vari Paesi UE, la Commissione si colloca sulla linea delle precedenti conclusioni, contenute nel "libro verde sul futuro dell’IVA" di cui alla COM(2010) 695 del 1° dicembre 2010 e nella comunicazione sul "futuro dell’IVA" di cui alla COM(2011) 851 del 6 dicembre 2011. Essa prende quindi atto di aver "abbandonato l’obiettivo di attuare un sistema definitivo dell’IVA basato sul principio dell’imposizione di tutte le cessioni transfrontaliere di beni nello Stato membro di origine alle stesse condizioni applicate al commercio interno, aliquote comprese", come peraltro condiviso dal Parlamento e dal Consiglio europeo (par. 2 della  comunicazione). In questa prospettiva, pertanto, il sistema definitivo dell’IVA "si dovrebbe basare sul principio dell’imposizione nel paese di destinazione dei beni", con la conseguenza che le norme in base alle quali il fornitore riscuote l’imposta dal proprio cliente "saranno estese alle operazioni transfrontaliere" (par. 1 della comunicazione), superandosi l’attuale sistema in cui l’operazione è "artificialmente" ancorché necessariamente (stante il meccanismo transitorio individuato in origine) frazionata (ossia sdoppiata) in un’operazione attiva "esente" da imposta (nella terminologia della direttiva (NOTA 1) nel Paese del cedente (ove si tratti di beni) e in un acquisto imponibile nello Stato del cessionario (sempre considerando un acquisto di beni).

Sulla base di tali presupposti, "la soluzione migliore per l’Unione nel suo insieme consisterebbe nel tassare le cessioni di beni tra imprese nell’UE allo stesso modo delle cessioni nazionali, rimediando in tal modo al grave difetto del sistema transitorio e mantenendo intatte al contempo le caratteristiche di fondo del sistema dell’IVA". In tale ottica, una misura di semplificazione a corredo della mutata impostazione è rappresentata "dallo sportello unico, già esistente per i servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici e per il quale è prevista l’estensione a tutte le operazioni del commercio elettronico" con l’effetto che le imprese "saranno soggette all’obbligo di registrazione ai fini IVA solo negli Stati membri in cui sono stabilite" (par. 4 della comunicazione del 7 aprile 2016).

Il "rovesciamento" dell’impostazione per la tassazione delle operazioni intraunionali richiederà, in tutta evidenza, "una fiducia e una cooperazione maggiori tra le amministrazioni fiscali in quanto lo Stato membro in cui arrivano i beni dovrebbe dipendere dallo Stato membro di partenza per riscuotere l’IVA dovuta sulla cessione transfrontaliera" (così, ancora, il par. 4 della comunicazione), ma anche, altrettanto evidentemente, la necessità di garantire agli operatori una transizione armoniosa. Ciò che può avvenire solo con un’attuazione graduale del passaggio al sistema definitivo.

Per tale motivo, la comunicazione individua (sempre al par. 4) una "prima tappa legislativa" nella quale il nuovo principio di tassazione si applicherebbe, mediante implementazione dello strumento dello "sportello unico" (NOTA 2), alle sole imprese che non siano certificate dalle rispettive amministrazioni fiscali (e che dovrebbero essere in minoranza), mentre le imprese "certificate dalle loro amministrazioni fiscali, continuerebbero ad essere debitrici dell’IVA (NOTA 3) per i beni acquistati da altri paesi dell’UE", con conseguente agevole transizione al nuovo sistema.

La "seconda tappa legislativa", invece, "consisterebbe nell’applicare la tassazione (NOTA 4) a tutte le cessioni transfrontaliere, in modo che tutte le cessioni di beni e servizi nel mercato unico, nazionali o transfrontaliere, vengano trattate allo stesso modo".

Come suggerito nell’introduzione al documento, pertanto, "il presente piano d’azione definisce le fasi progressive necessarie per la realizzazione di uno spazio unico europeo dell’IVA, determinando gli interventi urgenti e immediati per contrastare il divario dell’IVA e adeguare il sistema all’economia digitale e alle esigenze delle PMI. Il piano fornisce inoltre orientamenti chiari nel lungo termine sul sistema definitivo dell’IVA e sulle sue aliquote".

 

1.1. Commercio elettronico transfrontaliero (rinvio)

Seguendo le indicazioni della comunicazione 7 aprile 2016, la Commissione europea ha presentato tre proposte concernenti la modernizzazione del sistema IVA per il commercio elettronico. Si tratta delle proposte COM(2016) 755 final, 756 final e 757 final che sono alla base della direttiva UE n. 2017/2455 del 5 dicembre 2017. Tale direttiva costituisce l’atto normativo con il quale il legislatore unionale ha inteso dare risposta alle esigenze di semplificazione idonee a incentivare e a consentire un più agevole accesso al mercato elettronico transfrontaliero. In sintesi e rinviandosi ad altra parte del presente contributo per maggiori dettagli, si rammenta che la direttiva introduce alcune modifiche alla direttiva n. 2006/112/CE volte, da un lato, a prevedere una soglia di 10 mila euro (al netto dell’IVA) per le prestazioni, nei confronti di soggetti privati o assimilati, dei servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione e dei servizi elettronici, sotto la quale i fornitori applicano l’imposta e seguono le regole di fatturazione dello Stato membro in cui sono stabiliti. In tal modo, gli operatori evitano di doversi identificare ai fini dell’imposta nei singoli Paesi in cui si considera territorialmente rilevante il servizio fornito o di dover alternativamente aderire al regime MOSS. In base all’art. 4 della direttiva, gli Stati membri avrebbero dovuto adottare e pubblicare entro il 31 dicembre 2018 le disposizioni di legge, regolamentari e amministrative necessarie a conformarsi alle previsioni della direttiva a decorrere dal primo gennaio 2019. Quanto al recepimento da parte dello Stato italiano di tali indicazioni, si rinvia ancora al successivo approfondimento.

Dall’altro lato, la direttiva prevede che, a partire dal primo gennaio 2021, si applichi una specifica analoga disciplina anche per le "vendite a distanza intracomunitarie di beni" (e per le "vendite a distanza di beni importati da territori terzi o paesi terzi" con regole peculiari per i cosiddetti marketplace (NOTA 5), sempre che non sia superata la soglia di 10 mila euro. In base  a tale disciplina, si rende applicabile l’IVA dello Stato di stabilimento del cedente, ferma la possibilità, in caso di supero del  limite previsto, di optare per l’applicazione del regime MOSS in alternativa all’obbligo d’identificarsi nello Stato di destinazione dei beni.

 

1.2. Aliquote IVA - COM(2018) 20 e regime delle piccole imprese - COM(2018) 21

Dando seguito alle indicazioni del "piano di azione sull’IVA" e coerentemente con il regime definitivo degli scambi intraunionali e con lo spostamento della tassazione nel Paese di destinazione (laddove l’imposta sarebbe applicata dal fornitore con l’aliquota propria dello Stato del cliente e riscossa dal Paese del cedente per essere poi attribuita allo Stato del consumo), la Commissione ha quindi presentato una proposta di modifica della direttiva n. 2006/112/CE in materia di aliquote IVA.

Tale proposta è contenuta nel documento COM(2018) 20 final del 18 gennaio 2018, la cui relazione espressamente sottolinea come, "con beni e servizi tassati nello Stato membro di destinazione, i fornitori e i prestatori non traggono alcun vantaggio significativo dall’essere stabiliti in uno Stato membro che applica aliquote più basse e pertanto la diversità delle aliquote IVA non perturba più il funzionamento del mercato unico, a condizione che sia accompagnata da misure di  salvaguardia per evitare rischi potenziali quali l’erosione delle entrate, la distorsione della concorrenza, la complessità e l’incertezza giuridica". La proposta (la cui efficacia è chiaramente subordinata al passaggio al "nuovo" sistema definitivo attualmente fissato al primo luglio 2022) prevede, in estrema sintesi, la sostituzione della lista dei beni e servizi ad aliquota ridotta (Allegato III alla direttiva n. 2006/112/CE) con altra lista (Allegato III bis (NOTA 6) dei beni e servizi obbligatoriamente ad aliquota IVA ordinaria (NOTA 7), con ciò rovesciando la logica di sottoporre ad aliquota normale tutti i beni/servizi per i quali non sia prevista l’applicazione di un’aliquota ridotta (NOTA 8). È altresì mantenuta la possibilità di prevedere una o due aliquote ridotte di misura non inferiore al 5 per cento ed è concessa la facoltà di prevedere un’aliquota super-ridotta (non più subordinata alla sua vigenza alla data del primo gennaio 1991, secondo la cosiddetta clausola di standstill) inferiore al 5 per cento o un’aliquota "zero" con attribuzione, però, del diritto di detrazione dell’imposta sugli acquisti. A mitigare l’eccessiva discrezionalità degli Stati membri, tuttavia (ma con inevitabili complicazioni), la proposta stabilisce che le aliquote ridotte e l’aliquota "zero" siano limitate "a beneficio unicamente del consumatore finale e sono applicate per perseguire, in modo coerente, un obiettivo di interesse generale" (così la proposta di modifica dell’art. 98 della direttiva n. 2006/112/CE).

Quale ulteriore limite alla libertà concessa agli Stati, inoltre, è necessario che, nella fissazione delle aliquote, sia rispettata la condizione per cui l’aliquota media ponderata (che tiene conto di tutte le aliquote vigenti nello Stato) "sia sempre superiore al 12%" (così il nuovo art. 99-bis della direttiva n. 2006/112/CE).

Come autorevolmente evidenziato (NOTA 9), "la maggiore flessibilità nella determinazione delle aliquote IVA attribuita agli Stati è stata valutata positivamente, anche se è stato posto in evidenza il rischio che ciò possa rendere il sistema eccessivamente complesso, posto che si verrebbero a creare negli ordinamenti interni dei singoli Stati in materia di aliquote differenze più marcate di quelle attuali". Sono inoltre possibili cadute di gettito, in assenza di adeguate misure compensative, a causa dell’ampliamento delle fattispecie soggette ad aliquota ridotta. Parimenti, non sono da sottacere le "difficoltà di carattere amministrativo e gestionale che si creerebbero nell’applicare aliquote diverse a seconda della natura della controparte (B2C o B2B)". E questo, senza contare le ulteriori difficoltà amministrative che potrebbero incontrare gli operatori, i quali, una volta transitati al sistema definitivo, sarebbero chiamati ad applicare le aliquote di altri Stati membri; effetto amplificato se, come insegna l’esperienza domestica, la corretta individuazione della misura dell’imposta si presenta come questione talora assai controversa.

Costituisce parte integrante dell’insieme delle riforme enunciato dal "piano d’azione sull’IVA" anche la proposta COM(2018) 21 final del 18 gennaio 2018. Ravvisate alcune "inefficienze" del sistema dell’imposta con riguardo alle piccole imprese (PMI), quali:

- l’eccessiva onerosità dei "costi di conformità" (NOTA 10);

- la possibilità che a godere del regime speciale di franchigia (NOTA 11) siano ammesse solo le PMI stabilite nello Stato che prevede tale regime, con effetti negativi sulla concorrenza per le imprese stabilite in Stati membri diversi;

- le maggiori difficoltà incontrate dalle PMI che operano nel commercio transfrontaliero a rispettare gli obblighi IVA di altri Stati membri, la proposta, che non forma oggetto di specifico approfondimento in questa sede, prevede alcune modifiche alla direttiva n. 2006/112/CE (NOTA 12) volte a (NOTA 13):

- estendere il regime di franchigia per le piccole imprese a tutte le imprese, "a prescindere dal fatto che siano stabilite nello Stato membro in cui si applicherà l’IVA e la franchigia sarà disponibile";

- fissare "un valore aggiornato per il livello massimo delle soglie di esenzione nazionali";

- introdurre un periodo transitorio "durante il quale le piccole imprese che superano temporaneamente la soglia di esenzione potranno continuare a beneficiarne";

- introdurre obblighi IVA semplificati "sia per le piccole imprese che beneficiano della franchigia, sia per quelle che non ne beneficiano".

 

2. Il seguito del "piano d’azione sull’IVA" - COM(2017) 566

 

Un passaggio nevralgico nello sviluppo del "piano d’azione sull’IVA" tracciato dalla comunicazione COM(2016) 148, è rappresentato dalla comunicazione COM(2017) 566 final del 4 ottobre 2017, non a caso considerata (come emerge dalla titolazione) "relativa al seguito del piano d’azione sull’IVA - Verso uno spazio unico europeo dell’IVA".

Nella parte introduttiva del documento, la Commissione ribadisce che "la modernizzazione del sistema esistente dell’IVA sarà ottenuta attraverso una serie di passaggi graduali" e riferisce sulle azioni già intraprese (raccolte nella sezione 2), oltre a fornire dettagli su quelle da intraprendere (indicate nella sezione 3).

In particolare, è segnalata:

- l’adozione di un pacchetto legislativo sul sistema definitivo IVA per gli scambi B2B;

- una proposta di riforma delle aliquote IVA, proposta che è poi confluita nel documento COM(2018) 20 del 18 gennaio 2018, sopra ricordato;

- una proposta mirante al rafforzamento degli strumenti di cooperazione amministrativa;

- una proposta di semplificazione delle norme IVA per le PMI, oggetto della sopra menzionata proposta COM(2018) 21 del 18 gennaio 2018.

Quanto alle azioni già intraprese, la comunicazione rammenta le proposte per la modernizzazione dell’imposta nel settore del commercio elettronico di cui ai documenti COM(2016) 755, 756 e 757 (richiamati nel precedente par. 1.1), oltre che una proposta sull’aliquota IVA per le pubblicazioni digitali (NOTA 14).

Nell’ambito delle azioni proposte, merita di essere ricordata la proposta di direttiva concernente l’applicazione temporanea di un meccanismo generalizzato di inversione contabile per tutte le cessioni di beni e le prestazioni di servizi oltre una determinata soglia. In pratica, con tale meccanismo, "l’IVA è "sospesa" lungo l’intera catena economica (tra imprese) e addebitata soltanto ai consumatori finali.

Questo provvedimento ha lo scopo di aiutare gli Stati membri particolarmente colpiti dalla frode a contrastare la frode carosello", in attesa di una soluzione comune a livello unionale. Tale proposta è contenuta nel documento COM(2016) 811 final del 21 dicembre 2016 e ha trovato attuazione con la direttiva UE n. 2018/2057 del 20 dicembre 2018, entrata in vigore il 16 gennaio 2019 e la cui efficacia è fissata fino al 30 giugno 2022, ossia fino al giorno precedente l’avvio del nuovo sistema IVA. La citata direttiva prevede che gli Stati membri possano introdurre un meccanismo generalizzato d’inversione contabile per le operazioni sopra la soglia di 17.500 euro per operazione, al ricorrere delle condizioni previste dal nuovo art. 199-quater della direttiva n. 2006/112/CE. Fra i requisiti previsti per lo Stato che chiede la misura, è indicato "un livello di frodi carosello superiore al 25%" del divario IVA (evasione), circostanza che fa ritenere che l’Italia non risulterà interessata da tale misura (NOTA 15, NOTA 16).

Nell’ambito delle azioni da attuare, la comunicazione conferma l’obiettivo secondo cui il sistema definitivo si baserà sul principio d’imposizione nello Stato membro di destinazione, cambiamento che sarà realizzato "mediante un approccio in due fasi", già delineato nel documento COM(2016) 148 final del 7 aprile 2016.

Nella prima fase, la nuova regola base riguarderà le cessioni intraunionali, per le quali il fornitore dovrà addebitare l’imposta con l’aliquota dello Stato membro di destinazione dei beni, ricorrendo al meccanismo del cosiddetto "sportello unico" nel proprio Stato membro. Durante questa fase, il principio generale della tassazione a opera del cedente soffrirà di un’importante deroga. Infatti, se il cessionario è rappresentato da un "soggetto passivo certificato" (CTP - Certified Taxable Person) ossia da un soggetto passivo considerato affidabile dall’amministrazione fiscale ("possibilità aperta anche alle PMI"), tale operatore "continuerà a essere tenuto al versamento dell’IVA sui beni acquistati da altri Stati membri, esattamente come accade già oggi".

Nella seconda fase, invece, "il nuovo trattamento dell’IVA dovrà essere esteso a tutte le cessioni transfrontaliere e andrà così a coprire anche le prestazioni di servizi". L’avvio di tale seconda tappa legislativa, tuttavia, non è ancora temporalmente programmato, essendo destinato a vedere la luce "dopo debito monitoraggio dell’attuazione della prima tappa, il cui funzionamento sarà valutato dalla Commissione cinque anni dopo la sua entrata in vigore". In ogni caso, come segnalato in dottrina (NOTA 17), "nella seconda fase sarà pienamente realizzato il completo e definitivo passaggio alla nuova disciplina dell’iva, con un irreversibile superamento dell’attualmente vigente regime transitorio. Il cedente (e non l’acquirente) e il prestatore di servizi saranno obbligati a versare l’iva sui beni venduti e sui servizi forniti in altri Stati membri".

Il riferimento alla data del primo luglio 2022, pertanto, è da considerarsi relativo unicamente alla prima fase del processo.

Nella prospettiva della gradualità che caratterizza l’avvicinamento al sistema definitivo, la Commissione si premura di ulteriormente distinguere la prima fase in due "tappe intermedie".

In relazione alla prima tappa intermedia, sono da segnalare le proposte COM(2017) 569 final, 568 final e 567 final del 4 ottobre 2017, mentre, con riguardo alla seconda tappa intermedia, il documento di riferimento è rappresentato dalla COM(2018) 329 final del 25 maggio 2018 che, come sottolineato al paragrafo 5 di tale documento (ALTRI ELEMENTI - Illustrazione dettagliata delle singole disposizioni della proposta), contiene le modifiche tecniche da apportare alla direttiva n. 2006/112/CE, al fine, in particolare, di renderne coerenti le previsioni con il sistema in vigore dal primo luglio 2022 (NOTA 18).

 

2.1. La proposta COM(2017) 569 final

Tale proposta introduce il concetto di soggetto passivo certificato (CTP), ossia di un’impresa che "può essere nel complesso considerata un contribuente affidabile". L’introduzione di tale qualifica (NOTA 19) - che, con alcune eccezioni, potrà essere assunta da qualsiasi soggetto, comprese le PMI (NOTA 20) e che è plasmata (NOTA 21) sullo schema dell’operatore economico autorizzato in ambito doganale (cosiddetto AEO) (NOTA 22)-, riveste un ruolo di rilievo nella prima tappa del passaggio al sistema definitivo, posto che, come già sottolineato, tale soggetto sarà l’unico che continuerà ad applicare il sistema ora in vigore di assolvimento dell’imposta (NOTA 23), realizzando un acquisto intracomunitario tassato nello Stato membro di destinazione dei beni, "per il quale l’acquirente è la persona tenuta al versamento dell’IVA".

Il mantenimento delle attuali regole di assoggettamento a imposta, quando il cessionario si qualifica come CTP, si giustifica con il fatto che, "essendo il soggetto passivo certificato per definizione un contribuente affidabile", non dovrebbero porsi, almeno in via di principio, problemi di evasione o di frode.

Quanto ai criteri che devono essere rispettati per assumere la qualifica di CTP, questi prevedono: a) l’assenza di violazioni gravi e ripetute delle normative doganale e fiscale, compresa l’assenza di trascorsi di gravi reati con riguardo all’attività economica dell’operatore; b) la dimostrazione di un elevato livello di controllo delle operazioni e del flusso delle merci, mediante un sistema di gestione delle scritture commerciali ed eventualmente di quelle relative ai trasporti che permetta adeguati controlli doganali "o mediante una pista di controllo interno affidabile o certificata" (NOTA 24); c) la solvibilità finanziaria del richiedente lo status, solvibilità che si considera comprovata se l’operatore si trova in una situazione finanziaria sana, idonea a consentire l’adempimento dei propri impegni tenuto conto delle caratteristiche del tipo di attività, o se sono fornite idonee garanzie da parte di soggetti affidabili economicamente (assicurazioni, istituti finanziari o terzi).

In attesa dell’avvio del sistema definitivo degli scambi intraunionali (in cui la figura del CTP assume, evidentemente, un ruolo centrale), la proposta si fa inoltre carico di apportare alcune modifiche all’attuale sistema, volte a migliorarlo rendendolo più sicuro ed efficiente.

Da questo punto di vista, il documento propone quattro linee d’intervento in materia di:

- numero identificativo IVA;

- operazioni in regime di call off stock;

- cosiddette "operazioni a catena";

- prova delle cessioni intracomunitarie di beni.

Quanto al numero identificativo IVA, la proposta prende atto che gli Stati membri, nell’intento di una più efficace lotta alle frodi, "hanno chiesto che nella direttiva IVA sia incluso l’obbligo, per l’acquirente, di disporre di un numero di identificazione IVA valido in uno Stato membro diverso da quello in cui ha inizio il trasporto dei beni quale requisito sostanziale per consentire (NOTA 25) al fornitore di applicare l’esenzione. Ciò costituisce un passo avanti rispetto alla situazione attuale in cui, stando all’interpretazione della Corte di giustizia dell’Unione europea (NOTA 26), il numero di identificazione IVA dell’acquirente è un mero requisito formale del diritto a esonerare una cessione intracomunitaria". Allo stesso modo, rappresenta un requisito formale per l’esenzione da imposta la presentazione di un elenco riepilogativo ossia del "cosiddetto elenco VIES, che comprende il numero di identificazione IVA dell’acquirente".

Il nuovo art. 138, par. 1 di cui è proposta l’introduzione "include pertanto modifiche concernenti questi due aspetti", prevedendo "quale requisito sostanziale per l’applicazione dell’esenzione, che l’acquirente debba essere identificato ai fini IVA in uno Stato membro diverso da quello in cui ha inizio la spedizione o il trasporto dei beni". Questo avviene anche oggi, essendo previsto che il fornitore verifichi lo status del cessionario attraverso il sistema VIES; ciò che cambierà, in futuro, sono però le conseguenze. La nuova norma, infatti, prevede che la mancata identificazione dell’acquirente conduca al rifiuto dell’esenzione, assumendo tale mancanza natura sostanziale (NOTA 27).

Inoltre, in base alla proposta di modifica della direttiva, "anche la corretta presentazione dell’elenco VIES diventa un requisito sostanziale che può determinare, laddove tale requisito non sia soddisfatto, il rifiuto, da parte dell’amministrazione fiscale, di un’esenzione richiesta".

Una disciplina omogenea, utile all’applicazione uniforme delle norme IVA all’interno del mercato unico, è quella proposta in materia di call off stock (NOTA 28). In tale regime un fornitore trasferisce beni a un acquirente individuato in un altro Stato membro "senza però ancora trasferirne la proprietà". La cessione ha luogo solo all’atto del prelievo dei beni da parte del destinatario, con la conseguenza per cui, nei Paesi che non hanno adottato misure di semplificazione, tale operazione determina, all’atto della spedizione, una cessione esente nello Stato di partenza dei beni e un acquisto intracomunitario nel Paese di arrivo, con conseguente obbligo di identificazione ai fini IVA nello Stato di destinazione da parte del fornitore. La successiva cessione al momento del prelievo dei beni dallo stock consegnato, implica una seconda vendita, interna però al Paese in cui è situato tale stock. Per ovviare alle difficoltà degli operatori che potrebbero essere tenuti a identificarsi in ognuno degli Stati in cui sono stati inviati beni in regime di call off stock, il documento propone una soluzione (in linea con la prassi già riconosciuta dall’Amministrazione finanziaria italiana (NOTA 29) ) volta a "considerare che il regime del call off stock dia luogo a un’unica cessione nello Stato membro di partenza e a un acquisto intracomunitario nello Stato membro in cui è situato lo stock se l’operazione è effettuata tra due soggetti passivi certificati" (NOTA 30). A fini di controllo e monitoraggio, è inoltre previsto l’obbligo di tenuta di un registro dei beni oggetto di trasferimento nel suddetto regime, oltre che quello di menzionare nell’elenco riepilogativo compilato dal fornitore "l’identità degli acquirenti ai quali i beni spediti nell’ambito del regime di call off stock saranno ceduti in un secondo momento".

Anche le cosiddette "operazioni a catena" necessitano, secondo la Commissione (che si fa interprete delle esigenze degli Stati membri), di miglioramenti legislativi. Con l’inserimento nella direttiva n. 2006/112/CE del nuovo art. 138-bis, il documento intende disciplinare il regime delle transazioni "in successione", nelle quali un bene forma oggetto di più cessioni fra soggetti di Stati membri diversi, ma di un unico trasporto intracomunitario. Qualora i soggetti coinvolti siano tre: il fornitore che vende i beni all’operatore intermedio, l’operatore intermedio (identificato ai fini IVA in uno Stato membro diverso da quello del fornitore) in veste di cessionario/cedente, e l’acquirente finale (nello Stato membro di destinazione dei beni), il quale acquista i beni dall’operatore intermedio, occorre stabilire "la cessione all’interno della catena di operazioni alla quale deve essere imputato il trasporto intracomunitario (che sarà la cessione all’interno della catena alla quale può essere applicata l’esenzione di cui all’art. 138, a condizione che siano soddisfatti tutti gli altri requisiti per tale esenzione)". In estrema sintesi (NOTA 31), in forza della nuova norma, se l’operatore intermedio comunica al fornitore il nome dello Stato membro di arrivo, il trasporto intracomunitario e, conseguentemente, l’esenzione (non imponibilità nell’ordinamento nazionale) competono alla cessione dal fornitore all’operatore intermedio.

Per quel che concerne la revisione del sistema delle prove delle cessioni intracomunitarie, il documento osserva come sia richiesta "una modifica del regolamento di esecuzione (NOTA 32) sull’IVA", con la conseguenza che tale revisione "è pertanto oggetto di una proposta separata" (NOTA 33).

 

2.2. Le proposte COM (2017) 568 final e COM(2017) 567 final

Conformemente alle indicazioni fornite con il documento sopra commentato, la proposta COM(2017) 568 final (NOTA 34) contempla una modifica al regolamento UE n. 282/2011 del 15 marzo 2011 con riferimento al regime delle prove idonee a dimostrare il trasferimento dei beni, i quali devono essere trasportati o spediti nel territorio di uno Stato membro diverso da quello di partenza. Tale modifica dovrà essere di comune accettazione per le amministrazioni fiscali degli Stati. La proposta mira quindi a modificare il menzionato regolamento esecutivo, mediante inserimento dell’art. 45-bis con l’introduzione di una "presunzione refutabile" destinata a operare solo in presenza di (almeno) un soggetto passivo certificato, in veste di cedente o cessionario dei beni oggetto dell’operazione intracomunitaria. Come meglio illustrato nel paragrafo dedicato all’attuazione delle proposte di modifica, si vedrà che la norma indicata è stata inclusa nel regolamento UE n. 2018/1912 del 4 dicembre 2018. Essendo tale regolamento destinato ad applicarsi dal primo gennaio 2020 e, quindi, prima dell’introduzione della figura del CTP, esso non contempla più il requisito della qualifica di soggetto passivo certificato in capo al cedente o al cessionario.

Con il documento COM (2017) 567 final, la Commissione intende infine garantire che le informazioni relative allo status di soggetto passivo certificato siano reperibili e consultabili all’interno del sistema VIES, estendendone quindi le relative funzionalità. Allo scopo, sono previste alcune modifiche al regolamento UE n. 904/2010 del 7 ottobre 2010 sulla cooperazione amministrativa fra Stati membri.

 

3. Lo "stato dell’arte": direttive e regolamenti

 

Nei paragrafi precedenti si è fatto cenno ad alcuni atti legislativi approvati. Si tratta della direttiva UE n. 2017/2455 del 5 dicembre 2017 (in materia di commercio elettronico (NOTA 35) ), della direttiva UE n. 2018/912 del 22 giugno 2018 (sull’aliquota ordinaria minima (NOTA 36) ), della direttiva UE n. 2018/1713 del 6 novembre 2018 (in materia di aliquota ridotta sui prodotti editoriali elettronici (NOTA 37) ), della direttiva UE n. 2018/1965 del 6 novembre 2018 (per l’estensione al 30 giugno 2022 del regime del reverse charge alle operazioni aventi per oggetto determinati beni (NOTA 38) ) e della direttiva UE n. 2018/2057 del 20 dicembre 2018 (sull’estensione generalizzata del reverse charge in funzione anti-frode (NOTA 39) ).

A tali documenti legislativi (e ancorché non tutti possano considerarsi strettamente attinenti le prospettive evolutive IVA), si possono aggiungere: il regolamento UE n. 2018/1541 del 2 ottobre 2018 (sul rafforzamento della cooperazione amministrativa per combattere le frodi transfrontaliere in materia di IVA); la direttiva UE n. 2019/475 del 18 febbraio 2019 che assume particolare interesse per il nostro Paese, posto che si tratta dell’inclusione, con effetto dal primo gennaio 2020, nel territorio doganale dell’Unione europea del Comune di Campione d’Italia e delle acque nazionali del lago di Lugano. Con una modifica al primo paragrafo dell’art. 6 della direttiva n. 2006/112/CE, tali territori sono inseriti fra quelli cui non si applica la direttiva IVA, pur essendo divenuti parte integrante del territorio doganale unionale ai sensi del regolamento UE n. 952/2013 del 9 ottobre 2013 (NOTA 40) (è altresì modificato l’art. 5, paragrafo 3 della direttiva n. 2008/118/CE in materia di accise); il regolamento UE n. 2019/1129 del 2 luglio 2019, anch’esso relativo a disposizioni applicative in materia di cooperazione amministrativa e lotta alle frodi IVA.

Nell’ottica dell’attuazione delle modifiche proposte nel "piano d’azione sull’IVA" in vista della creazione dello spazio unico europeo di applicazione dell’imposta, tuttavia, i documenti legislativi di maggior "peso" e d’imminente effetto, sono rappresentati dalla direttiva UE n. 2018/1910 del 4 dicembre 2018 e dai regolamenti esecutivi UE n. 2018/1912 e n. 2018/1909 anch’essi del 4 dicembre 2018. Tali atti possono considerarsi, nell’insieme, come la trasposizione normativa delle quattro linee d’intervento rapido (cosiddette quick fixes) delineate già nel documento COM(2017) 566 final e riprese dalla successiva proposta COM(2017) 569 final, entrambe del 4 ottobre 2017 (esaminate nei paragrafi precedenti).

 

3.1. La direttiva UE n. 2018/1910

Conformemente a quanto precisato nel documento COM(2017) 569 final, tre delle linee d’intervento volte al miglioramento dell’attuale sistema dell’IVA sono state comprese in alcune modifiche alla direttiva n. 2006/112/CE, mentre un quarto ambito d’intervento ha richiesto la modifica del regolamento esecutivo UE n. 282/2011.

Sono quindi confluite nella direttiva UE n. 2018/1910 le modifiche in materia di numero identificativo IVA, di transazioni "a catena" e di disciplina del cosiddetto call off stock (tutte con effetto dal primo gennaio 2020). Le regole in materia di prova del trasferimento dei beni oggetto di una cessione intracomunitaria, invece, hanno determinato una modifica del regolamento n. 282/2011 (anch’essa con effetto dal primo gennaio 2020).

Come riferito al paragrafo 2.1 e come riportato nel settimo "considerando" della direttiva UE n. 2018/1910, per quanto concerne il numero di identificazione IVA, la direttiva prevede che detto numero "diventi, oltre alla condizione di trasporto dei beni al di fuori dello Stato membro di cessione, una condizione sostanziale per l’applicazione dell’esenzione anziché un requisito formale". Inoltre, anche l’inserimento dei dati del cessionario è essenziale per consentire allo Stato membro di arrivo di essere informato della presenza dei beni nel suo territorio. Conseguentemente, "qualora il cedente non rispetti i suoi obblighi di inserimento nell’elenco VIES", non dovrebbe applicarsi l’esenzione da imposta (non imponibilità).

La rilevanza sostanziale del numero identificativo IVA è assicurata dalle modifiche apportate all’art. 138 della direttiva n. 2006/112/CE, il cui paragrafo 1 prevede, alla lett. b), che sia condizione per l’esenzione della cessione intracomunitaria il fatto che il cessionario sia "identificato ai fini dell’IVA in uno Stato membro diverso da quello in cui la spedizione o il trasporto dei beni ha inizio" e che egli abbia "comunicato al cedente tale numero di identificazione IVA" (NOTA 41). Inoltre, il nuovo paragrafo 1-bis dispone che l’esenzione non si applichi se il cedente non rispetta l’obbligo di presentazione dell’elenco riepilogativo (di cui agli articoli 262 e 263 della direttiva n. 2006/112/CE) o presenta un elenco non riportante le informazioni corrette sulla cessione intracomunitaria (fra cui è compreso l’identificativo IVA del cessionario) (NOTA 42).

Le modifiche sono evidentemente destinate a esplicare la propria efficacia nei termini illustrati dal primo gennaio 2020 e fino al 30 giugno 2022. Dal primo luglio di tale anno, infatti, in concomitanza con l’avvio della prima fase del sistema definitivo, le cessioni intracomunitarie con applicazione dell’esenzione nello Stato del cedente e la tassazione in inversione contabile nel Paese di destinazione, saranno solo quelle eseguite nei confronti dei soggetti passivi certificati, operando, in caso contrario, il sistema della tassazione con l’imposta del Paese di arrivo dei beni direttamente a cura del fornitore.

Al riguardo, il documento COM(2017) 569 final prevede quindi che "si dovrà proporre anche una modifica al regolamento sulla cooperazione amministrativa allo scopo di consentire l’integrazione dello status di soggetto passivo certificato nel VIES... e permettere così alle amministrazioni fiscali e alle imprese di verificare online se una impresa gode dello status di soggetto passivo certificato".

Quanto alle cosiddette transazioni "a catena" (NOTA 43), operazioni che prevedono successive cessioni di beni con un unico trasporto intracomunitario, l’esigenza di una loro disciplina uniforme deriva dai possibili diversi approcci riservati dai singoli Stati membri a tali fattispecie "che possono avere come conseguenza la doppia imposizione o la non imposizione", oltre che dal fine "di accrescere la certezza del diritto per gli operatori" (sesto "considerando" della direttiva UE n. 2018/1910). La necessità di un intervento normativo in materia è inoltre parsa opportuna anche per conferire sistematicità a una serie

di pronunce della Corte di giustizia europea che, a più riprese, si è occupata di tali operazioni (NOTA 44).

In sintesi, la direttiva UE n. 2018/1910 prevede (sempre a valere dal primo gennaio 2020) l’introduzione nella direttiva n. 2006/112/CE del nuovo art. 36-bis, norma che è destinata a regolare le transazioni nelle quali gli stessi beni sono ceduti fra (almeno) tre soggetti diversi, nelle quali il trasporto avviene da uno Stato membro all’altro e in cui i beni sono trasferiti "direttamente" dal primo cedente all’ultimo acquirente della catena (senza interruzioni che non siano imputabili a mere esigenze di carattere logistico). Scopo della disposizione (NOTA 45) è stabilire che, al ricorrere di simili situazioni, la spedizione o il trasporto sono imputati unicamente alla cessione nei confronti dell’"operatore intermedio", per tale intendendosi (paragrafo 3), esclusivamente ai fini dell’art. 36-bis, "un cedente all’interno della catena diverso dal primo cedente della catena, che spedisce o trasporta i beni esso stesso o tramite un terzo che agisce per suo conto".

Conseguentemente, la norma si limita (al paragrafo 1) a disciplinare il caso in cui il trasporto/spedizione dei beni è eseguito dall’operatore intermedio (o da terzi per suo conto): in tale ipotesi, il trasporto/spedizione intracomunitario è "agganciato" alla cessione eseguita nei confronti di tale soggetto e, di conseguenza, è tale cessione a essere considerata intracomunitaria con conseguente applicazione del regime d’esenzione da imposta.

In deroga a tale regola, il paragrafo 2 della norma prevede che "la spedizione o il trasporto sono imputati unicamente alla cessione effettuata dall’operatore intermedio se (NOTA 46) quest’ultimo ha comunicato al cedente" il numero identificativo IVA assegnatogli "dallo Stato membro a partire dal quale i beni sono spediti o trasportati". In pratica, in questa situazione il trasporto/spedizione intracomunitario è collegato alla cessione eseguita dall’operatore intermedio che sarà, per l’effetto, la cessione intracomunitaria.

In circostanze diverse da quelle espressamente considerate, la nuova disposizione non trova applicazione e, di conseguenza, valgono le altre norme della direttiva, così come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea. Per esemplificare, considerando il caso del cedente comunitario (UE) che vende beni a un soggetto nazionale (IT1) che li cede ad altro soggetto nazionale (IT2), il quale si occupa del trasporto in Italia dal territorio del cedente UE, non rientrandosi nel perimetro del nuovo art. 36-bis, saranno applicabili le regole desumibili dalle statuizioni delle sentenze della Corte di giustizia. Da ciò, deriva che il trasporto è imputabile alla cessione eseguita nei confronti di chi effettua lo spostamento dei beni (e, dunque, alla cessione da IT1 a IT2). Questa sarà la cessione intracomunitaria all’interno della catena. L’effetto è che la precedente vendita da UE a IT1 si considera interna allo Stato di partenza dei beni e, altresì, che IT1 dovrà identificarsi in detto Stato per poter realizzare la successiva vendita intracomunitaria nei confronti dell’acquirente finale (IT2) (NOTA 47).

Per quel che concerne la disciplina del cosiddetto call off stock (NOTA 48), come osservato nel quinto "considerando" della direttiva UE n. 2018/1910, essa è volta a regolare "la situazione in cui, al momento del trasporto di beni verso un altro Stato membro, il cedente conosce già l’identità dell’acquirente al quale tali beni saranno ceduti in una fase successiva al loro arrivo nello Stato membro di destinazione". Salvo che per quegli Stati che hanno già adottato misure di semplificazione (come l’Italia), è possibile che una simile fattispecie sia considerata una cessione intracomunitaria presunta nello Stato di partenza dello stock di beni trasferiti e un acquisto intracomunitario presunto nello Stato di arrivo, con successiva realizzazione di una cessione interna nello Stato membro di arrivo nel momento in cui si realizza il prelievo dei beni da parte dell’acquirente. Ciò che obbligherebbe il cedente a identificarsi nello Stato di destinazione, con evidenti complicazioni e appesantimenti amministrativi (costi di conformità), per adempiere gli obblighi correlati all’acquisto intracomunitario (presunto), oltre che quelli eventuali (NOTA 49) previsti nello Stato di arrivo dei beni. Al fine di evitare queste conseguenze, "tali operazioni, quando hanno luogo tra due soggetti passivi, dovrebbero essere considerate, a determinate condizioni, una cessione esente nello Stato membro di partenza e un acquisto intracomunitario nello Stato membro di arrivo", evitando di frazionare l’operazione in due fasi (una cessione intracomunitaria presunta o assimilata e uno speculare acquisto intracomunitario presunto o assimilato, all’atto dell’invio dei beni, e una cessione interna allo Stato di arrivo dei beni, nel momento dell’effettivo prelievo e acquisto dei beni da parte del cessionario/destinatario dello stock).

In base al nuovo art. 17-bis della direttiva n. 2006/112/CE (avente effetto dal primo gennaio 2020), nel rispetto delle condizioni previste da tale norma (individuate al paragrafo 2 (NOTA 50) ), l’invio dei beni in regime di call off stock da uno Stato membro a un altro, non configura più un’operazione intracomunitaria assimilata, ma implica una cessione e un acquisto intracomunitari "effettivi" che si realizzano, tuttavia (paragrafo 3 della norma), solo "al momento del trasferimento del diritto di disporre dei beni come proprietario" in favore del soggetto destinatario dei beni "e purché il trasferimento abbia luogo entro il termine di cui al paragrafo 4" ovverossia entro 12 mesi dall’arrivo dei beni. Se, entro tale termine, i beni non sono stati ceduti al soggetto passivo cui erano destinati (e non si verificano le altre condizioni normativamente previste (NOTA 51) ), si torna ad applicare la regola generale di cui al precedente art. 17 della direttiva n. 2006/112/CE, secondo la quale i beni si considerano oggetto di un cosiddetto "trasferimento a se stessi" con conseguente ripristino della disciplina delle operazioni intracomunitarie assimilate e obbligo per il cedente di assumere un numero identificativo IVA nello Stato verso il quale i beni sono stati inviati.

In ogni caso, la nuova norma contiene disposizioni di dettaglio sia con riguardo alla possibile restituzione dei beni inviati (paragrafo 5), sia in relazione alla possibilità di sostituire l’originario destinatario dei beni con altro soggetto (paragrafo 6), sia in riferimento alla possibile cessione dei beni in un Paese membro diverso da quello di partenza (paragrafo 7).

Particolari cautele sono inoltre previste per il monitoraggio dei beni trasferiti ed eventualmente restituiti. È infatti stabilito l’obbligo di tenere un registro delle movimentazioni, sia per il soggetto che trasferisce i beni sia per il destinatario degli stessi. La disposizione che introduce il predetto obbligo è rappresentata dal paragrafo 3 aggiunto all’art. 243 della direttiva n. 2006/112/CE (NOTA 52). Quanto alle annotazioni da eseguire nel registro, esse sono specificate nel nuovo art. 54-bis del regolamento UE n. 282/2011 del 15 marzo 2011. Tale norma è stata inserita dal regolamento UE n. 2018/1912 del 4 dicembre 2018 (di cui si dirà meglio nel paragrafo successivo).

In aggiunta, per effetto delle modifiche apportate all’art. 262 della direttiva n. 2006/112/CE, è stabilito l’obbligo di trasmettere negli elenchi riepilogativi (i modelli Intrastat, per l’Italia) il numero identificativo IVA dei soggetti passivi destinatari dei beni spediti/trasportati in regime di call off stock.

 

3.2. I regolamenti UE n. 2018/1912 e n. 2018/1909

Il regolamento UE n. 2018/1909 completa il quadro normativo di riferimento per l’applicazione del regime del call off stock. In aggiunta alle disposizioni "primarie" inserite nella direttiva n. 2006/112/CE e a quelle esecutive per la tenuta del registro delle movimentazioni dei beni di cui al nuovo art. 54- bis (NOTA 53) del regolamento UE n. 282/2011, il Consiglio ha approvato, in data 4 dicembre 2018, il regolamento UE n. 2018/1909 che modifica il regolamento UE n. 904/2010 "per quanto riguarda lo scambio di informazioni ai fini del monitoraggio della corretta applicazione del regime del call off stock". Con effetto dal primo gennaio 2020, quindi, sono apportate modifiche alla disciplina dello scambio d’informazioni fra le autorità degli Stati membri affinché sia garantito, come sottolinea il primo "considerando" del regolamento, "un accesso automatizzato ai dati raccolti presso i soggetti passivi relativamente a tali operazioni".

Quanto al regolamento UE n. 2018/1912 del 4 dicembre 2018, esso si segnala perché affronta a livello normativo la delicata problematica del regime delle prove del trasferimento dei beni nelle cessioni intracomunitarie, ai fini dell’applicazione dell’esenzione IVA. Come ben noto agli operatori e riconosciuto nel terzo "considerando" del regolamento, il quale sottolinea come "le divergenze di approccio tra gli Stati membri nell’applicazione di tali esenzioni hanno creato difficoltà e incertezza giuridica per le imprese", la perdurante mancanza di disposizioni di legge sia a livello unionale sia a livello di ordinamenti nazionali (perlomeno in Italia) era divenuta intollerabile. In modo condivisibile, pertanto, gli organi comunitari hanno ritenuto di intervenire per (provare a) porre rimedio a tale situazione. Considerata la specificità della materia, si è ritenuto di agire sulle norme di carattere esecutivo, introducendo nel regolamento UE n. 282/2011 il nuovo art. 45-bis, il quale individua "due presunzioni refutabili" che individuano altrettanti casi in cui (quarto "considerando") "i beni dovrebbero essere considerati spediti o trasportati dal territorio dello Stato membro di cessione".

In base alla nuova disposizione, è possibile presumere che i beni siano stati spediti o trasportati in altro Stato membro, qualora:

a) il cedente certifichi il trasferimento dei beni, eseguito direttamente o da un terzo per suo conto, e sia in possesso di almeno due elementi di prova - non contraddittori - rilasciati da due parti diverse indipendenti tra loro, dal cedente e dal cessionario, contenute nell’apposita elencazione di cui al terzo paragrafo, lett. a) della norma (si tratta dei documenti relativi al trasporto/spedizione, quali: documento o lettera CMR firmata, polizza di carico, fattura di trasporto aereo - Air Way Bill -, fattura dello spedizioniere), ovvero sia in possesso di uno di tali elementi di prova, in combinazione con uno qualsiasi dei singoli elementi probatori non contraddittori e provenienti da due parti parimenti indipendenti, contenuti nell’elencazione di cui al terzo paragrafo, lett. b) ovvero: i) polizza assicurativa della spedizione/trasporto dei beni o documenti bancari del pagamento del trasporto/spedizione; ii) documenti ufficiali rilasciati da una pubblica autorità - notaio, per esempio - che confermino l’arrivo a destino dei beni; iii) ricevuta di un depositario nello Stato di destinazione che confermi il deposito dei beni in tale Stato;

oppure qualora:

b) il cedente sia in possesso di una dettagliata dichiarazione scritta del cessionario - da rilasciare entro il decimo giorno del mese successivo alla cessione - che attesti il trasferimento dei beni (eseguito direttamente dal cessionario o da un terzo per suo conto) nello Stato di destinazione e sia altresì in possesso dei documenti sopra indicati nelle possibili combinazioni indicate.

Rinviandosi allo specifico approfondimento contenuto in altra parte del presente contributo, anche per ciò che concerne i possibili effetti "anticipati" della norma rispetto alla decorrenza del primo gennaio 2020, si ritiene qui opportuno sottolineare alcuni aspetti.

In primo luogo, sotto il profilo "tecnico", è da segnalare come, trattandosi di un intervento volto a migliorare l’attuale sistema dell’imposta, si sia reso necessario espungere dalla modifica come inizialmente proposta (NOTA 54), la riferibilità della norma alle operazioni correnti fra soggetti passivi certificati (l’operatività del CTP è infatti rinviata al primo luglio 2022). Da un punto di vista "sostanziale", invece, non può non notarsi come, nonostante i lodevoli intenti, la previsione della possibilità per le autorità fiscali di "refutare la presunzione" introdotta, rischi di riproporre le medesime difficoltà e incertezze che la modifica intende risolvere. In mancanza di indicazioni sulle circostanze e gli eventi che possono legittimare le amministrazioni a rigettare la valenza dei documenti considerati come rilevanti a fini probatori, è infatti possibile (per non dire probabile) che sia destinato a perdurare il contenzioso sull’effettività del trasferimento dei beni da Stato membro a Stato membro, con conseguente disconoscimento del regime d’esenzione delle relative cessioni.

 

4. Le regole per il mercato elettronico transfrontaliero

 

Uno dei settori economici su cui l’Unione europea ha focalizzato la propria attenzione al fine di eliminare le disparità di trattamento tra i vari Paesi membri, di evitare il rischio di frodi e di limitare o eliminare adempimenti inutili o eccessivamente gravosi è quella del commercio on line, con particolare attenzione alle prestazioni di servizi effettuate per via elettronica.

Il trattamento IVA di tali attività varia in funzione dell’oggetto dell’operazione, delle sue modalità di esecuzione e dello status dell’acquirente/committente.

Il commercio elettronico include tutte le operazioni eseguite utilizzando mezzi elettronici. Esso è tradizionalmente definito come e-commerce:

- indiretto, quando si tratta della cessione di beni materiali e la conclusione del contratto avviene on line; in tale ipotesi, il bene oggetto della cessione viene consegnato con modalità tradizionali;

- diretto, se si è in presenza della cessione di beni non tangibili o della prestazione di servizi resi in modalità elettronica e se tutte le fasi della transazione vengono sviluppate on line.

Nel primo caso, quando la cessione è eseguita nei confronti di un privato, essa è equiparata ai fini IVA a una vendita per corrispondenza e quindi non assoggettata ad alcun obbligo di fatturazione o certificazione, salvo esplicita richiesta dell’acquirente per l’emissione della fattura. Quando il cliente è un privato comunitario (NOTA 55) (o un soggetto a esso assimilato), si applicano le specifiche regole per le cosiddette "vendite a distanza" (NOTA 56).

Nel secondo caso, invece, tale attività configura l’esecuzione di una prestazione di servizi. In caso di commercio elettronico diretto, le regole di territorialità variano a seconda della qualifica del committente:

- se il committente è un soggetto passivo IVA (rapporti B2B), il prestatore deve emettere fattura senza applicazione dell’IVA, dato che l’operazione rileva territorialmente nel Paese del committente in base alla regola generale in materia di territorialità delle prestazioni di servizi (e, dunque, in base all’art. 44 della direttiva n. 2006/112/CE e all’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972);

- se il committente non è un soggetto passivo IVA (rapporti B2C), in deroga alla regola generale (che prevede la rilevanza dell’operazione nello Stato del fornitore del servizio), la prestazione si considera eseguita (e l’imposta è dovuta) nel Paese del committente. Ciò che comporta, a livello di principio, l’apertura di una posizione IVA in ogni Paese UE in cui il prestatore opera.

La direttiva n. 2006/112/CE, tra l’altro, individua regimi speciali per l’applicazione dell’imposta con riguardo ai soggetti passivi non stabiliti che prestano servizi di telecomunicazione, telediffusione o servizi forniti per via elettronica a persone che non sono soggetti passivi (rapporti B2C).

Un passaggio fondamentale nella revisione del sistema di tassazione per le operazioni del settore elettronico, è costituito dalla direttiva n. 2008/8/CE del 12 febbraio 2008, il cui recepimento nell’ordinamento nazionale è avvenuto con il D.Lgs. n. 42 del 31 marzo 2015. Con l’art. 2 di tale decreto, è stato modificato l’art. 74-quinquies del D.P.R. n. 633/1972 (NOTA 57) e inserito il nuovo art. 74-sexies, rubricato "Regime speciale per i servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici resi da soggetti UE", il quale prevede, per tali soggetti, la possibilità di adottare le disposizioni di cui all’art. 74-quinquies.

Per effetto delle modifiche alle regole di territorialità introdotte dalla citata direttiva n. 2008/8/CE, risultano quindi territorialmente rilevanti in Italia, se rese a committenti non soggetti passivi d’imposta:

- le prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici, quando i predetti committenti sono domiciliati nel territorio dello Stato o ivi residenti senza domicilio all’estero (art. 7-sexies, lett. f), del D.P.R. n. 633/1972);

- le prestazioni di telecomunicazione e teleradiodiffusione, quando il ridetto committente è domiciliato nel territorio dello Stato o è ivi residente senza domicilio all’estero, sempre che tali prestazioni siano utilizzate nel territorio dell’Unione europea (art. 7-sexies, lett. g), del D.P.R. n. 633/1972).

Con effetto dal primo gennaio 2015, è poi entrato in vigore il cosiddetto "regime MOSS" (Mini One Stop Shop), regime che offre la possibilità a tutti i soggetti passivi che rendono prestazioni dei (cosiddetti) servizi TTE - Telecomunicazione, Teleradiodiffusione ed Elettronici - nei confronti di committenti non soggetti passivi domiciliati nell’Unione europea, di identificarsi in un unico Stato membro (tramite apposita procedura on line), al fine di soddisfare gli obblighi connessi all’assolvimento degli adempimenti IVA per le prestazioni della specie rese in ogni Stato membro. Il nuovo regime è regolato dalla direttiva n. 2006/112/CE agli artt. da 357 a 369-duodecies, così come introdotti o modificati dalla direttiva n. 2008/8/CE, distintamente per i prestatori stabiliti all’interno dell’Unione europea o al di fuori di essa (NOTA 58).

Nell’ambito della continua attività di revisione e monitoraggio della normativa, anche la disciplina in materia di prestazioni di servizi elettronici, seppur in vigore da pochi anni, è stata oggetto di (ri)valutazione al fine d’individuare possibili margini di miglioramento (NOTA 59).

Così, data una serie di elementi, quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo:

- la necessità di ridurre al minimo gli oneri a carico delle imprese;

- l’onerosità rappresentata dall’obbligo di presentare una dichiarazione IVA entro 20 giorni dalla scadenza del periodo di imposta (trimestrale per le operazioni ricadenti nel regime);

- la necessità di limitare al minimo indispensabile gli adempimenti a carico delle imprese;

- la necessità di assicurare la riscossione effettiva ed efficace dell’imposta;

- l’evoluzione tecnologica e il conseguente incremento esponenziale del commercio elettronico;

tenuto conto delle proposte di modifica presentate, il Consiglio dell’Unione europea ha infine adottato la direttiva UE n. 2017/2455 del 5 dicembre 2017 "...che modifica la direttiva 2006/112/CE e la Direttiva 2009/132/CE per quanto riguarda taluni obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto per le prestazioni di servizi e le vendite a distanza dei beni".

Con tale direttiva il Consiglio interviene dunque, con effetto dal primo gennaio 2019, sulle direttive n. 2006/112/CE e n. 2009/132/CE (NOTA 60).

La prima importante novità è data dall’art. 1 della direttiva con il quale viene attuata un’importante revisione dell’art. 58 della direttiva n. 2006/112/CE. Con tale norma, è confermato, in primo luogo, che, per tutte le prestazioni di servizi per via elettronica (in particolare, quelle di cui all’allegato II alla direttiva), così come per le prestazioni di servizi di telecomunicazione e di tele radiodiffusione, rese a persone non soggetti passivi, il luogo della prestazione sia il luogo in cui la persona è stabilita oppure ha l’indirizzo permanente o la residenza abituale. Ciò vuol dire, ai fini della territorialità dell’imposta, che i servizi si intendono prestati (e quindi che sono territorialmente rilevanti ai fini IVA e ivi soggetti a imposizione) nel Paese di residenza dell’utilizzatore.

Pertanto, per i soggetti passivi con sede in altri Stati membri che prestano i suindicati servizi a committenti non soggetti passivi nazionali, questo significa che, come in passato, l’imposta dovuta in Italia andrà assolta dal prestatore non residente attraverso l’identificazione nel territorio dello Stato (in presenza dei requisiti di cui all’art. 35-ter del D.P.R. n. 633/1972) o con la nomina di un rappresentante fiscale. Speculare è il comportamento dei soggetti passivi italiani o stabiliti in Italia che erogano servizi TTE a committenti non soggetti passivi aventi indirizzo permanente o residenza abituale in altro Stato dell’Unione europea.

Per evitare le complicazioni e gli oneri che possono derivare dalla necessità di "attivare" molteplici identificazioni ai fini dell’imposta (quanti sono gli Stati membri di destinazione delle prestazioni), i suindicati soggetti passivi possono tuttavia continuare a optare, anche dopo la revisione in commento, per il regime speciale MOSS che permette di applicare ed eseguire il versamento dell’imposta dovuta nello Stato membro di consumo, direttamente dallo Stato membro di stabilimento.

A tutto quanto sopra è tuttavia prevista un’importante eccezione introdotta dalla direttiva UE n. 2017/2455.

Ai sensi del nuovo paragrafo 2, dell’art. 58, della direttiva n. 2006/112/CE, infatti, in caso di prestatore stabilito in un solo Paese membro che eroghi i servizi della specie a persone non soggetti passivi stabiliti in un Paese UE diverso da quello del prestatore e a condizione che il totale delle prestazioni di servizi rese nell’anno civile in oggetto e in quello precedente non superi l’importo di 10.000 euro per anno (o il controvalore in moneta nazionale), la disciplina appena illustrata non trova applicazione. Ricorrendo tali circostanze, in forza della nuova regola derogatoria, il Paese in cui l’operazione si considera territorialmente rilevante diviene il Paese in cui il prestatore ha stabilito la sede (o indirizzo o residenza abituale) con conseguente applicazione dell’IVA all’origine, e fatta comunque salva la possibilità, per tali operatori "minori", di optare per la tassazione a destinazione ossia nel Paese in cui l’operazione si considera rilevante in base alla regola base (anche aderendo al "regime MOSS"), vincolandosi a tale scelta per due anni.

In caso di superamento dell’importo di 10.000 euro, la norma (nuovo paragrafo 3 dell’art. 58) prevede tuttavia l’immediata applicazione del principio di tassazione nel Paese del committente, con l’ovvia (spiacevole) conseguenza di dover gestire, in corso d’anno, prestazioni di servizi rilevanti in parte nel Paese del prestatore e in parte nel Paese del committente che non sia soggetto passivo.

La direttiva UE n. 2017/2455, inoltre, con scelta condivisibile, interviene a sostituire l’art. 219-bis della direttiva n. 2006/112/CE, prevedendo, da un lato, che le norme in materia di fatturazione sono - regola generale - quelle applicabili nello Stato membro in cui si considera effettuata la cessione di beni o la prestazione di servizi, e, dall’altro lato, introducendo - in via di deroga -, la regola per cui alla fatturazione sono applicabili:

a) le norme nello Stato membro in cui il fornitore/prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica o dispone di una stabile organizzazione a partire dalla quale la cessione/prestazione viene effettuata o, in mancanza di tale sede o di tale stabile organizzazione, nello Stato membro del suo indirizzo permanente o della sua residenza abituale, quando:

- il fornitore/prestatore non è stabilito nello Stato in cui si considera effettuata la cessione di beni/prestazione di servizi, determinata in base alle disposizioni di cui al Titolo V ("Luogo delle operazioni imponibili") della direttiva n. 2006/112/CE e il debitore dell’IVA sia l’acquirente dei beni o il prestatore di servizi (salva l’emissione di autofattura in base alle regole vigenti nello Stato dell’acquirente);

- la cessione beni/prestazione di servizi non si considera effettuata all’interno dell’Unione europea conformemente a quanto previsto dal già citato Titolo V;

b) le norme dello Stato membro in cui è identificato il fornitore/prestatore che si avvale di uno dei regimi speciali di cui al titolo XII, capo 6 (fra cui il regime speciale per i fornitori di servizi TTE).

In pratica, quindi, per i prestatori di servizi TTE che non superano la soglia di 10.000 euro di valore delle prestazioni rese, le regole di fatturazione sono quelle del proprio Stato di stabilimento/residenza. Tali regole sono applicabili anche per i soggetti che aderiscono al regime MOSS, mentre si applicano le regole di fatturazione dello Stato in cui rileva la prestazione in base ai criteri di territorialità previsti, qualora il prestatore effettui operazioni di ammontare rilevante (oltre la soglia di 10 mila euro) e non abbia aderito al regime MOSS.

Altra significativa modifica alla direttiva n. 2006/112/CE è quella apportata all’art. 358-bis. La normativa previgente disponeva che i soggetti passivi non stabiliti in Paesi dell’Unione europea, ma registrati ai fini IVA in uno o più di essi, non potessero usufruire del regime speciale per i servizi elettronici per i soggetti passivi non stabiliti nella Comunità né del regime speciale applicabile in presenza di soggetti ivi stabiliti. L’identificazione quindi aveva come conseguenza l’impossibilità per gli operatori extraUE di accedere al regime speciale. Ora invece, grazie alla modifica introdotta alla richiamata norma, anche tali soggetti possono usufruire del regime speciale MOSS.

Gli interventi di cui sopra possono leggersi come parte di un più ampio disegno destinato a variare in misura significativa la disciplina IVA del commercio on line. È stata infatti rilevato un significativo vulnus rappresentato dalla mancata armonizzazione della disciplina IVA tra i vari Paesi con la presenza di obblighi, adempimenti e aliquote, diversi da Stato membro a Stato membro. È evidente quindi l’effetto distorsivo sulla concorrenza e il freno al mercato del commercio on line, che la Commissione vuole limitare cercando di armonizzare non solo il regime delle prestazioni di servizi TTE attraverso l’utilizzo generalizzato del regime speciale basato sul MOSS (salva applicazione dell’IVA all’origine per le attività "sotto soglia"), ma anche quello delle vendite a distanza di beni (come si dirà fra breve).

E, in effetti, la direttiva UE n. 2017/2455 si propone di sostituire l’attuale schema istituendo un nuovo modello normativo basato sul principio di tassazione nel luogo di stabilimento del cessionario/committente, secondo il principio di tassazione a destinazione, con l’unica eccezione rappresentata dalla tassazione nel luogo di stabilimento del cedente/prestatore nel caso in cui tale soggetto consegua, per due anni consecutivi, un "fatturato" da tali operazioni inferiore a 10.000 euro.

A livello di scansione temporale, nonostante l’entrata in vigore della disciplina per i servizi TTE sia fissata al primo gennaio 2019, il legislatore nazionale non ha ancora recepito con atto normativo le modifiche apportate (NOTA 61), determinando un forte senso d’incertezza negli operatori, i quali, in presenza di norme, come quelle sinteticamente commentate, che contengono previsioni sufficientemente chiare, precise e incondizionate, potrebbero ritenersi autorizzati ad adottare comportamenti già in linea con le nuove disposizioni (come potrebbe essere il caso delle prestazioni TTE sotto la soglia dei 10 mila euro).

 

4.1. Vendite a distanza e marketplace

Minori incertezze riguardano, invece, la decorrenza delle modifiche al regime di tassazione delle cosiddette vendite a distanza di beni che, unitamente alla revisione delle regole per i servizi TTE, completano il quadro della prossima disciplina delle attività on line. Con l’espressione "vendite a distanza", come noto, s’intendono le vendite a consumatori finali stabiliti in altri Stati UE di beni che sono spediti o trasportati in nome e/o per conto del fornitore e che sono sempre più frequentemente realizzate ricorrendo a modalità elettroniche. Per tali cessioni, che sono disciplinate dagli artt. 40, comma 3 e 41, comma 1, lett. b) del D.L. n. 331/1993 (cui si rinvia per maggiori dettagli), è prevista una deroga in relazione ai criteri di territorialità, essendo le ridette operazioni tassate nel Paese di destinazione, a meno che l’importo non risulti inferiore a una determinata soglia. In tal caso, le vendite si considerano rilevanti (e quindi, tassate) ai fini IVA nello Stato membro di partenza, salvo opzione per la tassazione nel Paese di arrivo dei beni.

Per effetto della direttiva UE n. 2017/2455, a partire dal primo gennaio 2021, nel perseguimento dell’obiettivo di rendere meno complesso e oneroso il commercio transfrontaliero dei beni, è previsto che, in analogia a quanto disposto per i servizi TTE, le vendite a soggetti che non sono soggetti passivi (privati, in primis) con trasporto/spedizione a nome e/o cura del fornitore (o quando il fornitore interviene indirettamente nel trasporto/spedizione), se di ammontare non superiore (nell’anno in corso e in quello precedente) alla soglia - unica per tutti gli Stati membri - di 10.000 euro (NOTA 62), siano soggette a tassazione nello Stato del cedente (NOTA 63) (salvo opzione per la tassazione a destino, azionabile anche in caso di mancato superamento dell’importo-soglia). Al supero del limite monetario, invece, le vendite divengono obbligatoriamente rilevanti nel Paese di destinazione, ma il cedente, in tal caso, potrà accedere al regime MOSS già previsto per i servizi TTE, evitando così d’identificarsi ai fini dell’imposta nei singoli Paesi in cui sono eseguite le vendite e adottando le regole di fatturazione del proprio Stato membro.

Al fine di rendere sicuro e concorrenziale il sistema delle vendite a distanza realizzate tramite mezzi elettronici, la direttiva UE n. 2017/2455 ha inoltre introdotto, sempre dal 2021, la responsabilità per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto a carico delle piattaforme digitali (si tratta dei cosiddetti marketplace ovverossia soggetti passivi che facilitano, tramite l’uso di un’interfaccia elettronica quale un mercato, una piattaforma, un portale o simili, le vendite a distanza). Preso atto che sempre più le vendite on line verso acquirenti non soggetti passivi (B2C) sono veicolate tramite intermediari telematici e che sono altresì rilevanti i fenomeni di frode ed evasione dell’imposta, il Consiglio ha quindi ritenuto di conferire a tali soggetti un ruolo decisivo ai fini della riscossione dell’IVA, "disponendo che essi siano considerati le persone che effettuano le vendite in questione" (settimo "considerando" della direttiva UE n. 2017/2455).

In tal modo, il marketplace viene considerato, ai fini IVA e con un’evidente finzione giuridica, come il soggetto passivo che acquista e cede i beni, siano essi importati da Paesi terzi e oggetto di vendita a distanza ovvero ceduti da soggetti stabiliti al di fuori dell’Unione europea nei confronti di una persona che non è un soggetto passivo (così il nuovo art. 14-bis introdotto nella direttiva n. 2006/112/CE).

Nel caso dei beni importati, la disposizione ha un effetto limitato alle cessioni di beni aventi un valore intrinseco non superiore a 150 euro (mentre per le operazioni di valore superiore è richiesta una dichiarazione doganale completa nel momento del superamento dei confini dell’Unione europea).

Inoltre, al fine di evitare distorsioni della concorrenza tra soggetti stabiliti all’interno e all’esterno dell’Unione europea oltre che per ovvii motivi di gettito, è stata prevista anche l’abolizione - sempre dal 2021 - dell’esenzione IVA per i beni oggetto di piccole spedizioni di modico valore (massimo 10 euro) di cui alla Direttiva 2009/132/CE.

Il legislatore italiano ha (frettolosamente e parzialmente (NOTA 64) ) recepito la direttiva con il D.L. 14 dicembre 2018, n.135, all’art. 11-bis commi da 11 a 15, in vigore dal 13 febbraio 2019. Tali disposizioni prevedono che

"11. Se un soggetto passivo facilita, tramite l'uso di un'interfaccia elettronica quale un mercato virtuale, una piattaforma, un portale o mezzi analoghi, le vendite a distanza di telefoni cellulari, console da gioco, tablet PC e laptop, importati da territori terzi o Paesi terzi, di valore intrinseco non superiore a euro 150, si considera che lo stesso soggetto passivo abbia ricevuto e ceduto detti beni.

12. Se un soggetto passivo facilita, tramite l'uso di un'interfaccia elettronica quale un mercato virtuale, una piattaforma, un portale o mezzi analoghi, le cessioni di telefoni cellulari, console da gioco, tablet PC e laptop, effettuate nell'Unione europea da un soggetto passivo non stabilito nell'Unione europea a una persona che non è un soggetto passivo, si considera che lo stesso soggetto passivo che facilita la cessione abbia ricevuto e ceduto detti beni.

13. Ai fini dell'applicazione dei commi 11 e 12, si presume che la persona che vende i beni tramite l'interfaccia elettronica sia un soggetto passivo e la persona che acquista tali beni non sia un soggetto passivo..."

Tralasciando la complessità delle problematiche applicative che la nuova disposizione determinerà, soprattutto se non adeguatamente e coerentemente conformata alle norme comunitarie, è comunque evidente la centralità del ruolo del marketplace all’interno della catena commerciale e la sua posizione di solidarietà debitoria dell’IVA, confermata e ribadita dal D.L. 30 aprile 2019, n. 34 (convertito nella L. 28 giugno 2019, n. 58) che, pur rinviando al primo gennaio 2021 l’entrata in vigore della norma (allineandola così a quella della direttiva UE n. 2017/2455), si premura d’individuare anche una serie di obblighi comunicativi a carico dei marketplace che vengono ritenuti debitori (IVA) per le vendite a distanza per le quali non siano state trasmesse o siano state trasmesse in maniera incompleta le informazioni obbligatoriamente dovute, a meno che non si dimostri che l’imposta è stata assolta dal fornitore.

Tali adempimenti comunicativi (peraltro, non limitati ai soli beni individuati dal D.L. n. 135 del 2018 e riguardanti anche le vendite effettuate nel periodo dal 13 febbraio (NOTA 65) al primo maggio 2019 (NOTA 66) ) sono previsti come obbligatori fino al 31 dicembre 2020, ossia fino al giorno precedente l’entrata in vigore della direttiva UE n. 2017/2455. Il primo invio (a regime, gli invii avranno cadenza trimestrale e dovranno essere eseguiti entro il giorno 20 del mese successivo a ciascun trimestre), inizialmente previsto entro il mese di luglio 2019, è stato differito e il relativo termine è rimesso a un apposito Provvedimento dell’Agenzia delle entrate che dovrà stabilire modalità e termini delle comunicazioni.

L’Amministrazione finanziaria è infine intervenuta per definire modalità e termini degli obblighi comunicativi a carico delle piattaforme digitali (marketplace) che facilitano le vendite a distanza di beni all’interno dell’Unione europea e quelle di beni importati da Paesi o territori terzi. In data 31 luglio 2019 è stato pubblicato, infatti, il Provvedimento n. 660061/2019, il quale, oltre a confermare l’obbligo di presentazione trimestrale dei dati delle predette operazioni (il termine è la fine del mese successivo a ciascun trimestre), ha previsto che, in sede di prima applicazione, l’adempimento sia eseguito entro il prossimo 31 ottobre. Entro tale termine, pertanto, dovranno essere comunicate sia le vendite a distanza (facilitate dal marketplace) di ogni tipologia di beni, poste in essere nel periodo dal primo maggio 2019 (data d’entrata in vigore del D.L. n. 34/2019) al 30 settembre 2019, sia le analoghe cessioni effettuate fra il 13 febbraio 2019 (data d’entrata in vigore dell’art. 11-bis del D.L. n. 135/2018) e il 30 aprile scorso, ma solo se aventi per oggetto telefoni cellulari, console da gioco, tablet PC e laptop (ovverossia i beni individuati dal predetto art. 11-bis, comma 11). L’obbligo comunicativo (che riguarda anche i soggetti non residenti, i quali, se privi di stabile organizzazione in Italia, dovranno nominare un rappresentante fiscale ovvero identificarsi direttamente ai fini IVA per poter adempiere) prevede che siano trasmessi (servendosi dei servizi Entratel o Fisconline) i dati richiesti al punto 3.1 del Provvedimento. Si tratta dei riferimenti identificativi di ciascun fornitore, del numero totale delle unità vendute in Italia e, per tali unità, l’ammontare totale dei prezzi di vendita o, in alternativa, il prezzo medio di vendita, espressi in euro. Oltre a definire le circostanze in cui si considera che il marketplace faciliti (o non faciliti) le operazioni in questione, il Provvedimento interviene anche a meglio definire la responsabilità per il debito d’imposta (prevista dall’art. 13, comma 3, del D.L. n. 34/2019) conseguente all’omessa trasmissione dei dati o alla trasmissione di dati incompleti. In particolare, ai sensi del punto 3.5 del Provvedimento, è disposto che, in caso di mancata trasmissione dei dati, il soggetto passivo non sia considerato debitore dell’imposta, se è dimostrato che questa è stata assolta dal fornitore. In caso di trasmissione di dati incompleti, invece, il soggetto passivo sfugge alla responsabilità se dimostra di aver adottato tutte le misure necessarie per rilevare correttamente e individuare i dati sulla piattaforma digitale.

Tornando ora alle prospettive future sulla specifica materia, la Commissione non ritiene ancora terminato il proprio lavoro e così, in data 11 dicembre 2018, ha prodotto una nuova proposta di direttiva (NOTA 67) "che modifica la direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 per quanto riguarda le disposizioni relative alle vendite a distanza di beni e a talune cessioni nazionali di beni".

In questa proposta, preso atto delle modifiche e innovazioni contenute nella direttiva UE n. 2017/2455 con particolare riguardo ai marketplace, sono stabilite le norme aggiuntive necessarie per sostenere le modifiche in vigore dal primo gennaio 2021 (NOTA 68) che non possono essere supportate dal regolamento di esecuzione UE n. 282/2011 del Consiglio, a sua volta oggetto della proposta di modifica contenuta nel documento COM(2018) 821 final dell’11 dicembre 2018 che (fra l’altro) individua le disposizioni attuative in materia di interfacce elettroniche (NOTA 69).

Gli organi comunitari prendono quindi atto che, in presenza di un marketplace attraverso il quale vengono ceduti a persone non soggetti passivi beni con valore intrinseco inferiore a 150 euro e importati da Paesi terzi o beni commercializzati da soggetti passivi non stabiliti nell’Unione europea (ai sensi dell’art. 14-bis, par. 1 e 2, della direttiva n. 2006/112/CE), si assume che, in base alla già citata finzione giuridica, lo stesso soggetto passivo che facilita la cessione abbia acquistato e ceduto i detti beni. In tal modo, si realizza l’effetto di frazionare l’operazione commerciale, individuando:

- una prima cessione B2B (dal cedente all’interfaccia elettronica - marketplace);

- una seconda cessione B2C (dall’interfaccia elettronica all’acquirente - consumatore finale, con spedizione o trasporto imputata a quest’ultima).

Ciò però comporterebbe ulteriori oneri amministrativi per le imprese interessate oltre al rischio di un minor gettito IVA a seguito del pagamento dell’imposta da parte dell’interfaccia elettronica al cedente che vende i beni tramite l’interfaccia stessa. Per ovviare a tale ultima problematica, è proposto che la

cessione dal venditore che vende i beni tramite l’interfaccia elettronica, sia considerata esente da imposta, ma con diritto alla detrazione per tale soggetto.

Per alleviare gli oneri amministrativi, la proposta osserva invece che, secondo quanto stabilito dall’art. 369-ter della direttiva n. 2006/112/CE, lo sportello unico può essere utilizzato esclusivamente per dichiarare e versare l’IVA sulle vendite a distanza intracomunitarie di beni e non sulle cessioni nazionali.

Per tale motivo, in presenza di soggetti passivi - cedenti i beni tramite marketplace - che hanno depositi in diversi Stati membri a partire dai quali effettuano cessioni nazionali, le interfacce elettroniche sarebbero tenute a identificarsi in tutti i suddetti Stati membri per contabilizzare l’IVA sulle cessioni nazionali, con conseguente vanificazione delle semplificazioni derivanti dall’introduzione dello sportello unico.

Il documento propone quindi di utilizzare lo sportello unico anche per tutte le cessioni nazionali effettuate dalle interfacce elettroniche.

 

5. Tabella riepilogativa

Tipo atto Direttiva Regolamento Normativa nazionale
COM(2016) 148 del 7 aprile 2016 - contiene il piano d'azione sull'IVA, fissando le due tappe legislative che condurranno al sistema definitivo dell'imposta.
COM(2016) 755, 756 e 757 del 1° dicembre 2016 - contengono proposte per la modernizzazione del sistema IVA per il commercio elettronico. Direttiva UE n. 2017/2455 del 5 dicembre 2017 - contiene la nuova regolamentazione dei servizi elettronici transfrontalieri (con effetto dal 1° gennaio 2019) e delle vendite a distanza di beni, compresa la regolamentazione dei marketplace (con effetto dal 1° gennaio 2021). Le norme in materia di servizi elettronici non risultano ancora recepite nell'ordinamento interno.

Quelle sui marketplace sono state introdotte (parzialmente) con il D.L. n. 135/2018 e successivamente modificate e rinviate dal D.L. n. 34/2019.

C0M(2016) 811 del 21 dicembre 2016 - contiene disposizioni per l'introduzione di un meccanismo di reverse charge generalizzato in funzione anti-frode. Direttiva UE n. 2018/2057 del 20 dicembre 2018 - introduce la possibilità del reverse charge in funzione anti-frode per le operazioni sopra 17.500 euro.

Direttiva UE n. 2018/1965 del 6 novembre 2018 - permette di estendere il reverse charge facoltativo per le operazioni relative a determinati beni e servizi (con effetto dal 2 dicembre 2018).

In sede di conversione in legge del D.L. n. 119/2018, il legislatore nazionale ha prorogato il reverse charge per le operazioni di cui all'art. 17, comma 8, del D.P.R. n. 633/1972, fino al 30 giugno 2022.
C0M(2017) 566 del 4 ottobre 2017 - contiene il seguito del piano d'azione sull'IVA e riferisce delle iniziative intraprese e da intraprendere.
Tipo atto Direttiva Regolamento Norma nazionale
COM(2017) 569 del 4 ottobre 2017 - introduce il concetto di soggetto passivo certificato (CTP) e segnala quattro linee d'intervento (quick fixes) in materia di numero identificativo IVA, call off stock, operazioni a catena e prova delle cessioni

intracomunitarie.

Direttiva UE n. 2018/1910 del 4 dicembre 2018 - contiene le disposizioni in materia di numero identificativo IVA, call off stock e transazioni a catena (con effetto dal 1° gennaio 2020). Regolamento UE n. 2018/1912 del 4 dicembre 2018 - contiene disposizioni esecutive in materia di registro per le movimentazioni di beni in regime di call off stock (con effetto dal 1° gennaio 2020).

Regolamento UE n. 2018/1909 del 4 dicembre 2018 - contiene norme sullo scambio d'informazioni tra Stati membri per le operazioni in regime di call off stock (con effetto dal 1° gennaio 2020).

COM(2017) 568 del 4 ottobre 2017 - contiene modifiche al regime delle prove del trasferimento dei beni nelle cessioni intracomunitarie. Regolamento UE n. 2018/1912 del 4 dicembre 2018 - contiene modifiche alle disposizioni esecutive per le prove del trasferimento dei beni nelle cessioni intracomunitarie (con effetto dal 1° gennaio 2020). 31
COM(2017) 567 del 4 ottobre 2017 - contiene regole per l'implementazione del sistema VIES con le informazioni sui soggetti passivi certificati (CTP).
Tipo atto Direttiva Regolamento Norma nazionale
COM(2018) 20 del 18 gennaio 2018 - contiene proposte di modifica in materia di aliquote IVA. Direttiva UE n. 2018/912 del 22 giugno 2018 - fissa permanentemente l'aliquota IVA ordinaria minima al 15 per cento (con effetto dal 17 luglio 2018).

Direttiva UE n. 2018/1713 del 6 novembre 2018 - contiene disposizioni in materia di aliquota IVA ridotta per l'editoria elettronica (con effetto dal 26 novembre 2018).

COM(2018) 21 del 18 gennaio 2018 - contiene proposte in materia di disciplina delle PMI.
COM(2018) 329 del 25 maggio 2018 - contiene le modifiche tecniche da apportare alla direttiva n. 2006/112/CE in vista dell'avvio della seconda tappa intermedia della prima fase del passaggio al regime definitivo (con effetto dal 1° luglio 2022).
Regolamento UE n. 2018/1541 del 2 ottobre 2018 - contiene disposizioni in materia di rafforzamento della cooperazione amministrativa per la lotta alle frodi.
Direttiva UE n. 2019/475 del 18 febbraio 2019 - contiene disposizioni sull'inclusione nel territorio doganale UE del Comune di Campione d'Italia e delle acque nazionali del lago di Lugano (con effetto dal 1° gennaio 2020).

 

CAPITOLO II - "LA PROVA DELLE CESSIONI INTRACOMUNITARIE E LA DISCIPLINA DELLE OPERAZIONI TRIANGOLARI TRA PRASSI, GIURISPRUDENZA E NUOVE DIRETTIVE UE; UNIFORMITÀ A LIVELLO NAZIONALE DEI PROCESSI AZIENDALI E DEGLI APPROCCI IN VERIFICA - INIZIATIVA LEGISLATIVA PER LA PREVENZIONI DELLE FRODI"

 

Presentazione

 

La prova della avvenuta consegna in altro paese della UE da parte del cedente italiano ha da sempre assunto un ruolo centrale nella regolamentazione fiscale dei rapporti B2B, in quanto presupposto della non applicazione dell’IVA italiana, e negli ultimi anni ha dato origine ad una ridda di interpretazioni in fase di constatazione da parte di Guardia di Finanza ed Agenzia delle Dogane, e da parte della Agenzia Entrate in fase accertativa, che sta trasformandosi in contenzioso a fronte del quale sarebbe importante e necessaria una sostanziale unanimità di intenti da parte delle Commissioni adite su scala nazionale.

Quanto sopra riportato è generato "apparentemente" dalla discrezionalità che la Direttiva 2006/112 CE e la Giurisprudenza Comunitaria hanno lasciato al legislatore nazionale di normare la prova della avvenuta consegna in altro paese della UE.

La locuzione "apparentemente" è utilizzata volutamente in quanto, come riportato nel presente capitolo, la situazione è oltremodo chiara ed il potenziale contenzioso è generato sia dalla tendenza da parte delle imprese di non adottare chiari ed univoci processi nella acquisizione delle necessaria documentazione e sia dal tentativo, a volte maldestro, dei verificatori di ricondurre operatività assolutamente legittime a situazioni potenzialmente meritevoli di sanzioni e di recupero dell’imposta nazionale non addebitata.

Esiste quindi una necessità di riordino di tale questione, allo scopo di radicare una documentazione interpretativa che "faccia il punto" su questa particolare ed importante disciplina e che consenta al CNDCEC, anche attraverso i tavoli regionali costituiti con le DRE, di fare adottare, in primis, alla Agenzia delle Entrate procedure operative uniformi su tutto il territorio nazionale a garanzia e tutela, contemporaneamente, degli interessi erariali e della operatività di aziende e professionisti, se conformi.

Tale necessità deve essere maggiormente avvertita per potere serenamente apprezzare, interpretare ed applicare le novità, in vigore dal 2020, introdotte dalle nuove Direttive comunitarie in materia di IVA, oggetto di ampia disamina nel precedente capitolo e qui di seguito brevemente richiamate. In tale contesto l’internalizzazione del commercio ha promosso e incrementato le c.d. "transazioni a catena" in cui, a fronte di un unico trasporto di beni da un Paese membro ad un altro, intervengono tre o più operatori identificati in differenti Paesi membri (da qui la denominazione di "triangolazioni comunitarie") con la partecipazione, a volte, di soggetti residenti fuori della UE.

Le Amministrazioni finanziarie sono intervenute con atti di prassi contro tale fenomeno ma ancor di più lo ha fatto la Corte di giustizia UE interpretando le norme della Direttiva IVA per arginare la deriva delle frodi ed in particolare le c.d. "frodi carosello", non oggetto di trattazione specifica di questo documento.

Nella consapevolezza dell’esistenza di tale fenomeno fraudolento, al termine della trattazione del presente capitolo viene comunque presentata una bozza di iniziativa legislativa volta alla prevenzione delle frodi in alcune particolari operazioni triangolari

 

1. Lo status quo a livello normativo

 

La disciplina normativa di cui trattasi affianca idealmente il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 istitutivo dell’IVA nella disciplina specifica e temporanea (NOTA 70) delle cessioni intracomunitarie; più specificamente, ai sensi dell’art. 41, comma 1, lettera a), del D.L. n. 331 del 1993, costituiscono cessioni non imponibili (in quanto soggette, attraverso il meccanismo del reverse charge o integrazione del documento originario all’imposta del paese di destinazione n.d.r.) quelle a titolo oneroso di beni trasportati o spediti nel territorio di un altro Stato membro dell’UE dal cedente, dall’acquirente o da terzi per loro conto, nei confronti di soggetti passivi IVA.

Pertanto, ai fini della realizzazione di una cessione intracomunitaria, con conseguente emissione di fattura non imponibile IVA, devono sussistere congiuntamente i seguenti requisiti:

- onerosità dell’operazione;

- acquisizione o trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto reale sui beni;

- status di operatore economico del cedente nazionale e del cessionario comunitario (NOTA 71);

- effettiva movimentazione del bene dall’Italia ad un altro Stato membro dell’UE, indipendentemente dal fatto che il trasporto o la spedizione avvengano a cura del cedente, del cessionario o di terzi per loro conto.

In mancanza anche di uno solo di tali requisiti, la cessione è imponibile IVA, secondo un evidente principio, immanente nella disciplina delle cessioni comunitarie, di piena operatività surrettiziamente definita, del citato D.P.R. n. 633/1972 stesso ove, in fase attuativa dell’operazione potenzialmente non imponibile, si "esca" dalla disciplina speciale del D.L. 331 del 1993.

La Direttiva 2006/112/CE non specifica, allo stato attuale delle cose, in che modo debba essere provato il rispetto dei requisiti per la dimostrazione dell’invio dei beni all’estero, spettando, quindi, agli Stati membri determinare le condizioni per assicurare la corretta applicazione del regime di non imponibilità e prevenire eventuali abusi.

In particolare la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenze della Corte di Giustizia del 27 settembre 2007 in causa C-146/05, punti da 24 a 26 e in causa C-184/05, punti da 25 a 27) ha integrato e chiarito che spetta agli Stati membri individuare i mezzi di prova idonei che il contribuente è tenuto a fornire al fine di dimostrare l’effettività delle cessioni intracomunitarie e, in particolare, l’invio dei beni ad un soggetto identificato ai fini IVA in altro Stato membro, che diviene quindi l’elemento dirimente conclusivo per potere ritenere l’operazione non imponibile ai sensi di legge, in quanto gli altri requisiti sono sempre on top rispetto alla consegna. L’unico limite imposto ai Paesi membri nell’individuazione dei mezzi di prova è rappresentato dal rispetto dei principi fondamentali del diritto comunitario, quali la neutralità dell’imposta (NOTA 72), la certezza del diritto e la proporzionalità delle misure adottate.

I giudici comunitari hanno precisato, altresì, che spetta al fornitore dei beni dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti, in quanto l’onere della prova del diritto di fruire di una deroga o di un’esenzione fiscale (nel caso di specie del diritto alla non imponibilità IVA della cessione) grava su colui che chiede di fruire del siffatto diritto (sentenza 27/09/2007 causa C- 409/04, Teleos e, da ultimo, sentenza 06/09/2012 causa C- 273/11, Mecsek-Gabona).

È invece di competenza degli Stati membri stabilire quali siano i mezzi di prova idonei a dimostrare l’effettiva sussistenza di una cessione comunitaria, nel rispetto dei principi di neutralità dell’imposta, certezza del diritto e proporzionalità delle misure adottate.

La legge italiana non contiene una specifica previsione in merito ai documenti che il cedente deve conservare ed eventualmente esibire in caso di controllo per provare l’avvenuto trasferimento del bene in un altro Stato comunitario. (NOTA 73)

Quanto sopra vale specialmente nelle vendite regolate dalla clausola di resa "ex works" nella quale è il cessionario che organizza e paga il trasporto dei beni dalla "fabbrica" del cedente alla destinazione indicata dal cessionario (NOTA 74).

Per trovare una compiuta attuazione tecnica di quanto previsto normativamente dall’art. 41 del D.L. n. 331/1993 occorre effettuare un rapido excursus delle prese di posizione, coerenti ed univoche, della Agenzia delle Entrate in materia, con un occhio anche alla circolare n. 1 del 2018 del Comando generale della Guardia di Finanza per verificarne la coerenza con la suddetta prassi.

Nonostante, come si vedrà nel prosieguo, la Prassi di provenienza degli organi della Amministrazione Finanziaria sia sostanzialmente univoca, si è ingenerato un notevole contenzioso a causa di puntuali "riletture" in fase di verifica ed è quindi importante verificare qualche sentenza di merito per riposizionare anche e soprattutto l’incombenza sui verificatori dell’A.F. dell’onus probandi, qualora si tenti di scavalcare le prove documentali prodotte dai contribuenti.

 

1.1. L’scrizione al Vies della controparte (per ora non determinante nella formazione dei requisiti per la non imponibilità della cessione intracomunitaria)

Sulla questione della obbligatorietà e tassatività della vigenza della iscrizione al VIES (VAT Information Exchange System) della controparte di una cessione intracomunitaria al fine di accertarne la non imponibilità si sono affastellate norme, semplificazioni e prese di posizione della Corte di Giustizia UE che, almeno sino al 1° gennaio 2020, hanno reso non determinante tale iscrizione, privilegiando tesi sostanzialistiche di prova di esercizio di attività di impresa della controparte.

La tesi sposata storicamente dall’Agenzia delle entrate che dequalificava, alla stregua di operazioni interne, le operazioni intracomunitarie effettuate dai non iscritti al VIES, non è mai stata pienamente convincente, poiché oltre a non trovare riscontro in una puntuale disposizione normativa, contrasta palesemente con alcune disposizioni tanto nazionali quanto comunitarie, nonché, come vedremo, con l’impostazione sostanzialista della Giurisprudenza comunitaria.

Peraltro, le novità introdotte dal decreto semplificazioni (art. 22, D.Lgs. 175/2014) si sono limitate a rendere immediata l’iscrizione nel VIES (oltre a prevedere l’uscita in caso di inattività "Intrastat" per quattro trimestri consecutivi) senza risolvere, tuttavia, le criticità per chi dovesse operare in buona fede dimenticando l’iscrizione (rectius "autorizzazione") (NOTA 75).

Su questo argomento, da subito la corte di Giustizia UE ha assunto un indirizzo sostanzialistico (sentenza del 6/9/2012 in causa C-324/11 (§ 30 e 31)) secondo cui la nozione di soggetto passivo (operatore economico) contenuta nell’art. 9 della Direttiva 2006/112/CE è molto ampia e tale status non può dipendere da qualsivoglia autorizzazione o licenza concessa dall’amministrazione ai fini dell’esercizio dell’attività.

Secondo la Corte di Giustizia UE, infatti, l’obbligo di cui all’art. 213 della Direttiva 2006/112/CE di dichiarare l’inizio, il cambiamento e la cessazione della propria attività in qualità di soggetto passivo non può, inoltre, costituire una condizione supplementare richiesta ai fini dello status di soggetto passivo Iva.

Questo indirizzo è stato confermato dalla sentenza della Corte di giustizia UE del 9 febbraio 2017, causa C-21/16 secondo cui "L’art. 131 e l’art. 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE ........ devono essere interpretati nel senso che ostano a che l’amministrazione tributaria di uno Stato membro neghi l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto di una cessione intracomunitaria per il solo motivo che, al momento di tale cessione, l’acquirente, domiciliato sul territorio dello Stato membro di destinazione e titolare di un numero di identificazione di imposta sul valore aggiunto valido per le operazioni in tale Stato, non è iscritto al sistema di scambio di informazioni in materia di imposta sul valore aggiunto e non è assoggettato ad un regime di tassazione degli acquisti intracomunitari, allorché non esiste alcun serio indizio che lasci supporre l’esistenza di una frode ed è dimostrato che sono soddisfatte le condizioni sostanziali dell’esenzione".

Viene quindi ribadito che l’iscrizione al VIES del soggetto passivo Iva non è una condizione sostanziale per l’applicazione della non imponibilità Iva, sempreché ne siano soddisfatte le condizioni essenziali (cedente/cessionario soggetti passivi Iva, fuoriuscita del bene, bene nella disponibilità del cessionario).

Va segnalato altresì che anche l’Agenzia delle entrate, in occasione di un videoforum con la stampa specializzata avvenuto in data 23 gennaio 2019, ha riconosciuto la validità dell’indirizzo della giurisprudenza comunitaria, a conferma che la mancata iscrizione al VIES costituisce solo una violazione formale.

 

1.2. L’scrizione al Vies della controparte obbligatoria dal 1° gennaio 2020 La direttiva 2018/1910/UE del 4 dicembre 2018 che modifica la direttiva 2006/112/CE (Direttiva IVA), i cui effetti decorrono dal 1° gennaio 2020 (NOTA 76), stabilisce che l’iscrizione del soggetto passivo nell’Archivio VIES diventi una condizione sostanziale per l’applicazione dell’esenzione [rectius: della non imponibilità] anziché un requisito formale".

Si chiarisce, inoltre, (NOTA 77) che "l’inserimento nell’elenco VIES è essenziale per informare lo Stato membro di arrivo della presenza dei beni nel suo territorio ed è pertanto un elemento chiave nella lotta contro la frode nell’Unione. Per questo motivo gli Stati membri dovrebbero garantire che, qualora il cedente non rispetti i suoi obblighi di inserimento nell’elenco VIES, l’esenzione non si applichi, salvo quando il cedente agisce in buona fede".

Anche tale adempimento deve essere compiutamente recepito da imprese e professionisti allo scopo di non incorrere in infrazioni sostanziali a decorrere dal 1° gennaio 2020.

Per tale ragione il presente documento deve costituire uno stimolo alla revisione dei processi di controllo che precedono ogni cessione intracomunitaria.

 

2. La evoluzione della prassi della Agenzia delle Entrate

 

Per quanto riguarda tale importante e delicato aspetto, l’evoluzione della prassi dell’Agenzia delle Entrate in materia di prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria in relazione alla prova dell’avvenuto trasporto da uno stato all’altro della UE si trova esposta nella Risposta n. 100 del 2019, contenuta nel sito della Agenzia delle Entrate nell’apposita sezione degli Interpelli, pubblicati ai sensi del Provvedimento prot. n. 185630/2018 del 7 aprile 2018 (NOTA 78).

Di seguito vengono citati alcuni passaggi fondamentali di tale documento:

"La legge italiana non contiene una specifica previsione in merito ai documenti che il cedente deve conservare ed eventualmente esibire in caso di controllo per provare l’avvenuto trasferimento del bene in un altro Stato comunitario. In proposito, sono ancora attuali le indicazioni di cui alle risoluzioni n. 345/E del 28 novembre 2007 e n. 477/E del 15 dicembre 2008.

In particolare, secondo la risoluzione n. 345/E del 2007, al fine di dimostrare l’avvenuta spedizione di merci in altro paese comunitario, occorre conservare la seguente documentazione fiscale e contabile:

- la fattura di vendita all’acquirente comunitario;

- gli elenchi riepilogativi relativi alle cessioni intracomunitarie effettuate;

- il documento di trasporto "CMR" firmato dal trasportatore per presa in carico della merce e/o dal destinatario per ricevuta;

- la rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento della merce.

Con risoluzione n. 477/E del 2008, in materia di cessioni intracomunitarie "franco fabbrica", in cui i beni vengono consegnati al vettore indicato dal cliente, è stato chiarito che non esiste un vincolo rigido in ordine alla prova da fornire, in quanto "Ai fini della prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria e dell’uscita dei beni dal territorio dello Stato, la risoluzione n. 345 del 2007 ha indicato l’esibizione del documento di trasporto a titolo meramente esemplificativo".

Pertanto, "(...) nei casi in cui il cedente nazionale non abbia provveduto direttamente al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova di cui sopra potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro".

Inoltre, con la risoluzione 19/E del 25 marzo 2013, sempre con riferimento alle cessioni "franco fabbrica", è stato precisato che "(...) alla luce dell’evoluzione della prassi commerciale, la scrivente ritiene che il CMR elettronico, avente il medesimo contenuto di quello cartaceo, costituisca un mezzo di prova idoneo a dimostrare l’uscita della merce dal territorio nazionale. Analogamente si concorda con la tesi dell’istante secondo cui costituisce un mezzo di prova equivalente al CMR cartaceo, un insieme di documenti dal quale si possono ricavare le medesime informazioni presenti nello stesso e le firme dei soggetti coinvolti (cedente, vettore, e cessionario)".

Tali documenti, per essere idonei a fornire la prova della cessione intracomunitaria devono essere "(...)

conservati congiuntamente alle fatture di vendita, alla documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle predette cessioni, alla documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e agli elenchi Intrastat".

Ciò posto, in linea con i chiarimenti sopra richiamati, si ritiene che la documentazione prodotta dall’istante può costituire prova dell’avvenuta cessione a condizione che:

1) dai descritti documenti siano individuabili i soggetti coinvolti (ovvero cedente, vettore e cessionario) e tutti i dati utili a definire l’operazione a cui si riferiscono;

2) si provveda a conservare le relative fatture di vendita, la documentazione bancaria attestante le somme riscosse in relazione alle precedenti cessioni, la documentazione relativa agli impegni contrattuali assunti e gli elenchi Intrastat."

Dall’esame comparato di quanto sopra esposto emerge in modo molto chiaro che, specialmente nelle vendite con clausola ex works, sia molto importante fornire dimostrazione dell’avvenuto trasporto in altro stato della UE, visto che il trasporto stesso non è pagato né organizzato dal cedente.

Tale dimostrazione può essere fornita con la copia della lettera di vettura internazionale (elettronica o cartacea) CMR (nota 79) firmata per ricevuta dal cliente ubicato nell’altro Stato UE, che costituisce, a tutti gli effetti, il documento principe per la dimostrazione dell’avvenuta consegna in altro Stato della UE.

Nelle spedizioni con clausola ex works, in mancanza di tale documento la prova può essere fornita, allo stato attuale della normativa (inesistente) e della Prassi codificata, con le c.d. "prove alternative", così come identificate nel box precedente.

 

3. La evoluzione della prassi della Guardia di Finanza

 

Con circolare n. 1/2018 (Protocollo 357600 del 27 novembre 2017), denominata Manuale operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, il Comando Generale della Guardia di Finanza ha emanato copiosissime istruzioni operative ai Reparti operanti sul territorio italiano.

All’interno di tale documentazione non si trova traccia di istruzioni operative ai militari in verifica in materia di prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria (nota 80), se non un generico riferimento alla norma dell’art. 41 del D.L. 331/1993 effettuato alle pagg. 158 e segg. del Volume terzo.

Grandissima rilevanza viene data, invece, alle c.d. "frodi a carosello" comunitarie, oggetto di altro intervento da parte di questa Commissione del CNDCEC.

La tendenza che si sta purtroppo notando nel corso delle ultime verifiche da parte dei militari della Guardia di Finanza è quella di dare eccessiva importanza e dignità di prova a eventuali dichiarazioni rilasciate da terzi a verbale a confutazione delle prove documentali reperite presso le aziende relativamente alle operazioni di cessione intracomunitaria.

Anche ai militari verbalizzanti andrebbero fornite dettagliate ed univoche informazioni ed indirizzi allo scopo di valorizzare l’adeguatezza o meno della documentazione acquisita, in conformità alla prassi poc’anzi citata, con una corrispondente raccomandazione in termini di inversione dell’onere della prova a carico dei Verbalizzanti per la confutazione della documentazione stessa acquisita in verifica. Per l’esame di alcuni aspetti ed enunciazioni di principi giuridici riguardo a tali particolari fattispecie si rinvia alla parte relativa all’esame della giurisprudenza di merito.

 

4. Recenti pronunciamenti giurisprudenziali in materia di prova della cessione intra comunitaria

 

A fronte del copioso contenzioso in essere, specialmente in Lombardia, innescato da verifiche della Agenzia delle Dogane e della Guardia di Finanza, anche a margine di indagini aventi rilevanza penale, vale la pena di citare, per completezza e chiarezza, alcuni passi di una recente sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Milano (nota 81), che conferma un costante e chiaro indirizzo giurisprudenziale anche della Corte di Cassazione (vedi ex multis sent. 13457/2012).

Si tratta di un caso di vendite verso altro paese UE con clausola ex works, con disconoscimento delle prove documentali (formalmente ineccepibili) offerte dalla società ricorrente a fronte di una dichiarazione verbale del vettore di essersi limitato a assumere in carico la merce e depositarla presso il suo magazzino in Italia (senza indicare il soggetto successivo che la aveva presa in carico); le determinazioni e le potenziali pretese della Amministrazione Finanziaria erano supportate dalla circostanza che il soggetto estero era da tempo sotto indagine ma con partita IVA cancellata ben dopo la effettuazione delle operazioni oggetto del contendere.

Il lavoro svolto dalla Commissione Provinciale di Milano è stato particolarmente accurato e ricco di enunciazioni di principio meritevoli di citazione; eccone alcuni esempi.

Sull’infondatezza dell’avviso di accertamento notificato cessioni di beni con clausola "ex-work" e non imponibilità ad IVA ai sensi dell’art. 41 del D.L. n. 331/1993

Questo Giudice rileva dapprima che le forniture di merce erano state effettuate con clausola "ex-work", in base alla quale il venditore aveva solo l’obbligo di preparare i beni oggetto della cessione presso i propri magazzini, con predisposizione della documentazione utile per l’uscita degli stessi dal territorio nazionale, che avveniva a cura e rischio del compratore. ............... L’impiego della metodologia di consegna secondo la formula "franco fabbrica" rappresenta la modalità di vendita, apparentemente più semplice e meno rischiosa per il cedente. Quest’ultimo adempie ai propri obblighi informando il compratore che la merce è a sua disposizione per il ritiro presso i propri locali o presso altro luogo convenuto. Ed è proprio nel momento della messa a disposizione della merce nei confronti della controparte commerciale che avviene la formale "consegna" e il "passaggio dei rischi" dal venditore al compratore. (NOTA 82)

Nel caso in esame, la ricorrente, al momento della vendita, aveva ottemperato all’art. 41 del decreto legge n. 331/1993, e aveva considerato l’operazione di vendita quale operazione "Intra-UE" poiché sussistevano i seguenti requisiti: i) onerosità dell’operazione; ii) trasporto fisico dei beni da uno Stato UE ad altro Stato UE di destinazione finale e iii) soggettività passiva dell’acquirente in un altro stato UE. I suddetti requisiti devono essere valutati in relazione alle specifiche peculiarità dei diversi incoterms (o condizioni contrattuali di consegna) in base ai quali va disciplinandosi la vendita internazionale.......................... Come precisamente dimostrato dalla documentazione allegata al ricorso, la ricorrente, nel caso de quo, aveva posto in essere tutte le cautele richieste ad un avveduto operatore professionale nel verificare sia l’affidabilità del cessionario finale (NOTA 83) (il cliente ...................) che il medesimo vettore dello stesso cessionario individuato ed incaricato per il ritiro delle merci presso i propri magazzini. La normativa italiana non prevede alcuna specifica previsione riguardo ai documenti che il cedente deve conservare al fine di dare dimostrazione dell’avvenuto trasferimento del bene in uno Stato comunitario. Questo Collegio si riporta alla sentenza della Corte di Giustizia UE, 27 settembre 2007, causa C - 146/05, che aveva chiarito che "spetta agli Stati membri stabilire quali siano i mezzi di prova idonei che il contribuente è tenuto a fornire per dimostrare l’effettività delle cessioni intracomunitarie e, in particolare, l’invio dei beni ad un soggetto identificato ai fini Iva di altro Stato membro". I documenti che il venditore italiano è tenuto a conservare sono: i) fattura di vendita; ii) elenco riepilogativo relativo alla cessione intracomunitaria effettuata (Modello Intra 1), iii) lettera di vettura Convenzione C.M.R. firmata dal trasportatore per presa in carico della merce e del destinatario per ricevuta della stessa, iv) rimessa bancaria dell’acquirente relativa al pagamento della merce. Il documento sacro che attesta la prova idonea e sufficiente a dimostrare l’uscita delle merci dal territorio dello Stato, è il documento di trasporto C.M.R. oltre agli elenchi INTRASTAT, ..................... Risulta dagli atti di causa che la ricorrente avesse svolto un costante monitoraggio delle proprie spedizioni, acquisendo anche copia della carta di identità dell’autista del mezzo, l’autorizzazione al trattamento dei dati del vettore e la copia del modello C.M.R. emesso dal proprio ufficio. Risulta anche che le operazioni di vendita di dette merci erano comprovate dall’emissione di fatture i cui importi corrispondevano ai bonifici attestanti il carattere oneroso delle stesse e che, per ciascuna fattura, era stato rinvenuto il relativo DDT (Documento di trasporto) e le spedizioni erano corredate dai rispettivi C.M.R, riscontrando la partita Iva comunitaria del cliente ............... Ebbene, l’onere della prova che incombe sul cedente non può estendersi all’infinito, anche dopo che questi si fosse materialmente spogliato della merce consegnandola al vettore proprio come avviene nelle ipotesi in cui la spedizione delle merci sia regolata secondo la clausola ex-work. Orientamento giurisprudenziale esclude quindi che il cedente sia tenuto a svolgere attività investigative sulla movimentazione subita dai beni ceduti dopo che gli stessi siano stati consegnati al vettore incaricato dal cessionario (NOTA 84). All’uopo vedasi sentenze Cassazione n. 13457/2012, n. 8132/2011 ed altre. Stando a quanto si legge nel ricorso, risulta che l’operato della ricorrente era in palese corrispondenza dei dettami normativi di cui al D.L. n. 331/1993 ed alle successive linee guida impartite dalle risoluzioni n. 345/E/2007, 477/E/2008 e 19/E/2013. Quindi, per l’annualità in esame, non sussiste alcun particolare obbligo in capo al venditore (con clausola ex-work) e, quindi, l’ufficio non poteva imputare alcun addebito alla ricorrente, stante la copiosa documentazione prodotta, essendo libera da particolare obbligo di controllo o vigilanza, e, nonostante l’ufficio avesse sostenuto il contrario, la ricorrente aveva agito correttamente.

Sul ritiro della merce dalla sede del venditore e quanto connesso

Su tale punto, questo Collegio rileva che le supposizioni dell’ufficio accertatore relative alla circostanza che l’operatore commerciale ............. (estero) non fosse in grado di esibire la relativa documentazione, non potevano essere imputate alla società venditrice. Anche la circostanza che il vettore ritirasse le merci dallo stabilimento del cedente e le depositasse presso i propri magazzini siti in .............., non interessava l’odierna ricorrente. E anche il fatto che la società ..........................., .............. Group Ltd risultasse essere un "soggetto con profilo rischioso" e la cui partita Iva fosse stata cancellata a far data dal ...................... 2015, poco importava all’odierna ricorrente.

I profili sopra riferiti, posti a fondamento delle doglianze dell’ufficio, nulla rilevavano alle cessioni intracomunitarie effettate dalla ricorrente, in quanto, tutto questo andava a collocarsi in periodi di tempo che in nessun modo potevano risultare pertinenti al caso oggetto dell’odierno accertamento e, per tali motivi, non costituiva neppure dato indiziario (NOTA 85), volto ad avvalorare le semplici ipotesi di condotte illecite cui la ricorrente poteva aver partecipato. Come non era altrettanto suscettibile di mettere in dubbio la diligenza con cui la ricorrente avesse provveduto a gestire i rapporti con la società estera.

 

Sulla motivazione dell’avviso di accertamento

Su tale punto questo Consesso ritiene che le motivazioni addotte dall’ufficio siano alquanto stringate e insufficienti per documentare la ripresa effettuata. Sulla indicazione degli elementi di valutazione, posti a supporto dell’imposizione tributaria ai fini Iva, l’ufficio aveva fatto un generico riferimento - mediante l’utilizzo di altrettante generiche espressioni ("soggetto con profilo rischioso") - e su dati reperiti da risultanze di indagini effettuate da autorità terze ai fatti oggetto di accertamento, nulla era dato provato.

Risulta che l’ufficio abbia optato, di fatto, per una motivazione per relationem, richiamando il contenuto di altri atti contenenti i predetti risultati d’indagine, senza fornire gli estremi dei medesimi, escludendo di riportarne l’effettivo contenuto, non provvedendo, tantomeno, ad allegare una copia fotostatica o uno stralcio. Entrando più nello specifico, anche il fatto che il responsabile della .................................. (vettore del trasporto) avesse dichiarato: "di non aver mai eseguito i trasporti dall’Italia alla .................................." e ancora: "che gli importi indicati nelle fatture sono tali da non giustificare il trasporto fino a ......................" ed anche "...non conosco i vettori che provvedevano a prelevare le merci dai miei magazzini" ed ancora "in merito ai C.M.R. ...dichiaro che provvedevo a firmare e apporre il timbro societario al momento del prelievo delle merci dalla società italiana, ma non credevo che questo comportasse che il trasporto fino in ............................... dovesse essere da me eseguito stante i diversi accordi ......................................" - pag. ........................... dell’avviso di accertamento, tali dichiarazioni risultano essere generiche, e non sono in alcun modo pertinenti rispetto agli addebiti mossi nei confronti dell’odierna ricorrente. Simili affermazioni non possono essere poste a fondamento della pretesa impositiva, oggetto dell’attuale contendere, in quanto anche per la mancanza di contestualizzazione dell’estratto delle dichiarazioni orali del legale rappresentante della .................., si può solo supporre che tale assunto derivi da un’errata verbalizzazione ovvero di aver riportato in maniera incompleta o approssimativamente quanto rilevato in sede di acquisizione di sommarie informazioni.

Per un simile accertamento, l’ufficio avrebbe dovuto motivare più dettagliatamente quanto andava ad accertare.

L’operato della società risulta essere corretto e l’avviso di accertamento qui impugnato vie annullato in toto.

Della suddetta Sentenza vanno colti gli spunti che devono uniformare l’attività delle imprese e dei consulenti che le affiancano in materia di prova della cessione intracomunitaria di beni:

-  sempre utilizzata una diligenza "professionale" nell’approccio con tali operazioni (specialmente se gestite con la clausola ex works all’interno della quale il cedente non "governa" il trasporto) verificando di continuo la vigenza della partita IVA della controparte e acquisendo la documentazione probatoria indicata dalla prassi della Agenzia delle Entrate (in primis il CMR firmato dal cliente estero)  (NOTA 86)

- alora l’Amministrazione Finanziaria pretenda di disconoscere la documentazione probatoria (di cui è onerato il contribuente), sarà necessario che i verbalizzanti o gli accertatori adempiano adeguatamente e compiutamente all’onus probandi ex art. 2697 C.c., pena una insanabile carenza di motivazione dell’atto accertativo ex art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 e 56 del D.P.R. 633/1972; va ricordato anche che il processo tributario ammette esclusivamente prove documentali e che le eventuali dichiarazioni di terzi verbalizzate costituiscono, elemento indiziari che devono essere suffragati da altri indizi e da prove documentali, per assurgere ad elementi di prova. Il contribuente deve quindi provare l’avvenuta cessione secondo un set documentale definito (da Prassi costante e dalla Giurisprudenza), ma l’amministrazione finanziaria deve provare in modo certo oppure mediante presunzioni basate su di un fatto noto (che va anch’esso documentalmente comprovato) che abbiano i requisiti della gravità, precisione e concordanza ex artt. 2727 e segg. c.c. (NOTA 87).

 

5. L’evoluzione delle Direttive e Regolamenti Comunitari in materia di prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria

 

Come accennato nei precedenti capitoli l’operatività in materia di prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria risulta basata su assunti certi, stabili e suffragati da Prassi Ammnistrativa e Giurisprudenza

L’evoluzione normativa comunitaria in ottica anti frode comporterà, però, degli adattamenti della documentazione e degli indirizzi sin qui riportati.

Con il nuovo art. 45-bis del Regolamento UE 282/2011, introdotto dal Regolamento UE 2018/1912, vengono individuati i mezzi di prova per considerare che i beni siano spediti /trasportati dal territorio dello stato membro di cessione a quello di arrivo, al fine di armonizzare le condizioni alle quali l’esenzione può realizzarsi.

Le situazioni considerate dal nuovo art. 45-bis Regolamento UE 282/2011, in vigore dal 1° gennaio 2020, sono quelle in cui i beni:

A) sono stati spediti/trasportati dal cedente, direttamente o da terzi che agiscono per suo conto;

B) sono stati spediti/ trasportati dal cessionario o da terzi per suo conto (caso della clausola ex work).

Nel primo caso (A) si presume che i beni siano stati spediti/trasportati a partire dallo Stato membro di partenza verso lo Stato membro di arrivo qualora il venditore certifichi che i beni sono stati spediti o trasportati da lui o da un terzo per suo conto e sia in possesso di almeno due dei seguenti elementi di prova non contradditori rilasciati da due diverse parti indipendenti l’una dall’altra, dal venditore e dall’acquirente:

- documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, per esempio un documento o una lettera CMR riportante la firma del destinatario, una polizza di carico o la fattura relativa al trasporto aereo oppure la fattura dello spedizioniere,

ovvero

- di uno qualsiasi dei singoli elementi elencati sopra in combinazione con uno qualunque dei singoli elementi di prova non contraddittori che vengono qui sottoelencati, elementi che confermano il trasporto o la spedizione, rilasciati da due diverse parti indipendenti:

1) polizza assicurativa relativa alla spedizione o al trasporto dei beni o documenti bancari che attestano il pagamento relativo alla spedizione o il trasporto dei beni;

2) documenti ufficiali rilasciati da una pubblica autorità, ad esempio un notaio, che confermano l’arrivo dei beni nello Stato Membro di destinazione;

3) ricevuta rilasciata da un depositario nello stato membro di destinazione che confermi il deposito dei beni in tale Stato.

Nel secondo caso (B), si presume che i beni siano spediti /trasportati dallo Stato membro di partenza

a quello di arrivo qualora il cedente sia in possesso:

- di una dichiarazione scritta dall’acquirente, rilasciata entro il decimo giorno del mese successivo alla cessione che certifica che i beni sono stati trasportati o spediti dall’acquirente o da terzi per suo conto e che identifica lo Stato di destinazione. Gli elementi che devono risultare da tale dichiarazione sono:

- data di rilascio;

- nome e indirizzo dell’acquirente;

- quantità e qualità dei beni;

- data e luogo di arrivo dei beni;

- identificazione della persona che accetta i beni per conto dell’acquirente;

- in caso di cessione di mezzi di trasporto, il numero di identificazione del mezzo di trasporto.

- di almeno due dei seguenti elementi di prova non contraddittori rilasciati da due diverse parti indipendenti l’una dall’altra:

- documenti relativi al trasporto o alla spedizione dei beni, per esempio un documento o una lettera CMR riportante la firma, una polizza di carico o la fattura relativa al trasporto aereo oppure la fattura dello spedizioniere;

ovvero

- di uno qualsiasi dei singoli elementi elencati sopra in combinazione con uno qualunque dei singoli elementi di prova non contraddittori che vengono qui sottoelencati, elementi che confermano il trasporto o la spedizione, rilasciati da due diverse parti indipendenti:

1) polizza assicurativa relativa alla spedizione o al trasporto dei beni o documenti bancari che attestano il pagamento relativo alla spedizione o il trasporto dei beni;

2) documenti ufficiali rilasciati da una pubblica autorità, ad esempio un notaio, che confermano l’arrivo dei beni nello Stato Membro di destinazione;

3) ricevuta rilasciata da un depositario nello stato membro di destinazione che confermi il deposito dei beni in tale Stato.

Come si può facilmente notare, dal 2020, il set di documentazione probatoria appare decisamente più importante o quantomeno esiste una migliore identificazione dei documenti probatori che rivestono carattere principale con una parziale, solo parziale, alternatività tra loro.

È assolutamente chiaro e necessario che l’Amministrazione Finanziaria dirami quanto prima interventi di prassi (meglio se sotto forma di circolare) atti ad identificare quale sia il pensiero e quali siano i documenti maggiormente graditi e che orientino l’attività del cedente nazionale nella acquisizione degli stessi, nell’ambito di una dimostrata diligenza professionale nei termini già esaminati.

Il problema si pone con evidenza proprio in relazione alla già citata Risposta dell’Agenzia delle Entrate all’interpello n. 100 del 2019 secondo cui il contenuto della Risoluzione n. 19/E del 25 marzo 2013, più volte citata nel presente documento, risulta conforme a quanto previsto dal recente Regolamento di Esecuzione del 4 dicembre 2018, n. 2018/1912/UE che è intervenuto nel corpus del regolamento di esecuzione (UE) n. 282/2011, inserendo l’art. 45-bis, applicabile dal 1° gennaio 2020.

Sembra quindi potersi concludere (NOTA 88) che nessuna novità provenga dall’emanato Regolamento UE in termini di documentazione necessaria e sufficiente a comprovare l’avvenuta cessione intracomunitaria, specialmente se effettuata con clausola ex work, e che l’ulteriore documentazione indicata nel novellato art. 45-bis del Regolamento UE n. 282/2011, costituisca una migliore specificazione della c.d. "documentazione sostitutiva" o "integrativa" della prova dell’avvenuta cessione.

 

6. Operazioni Triangolari Intracomunitarie (NOTA 89) tra prassi, giurisprudenza prevalente, direttive e regolamenti UE

 

Con la soppressione delle frontiere fiscali e la libera circolazione di beni all’interno della UE, dal 1° gennaio 1993  è in vigore con un "regime provvisorio" sugli scambi intracomunitari che prevede la detassazione nel paese di origine e l’assolvimento dell’imposta nel paese di destinazione con il sistema dell’"inversione contabile" o del "reverse-charge". Per effetto di tale meccanismo non si paga più l’IVA in dogana all’atto della introduzione dei beni provenienti da un Paese membro.

In tale contesto l’internalizzazione del commercio ha promosso e incrementato le c.d. "transazioni a catena" in cui, a fronte di un unico trasporto di beni da un Paese membro ad un altro, intervengono tre o più operatori identificati in differenti Paesi membri (da qui la denominazione di "triangolazioni comunitarie") con la partecipazione, a volte, di soggetti residenti fuori della UE.

Nel corso degli anni il fenomeno si è notevolmente incrementato ma alcuni operatori di pochi scrupoli muovendosi con disinvoltura tra le normative vigenti nei vari Paesi, non sempre tra loro concordanti, hanno prodotto consistenti frodi nel settore dell’IVA con notevoli contraccolpi nell’economia e nel bilancio della UE.

Le Amministrazioni finanziarie sono intervenute con atti di prassi contro tale fenomeno ma ancor di più lo ha fatto la Corte di giustizia UE interpretando le norme della Direttiva IVA per arginare la deriva delle frodi ed in particolare le c.d. "frodi carosello" (NOTA 90).

 

6.1. Le triangolazioni comunitarie

La Direttiva 91/680 CEE del 16 dicembre 1991 aveva modificato la VI direttiva IVA 17 maggio 1977, n. 388 e dettato le prime regole del regime transitorio sugli scambi intracomunitari, ma non concedeva un trattamento semplificato alle operazioni di compravendita nelle quali intervengono tre (o più) soggetti passivi d’imposta identificati in tre (o più) diversi paesi comunitari e che realizzano "vendite successive" a fronte di un unico spostamento fisico della merce da un Paese all’altro (c.d. "transazioni a catena").

La direttiva 91/680 prevedeva, infatti, che la detassazione all’origine e l’assoggettamento a IVA con il regime del reverse-charge nel paese di destinazione avvenissero sempre e soltanto tra due soggetti passivi d’imposta, registrati in due differenti paesi. Ma tale sistema, se garantiva un più facile e lineare controllo, imponeva agli operatori comunitari che partecipavano a delle transazioni a catena in qualità di "promotori" (operatori intermedi), di dover acquisire un numero di partita IVA (NOTA 91) nel paese di partenza o in quello di arrivo dei beni con ripercussioni economiche ben immaginabili.

Per eliminare tale inconveniente, la successiva Direttiva n. 92/111/CEE del 14 dicembre 1992 (NOTA 92) ha introdotto un sistema di semplificazioni per le c.d. "triangolazioni comunitarie semplificate" in cui intervengono tre operatori diversi identificati o registrati in tre differenti paesi comunitari con un unico trasporto di beni dal paese del primo cedente al paese del destinatario finale. Per tali operazioni viene assoggettato ad aliquota "zero" l’acquisto intracomunitario nel paese del promotore della triangolazione e, nel contempo, si elide l’obbligo di quest’ultimo di doversi identificare nel paese di arrivo per assolvere l’imposta sull’acquisto intracomunitario, ponendo la condizione che il promotore designi, in sua vece, il proprio cliente destinatario finale all’assolvimento dell’imposta nello Stato ove avviene la consegna del bene, attraverso il meccanismo del reverse-charge applicato sulla fattura di vendita emessa dallo stesso promotore.

In linea con tali disposizioni comunitarie, il D.L. 30 agosto 1993, n. 331 che regola in Italia gli scambi di beni all’interno degli stati UE, ha regolamentato le "triangolazioni comunitarie semplificate" agli artt. 38, comma 7, 40, comma 2, secondo periodo, 44, comma 2, lettera a), e 46, comma 2, ultimo periodo, mentre la circolare min. finanze n. 13 del 23 febbraio 1994 ha illustrato i comportamenti da seguire da parte degli operatori italiani, aggiornati dalla successiva circolare min. finanze n. 145 del 10 giugno 1998 (NOTA 93).

 

6.1.1. Operazioni triangolari semplificate

Si definiscono triangolazioni intracomunitarie semplificate le cessioni "a catena" nelle quali esistono "due anelli" (A cede a B - primo anello - B cede a C - secondo anello -) in cui intervengono i seguenti tre operatori A (identificato nel primo paese UE1), B (identificato nel secondo paese UE2) e C (identificato nel terzo paese UE3), tutti soggetti passivi d’imposta registrati (ossia identificati direttamente o a mezzo di rappresentante fiscale e, quindi, non necessariamente residenti o stabiliti)

in tre diversi Paesi membri:

1) primo cedente (A) registrato o identificato nel paese iniziale o primo paese (UE1). È il fornitore materiale dei beni posto all’apice della catena. È chi cede i beni a (B), promotore della triangolazione registrato in un paese diverso (UE2), e nei confronti del quale emette fattura "non imponibile" IVA (o "esente" secondo la terminologia comunitaria) per la vendita dei beni che vengono trasportati dal primo paese in un altro Stato membro differente (UE3) ove è registrato il destinatario finale dei beni (C);

2) promotore della triangolazione o cedente intermedio (B) registrato o identificato nel secondo paese (UE2). È chi genera la triangolazione ed effettua due transazioni, una di acquisto proveniente dal primo paese (UE1) e una di vendita con destinazione il terzo paese (UE3): acquista i beni dal primo cedente (A-UE1), integra la fattura di acquisto senza applicare l’IVA locale, emette una fattura di vendita non imponibile (o esente) nei confronti del proprio cliente (C-UE3) - destinatario finale dei beni - registrato nel terzo paese comunitario in cui i beni vengono consegnati, designandolo, in sua vece, al pagamento dell’imposta sull’acquisto intracomunitario dei beni nel paese finale di destinazione (UE3) con il meccanismo del reverse charge; 3) destinatario finale della merce (C) registrato o identificato nel terzo paese comunitario (UE3). È chi riceve materialmente i beni provenienti dal paese del primo cedente (A-UE1) acquistati dal promotore della triangolazione (B-UE2), dal quale riceve una fattura in cui è designato quale debitore dell’IVA nel suo paese (UE3), per conto del promotore (B) o in sua vece. Assolve l’IVA locale con il meccanismo del reverse charge, integrando la fattura ricevuta dal promotore della triangolazione (B-UE2) e chiudendo, così, l’operazione triangolare. (NOTA 94)

 

6.1.2. Regole comunitarie

La semplificazione, prevista nell’art. 28-ter della sesta direttiva e rifusa negli artt. 141 e 197 della Direttiva 2006/112, prevede che a fronte di un unico trasporto e di una transazione a catena formata da due cessioni - la prima da A a B e la seconda da B a C - solo un’operazione - l’ultima di acquisto - sia assoggettata a IVA nel paese di destinazione dei beni, attraverso il meccanismo dell’inversione contabile attuato dal destinatario finale.

Infatti, la prima vendita tra A e B è una cessione esente da IVA nel primo Paese, così come senza applicazione di IVA nel paese del promotore è la seconda transazione nella quale B tratta l’acquisto intracomunitario effettuato da A come un’operazione di acquisto intracomunitario esente con "aliquota zero" e la vendita nei confronti di C come cessione senza applicazione di IVA per carenza del requisito di territorialità. Infine, C assoggetta a IVA nel suo Paese, su incarico di B, l’acquisto In effetti, come rilevato, nelle varie sentenze della Corte di giustizia gli articoli 141 e 197 della Direttiva 2006/112/CE trattano in una transazione a catena solo la fase dell’acquisto intracomunitario esente mentre non regolamentano a quale delle due cessioni (quella da A a B o quella da B a C) occorra attribuire l’esenzione prevista dall’art. 138 della stessa Direttiva 2006/112/CE.

Da qui la modifica apportata dalla Direttiva 2018/1910 del 4 dicembre 2018 che ha introdotto il nuovo art. 36-bis nella Direttiva IVA per definire nelle operazioni a catena a quale debba essere imputato il beneficio dell’esenzione dall’IVA prevista per le cessioni intracomunitarie, quando il trasporto è effettuato dall’operatore intermedio. Le altre cessioni nella catena dovrebbero essere soggette a imposizione e potrebbero necessitare dell’identificazione IVA del promotore nello Stato membro del primo cedente.

Al fine di evitare approcci diversi tra gli Stati membri, che possono avere come conseguenza la doppia imposizione o la non imposizione, e al fine di accrescere la certezza del diritto per gli operatori, verranno stabilite dal 1° gennaio 2020 norme comuni - oggetto di altra relazione diversa dalla presente -, secondo cui, purché siano soddisfatte determinate condizioni, il trasporto dei beni dovrebbe essere imputato a una sola cessione all’interno della catena di operazioni.

 

6.1.3. Regole nazionali (D.L. 29 agosto 1993, art. 38, comma 7 e art. 40 comma 2) La disciplina interna sugli scambi intracomunitari regola le "operazioni triangolari" con due norme inserite nel D.L. 331 del 1993, rispettivamente al comma 7 dell’art. 38 e al comma 2 dell’art. 40.

Nell’art. 38, comma 7 è individuata l’ipotesi in cui il soggetto passivo intermedio B (identificato in UE2 diverso dall’Italia (NOTA 95)), nella sua qualità di promotore della triangolazione, acquisti da A (identificato in UE1 diverso dall’Italia (NOTA 96)) dei beni esistenti in un diverso Stato membro e li venda al soggetto d’imposta C (identificato in UE3 in questo caso l’Italia) facendoli consegnare direttamente in Italia con partenza dallo Stato UE1. In questa situazione l’acquisto intracomunitario imponibile dell’operatore francese (UE2) è effettuato in Italia, ma per evitare che questi debba acquisire una partita IVA in Italia per assolvere l’imposta italiana con il reverse charge può designare l’acquirente C identificato in Italia al pagamento dell’IVA italiana in sua sostituzione (NOTE 97 e 98).

Questi l’iter operativo e i compiti dell’operatore Italiano, destinatario finale dei beni, come indicato nella circolare n. 13/1994:

1) IT riceve fattura senza IVA emessa da FR con l’indicazione di essere stato "designato" quale debitore d’imposta in Italia al posto del fornitore FR;

2) IT integra la fattura con IVA e l’annota nel registro delle vendite e degli acquisti ai sensi dei successivi articoli 46 e 47;

3) IT compila il modello Intrastat degli acquisti indicando nelle colonne 2 e 3 la sigla FR e il numero di identificazione del fornitore francese, mentre nella colonna 13 la sigla DE quale paese di provenienza;

4) da un punto di vista giuridico l’operazione per IT non costituisce un acquisto intracomunitario (art. 38, comma 7), ma una cessione nello Stato, con esonero per il cedente FR di identificarsi direttamente o nominarsi un proprio rappresentante fiscale per assolvere l’IVA italiana (NOTA 99).

L’art. 40, comma 2 nel recepire gli artt. 40, 41 e 42 della Direttiva IVA individua l’ipotesi in cui il soggetto passivo intermedio (B-UE2) sia un operatore indentificato in Italia e che nella sua qualità di promotore della triangolazione, acquisti beni esistenti in un diverso Stato membro da un operatore ivi identificato (A-UE1 (NOTA 100)) e li venda ad un soggetto d’imposta identificato in un diverso Paese membro (CUE3 (NOTA 101))

facendoli consegnare direttamente dal territorio dello Stato UE1 (i.e. Francia) al territorio dello Stato UE3 (i.e. Germania).

In questa situazione l’acquisto intracomunitario dell’operatore identificato in Italia (B-UE2) è "esente" da IVA italiana se B dimostra che l’imposta è stata assolta in Germania dall’acquirente finale (C-UE3) designato al pagamento dell’IVA tedesca in sua sostituzione (NOTA 102).

Questo l’iter operativo e i compiti dell’operatore identificato in Italia come indicato nella circolare n. 13/1994:

1) IT riceve fattura da FR per l’acquisto intracomunitario, la integra senza imposta richiamando l’art. 40, comma 2, del D.L. 331/1993 e la annota nel registro degli acquisti e delle vendite;

2) IT emette nei confronti di DE fattura non imponibile ai sensi dell’art. 41, designando espressamente nello stesso documento DE responsabile, in sua sostituzione, del pagamento dell’imposta quando i beni arrivano in Germania. Tale transazione, in effetti, dovrebbe essere considerata quale operazione esclusa dal campo applicativo dell’IVA, per carenza del presupposto della territorialità, ai sensi dell’art. 7-bis, primo comma, del D.P.R. n. 633/1972 trattandosi di una cessione interna in Germania;

3) IT redige il modello Intrastat di vendita indicando alle colonne 2 e 3 la sigla DE e il numero identificativo del cessionario tedesco riportando nella colonna 5, alla voce "natura della transazione", un codice alfabetico in sostituzione di quello numerico. Per le cessioni non compila la sezione statistica del modello. Dal 2018 non presenta più il modello Intrastat di acquisto in quanto i beni non entrano nel territorio nazionale.

 

6.2. Triangolazioni intracomunitarie e interventi della Corte UE

Per applicare la semplificazione prevista nella Direttiva 2006/112/CE, oltre alla partecipazione di tre soggetti diversi identificati in tre differenti paesi, è indispensabile per la correttezza dell’operazione che i beni siano fisicamente trasportati o spediti dal paese ove è registrato il primo cedente al paese ove è registrato il destinatario finale dei beni.

In Italia, nel silenzio della sopra richiamata Direttiva, a differenza di altri paesi comunitari come ad esempio la Spagna, per queste transazioni non è tanto rilevante il soggetto che esegue il trasporto o cura la spedizione dei beni: può essere sia il primo cedente che il promotore della triangolazione o anche il destinatario finale. Condizione indefettibile è che il trasferimento fisico dei beni avvenga dal paese del primo cedente a quello del destinatario finale, trascurando chi esegue il trasporto e, quindi, le "condizioni di consegna".

La Corte UE, invece, è intervenuta ripetutamente e, dopo aver rilevato alcune incongruenze tra quanto contenuto all’art. 138 della direttiva 2006/112/CE - che tratta le "esenzioni" connesse alle cessioni intracomunitarie - e quanto riportato negli artt. 141 e 197 della stessa direttiva, ha individuato il corretto parametro interpretativo da applicare alle disposizioni rilevanti della direttiva (NOTA 103).

Questa la sintesi di alcune delle diverse sentenze della Corte:

- Caso EMAG, C-245/04 sentenza del 6 aprile 2006

Quando due cessioni successive relative agli stessi beni, effettuate a titolo oneroso tra soggetti passivi, danno luogo ad un’unica spedizione intracomunitaria o ad un unico trasporto intracomunitario di  detti beni, tale spedizione o tale trasporto può essere imputato ad una sola delle due cessioni, che sarà l’unica esentata ai sensi dell’art. 28-quater, parte A, lett. a), primo comma, della sesta direttiva.

Tale interpretazione vale indipendentemente da quale dei soggetti passivi - primo venditore, acquirente intermedio o secondo acquirente - possa disporre dei beni durante la detta spedizione o il detto trasporto (punto 45 della sentenza).

Da questa prima sentenza, che potremmo definire "sentenza madre", emerge il principio che è il trasporto a dettare le regole per individuare quali debbano essere le operazioni da assoggettare o non assoggettate ad imposta ed anche gli adempimenti del soggetto intermedio che potrebbe essere costretto ad identificarsi nel Paese di partenza dei beni.

- Caso Euro Tyre, C-430/09 sentenza del 16 dicembre 2010

Quando un bene forma oggetto di due cessioni successive tra diversi soggetti passivi che agiscono in quanto tali, ma di un solo trasporto intracomunitario, la determinazione dell’operazione cui deve essere imputato tale trasporto, vale a dire la prima o la seconda cessione deve essere effettuata alla luce di una valutazione globale di tutte le circostanze del caso di specie al fine di stabilire quale di queste due cessioni soddisfi la totalità delle condizioni relative ad una cessione intracomunitaria esente (punto 45 della sentenza).

- Caso Toridas, C-386/16 sentenza del 26 luglio 2017

Contiene due principi, uno di conferma delle sentenze EMAG e Euro Tyre, e uno nuovo:

1) nel caso di operazioni formate da una catena di due cessioni successive con un solo trasporto intracomunitario, tale trasporto intracomunitario può essere imputato ad una sola delle due cessioni, che sarà, pertanto, l’unica esentata ai sensi dell’art. 138, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE. In base a tale valutazione, è necessario, determinare in quale momento sia avvenuto, in favore dell’acquirente finale, il secondo trasferimento del potere di disporre di un bene come proprietario. Infatti, nell’ipotesi in cui la seconda cessione, abbia avuto luogo prima che fosse effettuato il trasporto intracomunitario, quest’ultimo non può più essere imputato alla prima cessione in favore del primo acquirente ma alla seconda.

2) l’identificazione ai fini dell’IVA del primo acquirente in uno Stato membro differente da quello del luogo della prima cessione o da quello del luogo dell’acquisizione finale non è un criterio di qualificazione di un’operazione intracomunitaria, e, di per sé, non è un elemento di prova sufficiente a dimostrare il carattere intracomunitario di un’operazione.

- Caso Firma Hans Buhler, C-580/16 sentenza del 19 aprile 2018

Tratta di un nuovo caso.

In un’operazione a catena il beneficio della non imponibilità dell’acquisto intracomunitario previsto dall’art. 141, lettera c) delle direttiva 2006/112/CE non può essere negato dall’Amministrazione fiscale dello Stato intermedio che ha attribuito un numero di identificazione ad un soggetto non residente, per il solo fatto che tale soggetto risieda e sia identificato nello Stato membro dal quale i beni siano stati spediti o trasportati, ed abbia utilizzato ai fini dell’acquisto intracomunitario esente, il numero di identificazione IVA attribuito da tale Stato membro intermedio nel quale ha agito quale promotore della triangolazione.

Nel caso esaminato, una società residente in Germania e identificata ai fini Iva in Austria aveva acquistato da fornitori stabiliti in Germania (ove la società era residente) prodotti poi rivenduti a un cliente stabilito ai fini Iva nella Repubblica Ceca. I fornitori tedeschi riportavano sulle proprie fatture di vendita il numero identificativo Iva austriaco del promotore della triangolazione, che, a sua volta, inviava al cliente ceco fatture recanti il numero di partita Iva ottenuto in Austria.

- Caso VSTR, C-587/10 sentenza del 27 settembre 2012

Tratta il caso del promotore soggetto passivo d’imposta extra UE non identificato nella UE. Con riferimento alle triangolazioni ma con l’intervento di un promotore extra UE, se la sesta direttiva consente a uno Stato di subordinare la non imponibilità IVA di una cessione intracomunitaria alla comunicazione, da parte del fornitore, del numero d’identificazione IVA dell’acquirente, tuttavia non può negargli la non imponibilità di una cessione solo per il fatto che la merce sia stata venduta ad un soggetto stabilito in un paese terzo, senza numero di partita IVA nell’UE, qualora tale fornitore (primo cedente) fornisca indicazioni idonee a dimostrare, sufficientemente, che l’acquirente è un soggetto passivo (sia pure non stabilito nell’UE) che agisce in quanto tale, e che la merce sia stata trasportata da un paese UE ad un altro Paese UE.

È necessario, però, che il fornitore abbia agito "in buona fede e dopo aver adottato tutte le misure che gli si possano ragionevolmente richiedere". Il principio di neutralità fiscale esige che l’esenzione dall’IVA sia accordata se i requisiti sostanziali sono soddisfatti, anche se certi requisiti formali sono stati omessi da parte dei soggetti passivi, e la situazione sarebbe diversa solo se la violazione di requisiti formali siffatti avesse l’effetto di impedire la dimostrazione certa che i requisiti sostanziali sono stati soddisfatti, sempreché, tuttavia, il fornitore dei beni non abbia partecipato intenzionalmente ad una frode fiscale mettendo a repentaglio il corretto funzionamento del sistema comune dell’IVA. In quest’ultima ipotesi, infatti, la Corte ha dichiarato che il principio di neutralità fiscale non potrebbe essere validamente invocato da tale soggetto.

- Caso X e Facet, procedimenti riuniti C-536/08 e C-539/08 del 22 aprile 2010

- Caso Italmoda C-131/13 sentenza del 18 dicembre 2014

Le sentenze limitano il diritto alla detrazione.

Il soggetto passivo che promuove una triangolazione comunitaria non ha il diritto di detrarre immediatamente l’imposta sul valore aggiunto che ha gravato a monte su un acquisto intracomunitario, se non è in grado di comprovare che l’IVA sull’acquisto è stata assolta nel paese di destinazione.

Quindi ad esempio se IT, destinatario finale, acquista da DE, promotore della triangolazione, ricevendo i beni inviati da FR direttamente dalla Francia all’Italia su incarico dell’operatore tedesco e DE non è in grado di comprovare che l’IVA sull’acquisto intracomunitario è stata assolta in Italia da IT, espressamente a ciò designato da DE, quest’ultimo deve assolvere l’IVA in Germania e non può detrarre l’imposta relativa all’acquisto intracomunitario nel suo Stato di identificazione.

Ciò perché concedere un diritto a detrazione in tale ipotesi rischierebbe di vanificare l’effetto utile dell’art. 28-ter, parte A, n. 2, secondo e terzo comma, della sesta direttiva, dato che il soggetto passivo DE, che ha beneficiato del diritto alla detrazione nello Stato membro di identificazione, non sarebbe più incentivato a comprovare la tassazione dell’acquisto intracomunitario da FR nello Stato membro di arrivo della spedizione o del trasporto. (NJOTA 104)

- Caso SIA causa C-273/18 sentenza del 10 luglio 2019

È l’ultima sentenza che affronta sia il problema delle triangolazioni sia il problema parimenti importante della detrazione IVA in caso di errata applicazione dell’imposta da parte di un operatore intermedio che addebita per rivalsa l’imposta al destinatario finale che doveva applicare l’inversione contabile.

In una catena di cessioni successive, il solo fatto che l’ultimo acquirente entri in possesso dei beni in un diverso Stato membro prelevandoli nel deposito di una persona posta al vertice di tale catena ma diversa da quella intermedia che compare quale suo fornitore sulla fattura di vendita, non permette di negare la detrazione dell’IVA versata a monte da tale ultimo acquirente. Per il diniego della detrazione, infatti, è compito dell’autorità tributaria dimostrare l’esistenza di un indebito vantaggio fiscale di cui abbiano goduto l’ultimo acquirente o altre persone che lo precedono nella catena. Nella sentenza si ribadisce che le autorità nazionali possono sì negare la detrazione IVA ma solo se dimostrano, alla luce di elementi oggettivi, che il diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente.

Questo l’iter seguito dai giudici UE:

- In una catena di cessioni successive, il solo fatto che i beni siano trasportati dallo Stato membro del primo cedente (A) allo Stato membro del destinatario finale (C) direttamente da quest’ultimo, non costituisce una pratica abusiva, a meno che sia dimostrato che il fornitore intermedio (B) - residente nello Stato membro del destinatario finale - abbia emesso erroneamente fattura con addebito dell’imposta ma non abbia poi versato all’erario l’IVA addebitata;

- nell’ipotesi in cui la cessione finale di una catena di cessioni successive, comportanti un unico trasporto intracomunitario, costituisca una cessione intracomunitaria, l’acquirente finale (C) non può operare la detrazione dell’IVA assolta indebitamente per beni che gli sono stati forniti nell’ambito di una cessione intracomunitaria esente, sulla sola base della fattura erronea emessa da (B) con addebito dell’IVA quale fornitore intermedio (v., in tal senso, sentenza del 21 febbraio 2018, Kreuzmayr, C 628/16, punto 44);

- l’acquirente finale, invece, conformemente al diritto nazionale potrebbe chiedere all’operatore intermedio che ha emesso una fattura erronea, il rimborso dell’imposta indebitamente a lui versata (v. sentenza del 21 febbraio 2018, Kreuzmayr, C 628/16, punto 48 e giurisprudenza ivi citata);

- tuttavia, in una situazione in cui l’IVA sia stata effettivamente versata all’erario dal fornitore intermedio (B), se il rimborso dell’IVA da parte di quest’ultimo all’acquirente (C) risultasse impossibile o eccessivamente difficile in caso, tra l’altro, d’insolvenza di siffatto fornitore, il principio di effettività può imporre che tale acquirente (C) possa rivolgere la sua richiesta di rimborso direttamente alle autorità tributarie (v., in tal senso, sentenza dell’11 aprile 2019, PORR Építési Kft., C 691/17, punto 42 e giurisprudenza ivi citata);

- per stabilire, inoltre, a quale cessione imputare l’unico trasporto intracomunitario in una vendita a catena, le autorità devono procedere ad una valutazione complessiva di tutte le circostanze per determinare il momento in cui è avvenuto, in favore dell’acquirente finale, il trasferimento del potere di disporre del bene come proprietario.

 

6.3. Le triangolazioni comunitarie nazionali (art. 58 del D.L. n. 331/1993)

L’art. 58 del D.L. 331 del 1993 estende il regime delle "esportazioni triangolari" previsto dall’art. 8, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 633/1972 alle ipotesi in cui, in presenza di un cedente e di un cessionario entrambi residenti o identificati nel territorio dello Stato, intervenga un terzo soggetto identificato nella Comunità che sia destinatario finale della merce.

La fattispecie riguarda il caso in cui un operatore italiano (A) - fornitore o primo cedente - cede ad un altro operatore nazionale (B) - cessionario o promotore della triangolazione - beni destinati alla rivendita ad un terzo operatore (C), qualora i beni siano trasportati o spediti in altro Stato membro "a cura o a nome del cedente" (A) anche per incarico del proprio cessionario. Verificandosi questa ipotesi la vendita tra il primo cedente (A) e il promotore della triangolazione (B) è considerata una cessione interna "non imponibile" ai sensi dell’art. 58, mentre la vendita dal promotore della triangolazione (B) al cliente terzo (C), destinatario finale dei beni, è una "cessioni intracomunitaria non imponibile" ai sensi dell’art. 41, comma 1.

Quanto alle condizioni previste dall’art. 58, la cessione tra i due operatori nazionali è "non imponibile" solo se i beni non vengono consegnati nel territorio italiano dal primo cedente (A) al promotore della triangolazione (B) ovvero all’acquirente comunitario (C) destinatario finale dei beni, ma vengono spediti o trasportati direttamente nell’altro Stato membro, per incarico del promotore, a cura o a nome del primo cedente. È necessario, cioè, che i beni non transitino materialmente nel territorio nazionale dal primo cedente (A) al cessionario/promotore della triangolazione (B), in quanto quest’ultimo ne acquisterebbe la disponibilità nel territorio nazionale.

Anche i beni rientranti in una "triangolazione nazionale" possono essere oggetto di lavorazione prima dell’uscita degli stessi dal territorio dello Stato.

Riguardo al trasporto, però, la giurisprudenza di legittimità ha consolidato un diverso orientamento che si va ad esaminare.

 

6.3.1. La prova delle triangolazioni

In ordine alla verifica della legittimità di questo tipo di operazioni, i problemi sono gli stessi di quelli sorti per le esportazioni triangolari, con la particolarità che nelle triangolazioni comunitarie non interviene la dogana che convalida l’operazione, ma la prova deve essere acquisita e formata tra le parti.

Secondo la circolare n. 13/1994 è ammissibile il trattamento di non imponibilità tra il primo cedente e il cessionario residente solo quando:

- il trasporto in un altro Stato membro dell’UE viene eseguito dal primo cedente con mezzi propri oppure è ordinato e pagato dal primo cedente (A) ad un trasportatore terzo;

Ovvero

- il primo cedente viene incaricato dal cessionario residente, promotore della triangolazione, di inviare i beni fuori del territorio nazionale in un altro Stato membro attraverso l’intervento di un trasportatore o spedizioniere terzo, e ciò risulta da qualsiasi altra documentazione diversa da quella relativa al trasporto.

La questione del trasporto, che l’amministrazione finanziaria considera determinante in ordine alle operazioni triangolari, va però vista in rapporto con le sentenze della Suprema Corte di Cassazione, la quale ha assunto un orientamento diverso che con il tempo si è consolidato.

La sentenza n. 20782 dell’11 settembre 2013, nel rifarsi a precedenti sentenze della stessa Corte, afferma che per considerare un’operazione triangolare come cessione intracomunitaria non imponibile, «l’espressione letterale "a cura" del cedente va interpretata in relazione allo scopo della norma, che è quello di evitare operazioni fraudolente», le quali si verificherebbero se il cessionario nazionale potesse autonomamente decidere di esportare i beni in un altro Stato membro e, quindi, «non nel senso che la spedizione o il trasporto devono avvenire in esecuzione di un contratto concluso direttamente dal cedente ..., ma nel senso che è essenziale che vi sia la prova (il cui onere grava sul contribuente) che l’operazione, fin dalla sua origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata voluta, nella comune volontà degli originari contraenti, come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero».

«In definitiva ciò che risulta essenziale per configurare una triangolazione esente da IVA non è solo la prova che il trasporto all’estero sia avvenuto a cura ed a nome del cedente, ma piuttosto che l’operazione fin dalla sua origine sia stata voluta nella comune volontà degli originari contraenti come cessione nazionale in vista di trasporto a cessionario residente all’estero, fermo restando l’onere della prova che incombe sul primo cedente, di dimostrare l’avvenuta uscita della merce dal territorio doganale della comunità».

I principi di cui sopra sono stati confermati nelle più recenti sentenze della Cassazione n. 14405 del 25 giugno 2014, n. 2460 del 31 gennaio 2017, n. 4408 del 23 febbraio 2018, n. 22332 del 13 settembre 2018 e n. 1826 del 23 gennaio 2019.

 

7. Iniziativa di legge per la prevenzione delle frodi in caso di operazioni triangolari con soggetto promotore italiano che organizza il trasporto da soggetto UE ad altro soggetto italiano

La Direttiva 2018/1695 (NOTA 105), emanata dal Consiglio UE in data 6 novembre 2018, reca modifiche alla Direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, con riguardo al periodo di applicazione del meccanismo facoltativo denominato "Reverse Charge" (c.d. "inversione contabile"), alla cessione di determinati beni nonché alla prestazione di determinati servizi a rischio di frodi.

Nel contempo, la medesima Direttiva, intende prevedere e perfezionare un meccanismo di reazione rapida contro le frodi in materia di IVA.

Preliminarmente, appare utile ricordare che il reverse charge (c.d. "inversione contabile") è un particolare metodo di applicazione dell’IVA che consente di effettuare l’inversione contabile della suddetta imposta direttamente sul cessionario del bene ovvero sul committente della prestazione di servizio, anziché, come normalmente avviene, sul cedente/prestatore.

Invero, solitamente in una transazione tra due soggetti passivi IVA, il fornitore applica l’imposta in fattura addebitandone il pagamento al cliente e successivamente versa all’Erario tale somma, spesso indipendentemente dall’effettivo incasso da parte del cessionario/committente.

Tuttavia, nel corso dei decenni dall’introduzione dell’IVA, ci si è sempre più spesso resi conto che tale procedimento lascia spazio e possibilità all’evasione fiscale da parte dei soggetti cedenti/prestatori che trattengono l’ammontare dell’imposta invece di procedere al versamento all’Erario di tali somme nei termini e modi di legge.

Quindi, di regola è il cedente/prestatore ad emettere la fattura e ad addebitare l’IVA, ma tanto non avviene nelle speciali ipotesi di reverse charge, ove è invece il cessionario/committente a dover integrare la fattura ricevuta indicando l’aliquota Iva applicabile ed il relativo importo, ovvero ad emettere un’autofattura, da registrare sia nel registro Iva delle fatture emesse, che in quello degli acquisti, al fine di neutralizzare l’imposta.

In buona sostanza, l’inversione contabile è una deviazione al normale meccanismo di funzionamento dell’IVA, peraltro applicabile alle sole transazioni nelle quali entrambi i soggetti sono soggetti passivi IVA, che si pone come obiettivo quello di arginare i casi di omesso versamento dell’Iva bloccandone la transizione dal cessionario/committente al cedente /prestatore.

Il reverse charge può a sua volta essere distinto in:

- Reverse Charge interno: per determinate tipologie di servizi ed anche che riguarda alcune cessioni di beni (cellulari, ecc., rottami, oltre che le cessioni di fabbricati strumentali, ancorché, in tal caso, previa opzione nei casi consentiti). identificate all’interno dell’art. 17 del D.P.R. n. 633/1972 (ad esempio subappalto nel settore edile) nelle quali entrambi i soggetti sono soggetti passivi IVA in Italia;

- Reverse Charge esterno: per determinate operazioni effettuate in ambito comunitario tra un soggetto passivo IVA "stabilito" in Italia ed altro soggetto passivo IVA "stabilito" in altro Paese della UE, nonché per operazioni relative alle operazioni territorialmente rilevanti poste in essere da soggetti extraUE.

Nella legislazione domestica i primi vagiti del "reverse charge" risalgono al 2006 ed in particolare alla Manovra Visco-Bersani (art. 35, comma 5 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223) all’interno della quale veniva introdotto il meccanismo del Reverse Charge per le prestazioni di servizi rese nel settore edile dai subappaltatori nei confronti di imprese che svolgono attività di costruzione o ristrutturazione di immobili, rendendo in tal modo l’appaltatore debitore dell’IVA.

Tralasciando tutte le tappe intermedie, si arriva al più recente provvedimento legislativo, che conferma l’inarrestabile tendenza alla disapplicazione del meccanismo ordinario di liquidazione dell’IVA in favore del Reverse Charge, costituito dalla L. n. 190/2014 che introduce lo speciale meccanismo per le prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici.

Da queste prime fasi dell’elaborato, si percepisce come il meccanismo in discussione vede estendere il proprio raggio d’azione soprattutto nei settori ad alto rischio di evasione d’imposta, più spesso connaturata alla prestazione di servizi piuttosto che alla cessione di beni, anche in ragione del fatto che nel secondo caso (cessione di beni) si deve forzatamente essere in presenza di soggetti realmente operanti come imprese perché dotate di strutture permanenti destinate allo scambio ed allo stoccaggio delle merci, di conseguenza meno "leggere" e quindi difficilmente predisposte ad operare come "cartiere", anche se l’esperienza di questi ultimi anni insegna che moltissime di queste situazioni riguardano cessioni di beni.

Come spesso avviene, il farmaco, pur se risolve il problema (in questo caso forse lo attenua) determina dei fastidiosi effetti collaterali che nel caso che ci occupa propongono la ineluttabile tendenza dei soggetti operanti in regime di Reverse Charge a veder crescere il proprio credito Iva in quanto, da un lato versano l’Iva ai propri fornitori, alimentando il versante del credito dell’imposta, mentre dall’altro lato non bilanciano tale credito Iva con l’imposta incassata dai loro clienti in quanto sono costretti ad emettere fattura senza applicazione dell’Iva.

Sul fronte Comunitario lo scenario non è dissimile da quello domestico, infatti anche in sede UE si nota un costante ampliamento delle fattispecie di cessioni/prestazioni soggette obbligatoriamente (si noti che il meccanismo è sempre obbligatorio, diversamente sarebbero pochi i soggetti che lo sceglierebbero) soggette al Reverse Charge, pur sempre condizionato alla dimostrazione del rischio concreto e rilevante di frodi IVA.

In questo contesto si cala l’adozione della Direttiva 2018/1695/UE del 6 novembre 2018 che in premessa registra che le misure di cui agli artt. 199-bis e 199-ter della direttiva 2006/11/CE si sono dimostrate misure temporanee utili e mirate nella lotta contro la frode in materia di IVA e che la scadenza di tali misure al 31 dicembre 2018 priverebbe gli Stati membri di uno strumento efficiente di lotta contro la frode in materia d’IVA, per cui ritiene appropriato prorogare tali misure per un periodo limitato, fino all’entrata in vigore prevista del regime definitivo dell’IVA.

Nel solco della direttiva in commento, uno Stato membro, in casi di imperativa urgenza, può designare il destinatario quale debitore dell’IVA su determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi come misura speciale del meccanismo di reazione rapida (Quick Reaction Mechanism - QRM) per combattere la frode improvvisa e massiccia che potrebbe condurre a perdite finanziarie gravi ed irreparabili.

L’occasione appare quindi propizia per la formulazione di una proposta di iniziativa legislativa italiana che introduca il meccanismo del Reverse Charge per il cessionario Italiano (IT1) che, nell’ambito di una operazione triangolare, promuove ed organizza la spedizione di un bene da parte di un cedente soggetto identificato UE (UE1) con destinazione finale nei confronti di un cessionario soggetto passivo Iva in Italia (IT2) indicato al cedente dal promotore della triangolazione.

Trattasi in particolare delle triangolazioni IVA nazionali che si caratterizzano per il fatto che due soggetti coinvolti su tre sono residenti in Italia.

In questo caso la merce arriva dal cedente (UE1) direttamente al cessionario finale (IT2), UE1 deve emettere fattura non imponibile ad IT1 (trattasi di cessione intracomunitaria di beni).

IT1 integra la fattura ricevuta da UE1 e la registra in acquisto ed in vendita con la conseguente redazione e trasmissione del modello Intrastat.

IT1 emette fattura ad IT2 applicando IVA italiana ordinaria.

Nel suddetto schema emerge di tutta evidenza il rischio frode connesso alla circostanza che il trader italiano promotore della triangolazione (IT1) emettendo fattura soggetta ad Iva al cessionario finale (IT2) potrebbe esser tentato di acquisire l’Iva e non versarla realizzando il fenomeno del c.d. "missing trader" ovvero di una delle fattispecie definite "frode carosello".

Il fenomeno delle frodi carosello si sviluppa, infatti, con maggiore intensità proprio nell’ambito delle operazioni intracomunitarie in cui la normativa prevede l’effettuazione di acquisti senza l’addebito dell’IVA in capo all’acquirente, abusando così della non imponibilità IVA nelle transazioni intracomunitarie.

La casistica del meccanismo illecito è alquanto eterogenea e non è sempre riconducibile ad un sistema univoco, per cui in questa sede ci limitiamo a descrivere lo schema fraudolento oggetto della proposta di modifica legislativa.

Nella sostanza ecco disegnato lo schema tipo di una frode carosello:

- una società con sede in uno Stato membro (conduit company) esegue una fornitura di merci intracomunitaria (non imponibile) ad una società fittizia (missing trader) con sede in Italia;

- la società fittizia acquista le merci senza pagare l’IVA perché in regime di Reverse Charge e poi effettua una fornitura nazionale (imponibile) ad una terza società (interponente). La società fittizia incassa l’IVA sulle vendite fatte alla interponente, non versa l’imposta e scompare;

- la interponente provvede a richiedere il rimborso dell’IVA sugli acquisti effettuati presso la società fittizia.

Lo schema fraudolento può anche assumere forme più complesse, attraverso l’inserimento di un ulteriore soggetto, il cosiddetto "buffer" che costituisce una figura non indispensabile per la frode, in quanto assume il ruolo di filtro per effetto dell’interposizione tra la società fittizia e la interponente.

Il "buffer", infatti, acquista le merci dalla società fittizia e le rivende immediatamente alla interponente emettendo regolare fattura ed adempiendo agli obblighi IVA.

L’interposizione del "buffer" consente di ostacolare la connessione diretta tra la società fittizia e l’effettivo cessionario della merce.

Per cui, in definitiva, il danno erariale derivante dalla condotta fraudolenta è pari all’IVA pagata dalla interponente alla società fittizia.

La soluzione al diffuso fenomeno delle frodi carosello potrebbe risiedere, quindi, nella introduzione del meccanismo, già ampiamente collaudato per altre tipologie di transazioni, del Reverse Charge alle cessioni di beni effettuate dal (dai) soggetto (soggetti) passivo (passivi) Iva residente (residenti), stabilito ovvero identificato in Italia che trasferisce i beni ad altro soggetto passivo Iva residente, stabilito ovvero identificato in Italia in tutti i casi in cui la merce viene fisicamente trasferita ad opera di un soggetto passivo Iva non residente in Italia.

In tal modo verrebbe meno, in capo alla società fittizia, che non incasserebbe alcun importo relativo ad Iva, la tentazione di trattenere tale importo senza provvedere al dovuto versamento all’Erario, in quanto tale incombenza resterebbe confinata all’alveo della società interponente, che riceverebbe (con modalità elettroniche) la fattura dalla società fittizia in regime di Reverse Charge, avrebbe l’onere di integrarla con l’aliquota Iva applicabile in Italia per il bene oggetto della transazione ed infine quello di registrarla sia nel registro delle fatture emesse che in quello degli acquisti.

In questo senso, la disposizione legislativa potrebbe avere il tenore che segue:

"In deroga al 1° comma dell’art. 17 del D.P.R. n. 633/1972, per le cessioni di beni acquistati da un soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato e trasferite ad un o diversi altro/i soggetto/i passivo/i d’imposta nel territorio dello Stato, ove la consegna venga effettuata da un soggetto non residente, non stabilito o non identificato nel territorio stesso ed il bene non sia ivi localizzato al momento della partenza, al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario, se soggetto passivo d’imposta nel territorio dello Stato. La fattura, emessa dal cedente senza addebito d’imposta, con l’osservanza delle disposizioni di cui agli artt. 21 e seguenti e con l’annotazione "inversione contabile" e l’eventuale indicazione della norma di cui al presente comma, deve essere integrata dal cessionario con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta e deve essere annotata nel registro di cui agli artt. 23 o 24 entro il mese di ricevimento ovvero anche successivamente, ma comunque entro 15 giorni dal ricevimento e con riferimento al relativo mese; lo stesso documento, ai fini della detrazione, è annotato anche nel registro di cui all’art. 25."

Questa iniziativa verrà prossimamente portata sui tavoli della Amministrazione Finanziaria e delle Commissioni Parlamentari competenti per valutarne benefici ed impatto.

 

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Note:

(1) Il termine "esenzione", utilizzato nella terminologia della normativa IVA europea, corrisponde, fra l’altro, alla non imponibilità di cui all’ordinamento interno.

(2) Modellato sul meccanismo applicativo del Mini One Stop Shop (MOSS) di cui agli articoli 74-quinquies, 74-sexies e 74-septies, del decreto IVA nazionale (D.P.R. n. 633/1972), per i servizi di telecomunicazione, teleradiodiffusione ed elettronici in ambito unionale.

(3) Secondo le attuali regole e, dunque, con applicazione del meccanismo dell’inversione contabile.

(4) Con applicazione dell’imposta dello Stato di destinazione a cura del fornitore.

(5) La specifica disciplina è stata frettolosamente (e parzialmente) introdotta nell’ordinamento interno dall’art. 11-bis, commi da 11 a 15, del D.L. 14 dicembre 2018, n. 135 convertito nella L. 11 febbraio 2019, n. 12 salvo esserne differita al primo gennaio 2021 (in linea con le previsioni della direttiva UE n. 2017/2455) l’entrata in vigore, come dispone l’art. 13 del D.L. 30 aprile 2019, n. 34 convertito nella L. 28 giugno 2019, n. 58. Tale norma ha tuttavia previsto l’esecuzione di stringenti obblighi comunicativi, il cui primo invio è legato all’emanazione di apposito provvedimento attuativo dell’Agenzia delle entrate. Si rammenta inoltre che le regole per i marketplace sono oggetto di ulteriore revisione e approfondimento a opera della Commissione che, al riguardo, con il documento COM(2018) 819 dell’11 dicembre 2018, si propone di stabilire norme aggiuntive volte a sostenere le modifiche introdotte.

(6) Eventuali revisioni del contenuto dell’Allegato sono previste con cadenza quinquennale (nuovo art. 100 della direttiva n. 2006/112/CE).

(7) La misura minima dell’aliquota IVA ordinaria è fissata al 15 per cento (la stessa misura attualmente in vigore), come prevede l’art. 97 della direttiva n. 2006/112/CE, la cui formulazione è stata rivista dalla direttiva UE n. 2018/912 del 22 giugno 2018, al fine di rendere permanente tale limite percentuale.

(8) L’Allegato III bis individua i beni/servizi ad aliquota ordinaria sulla base della classificazione statistica CPA dei prodotti conforme al regolamento CE n. 451/2008 del 23 aprile 2008.

(9) Circolare Assonime 18 giugno 2018, n. 14.

(10) Con ciò intendendosi i costi derivanti dagli obblighi amministrativi per conformarsi alla disciplina dell’imposta (registrazione ai fini IVA, fatturazione, contabilità, eccetera).

(11) Il regime speciale delle piccole imprese e il regime di franchigia sono disciplinati nel Titolo XII, capo 1, della direttiva n. 2006/112/CE.

(12) Con effetto dal 1° luglio 2022 ovverossia in concomitanza con l’avvio della prima fase del sistema definitivo.

(13) Si veda il par. 5 della proposta.

(14) Al riguardo, si rammenta che la materia dell’applicazione dell’aliquota ridotta IVA a libri, giornali e periodici in formato elettronico è oggetto della direttiva UE n. 2018/1713 del 6 novembre 2018, con effetto dal 26 novembre di tale anno.

(15) Come rilevato in dottrina (R. Rizzardi, Corriere Tributario, n. 40/2018, pag. 3051 ss.), "per il nostro Paese è inimmaginabile che oltre 9 miliardi di euro derivino da questo tipo di illecito (frodi carosello). L’evasione fiscale in Italia è notoriamente concentrata al dettaglio".

(16) Di diretto interesse per il nostro Paese, invece, è la direttiva UE n. 2018/1965 del 6 novembre 2018. Con tale atto, l’Unione europea ha prorogato al 30 giugno 2022 la possibilità, per gli Stati membri, di continuare ad applicare il meccanismo del reverse charge a determinate cessioni di beni e prestazioni di servizi (si tratta, per l’Italia, delle cessioni di telefoni cellulari, console da gioco, tablet PC e laptop, trasferimenti di quote di emissioni di gas a effetto serra, trasferimenti di altre unità e certificati relativi a gas ed energia elettrica, cessioni di gas e di energia elettrica a soggetti passivi rivenditori; si veda l’art. 17, comma 8, del D.P.R. n. 633/1972). Tale possibilità è stata colta dal legislatore nazionale in sede di conversione del D.L. 23 ottobre 2018, n. 119, avvenuta con L. 17 dicembre 2018, n. 136.

(17) A. Comelli, "L’armonizzazione (e il ravvicinamento) fiscale tra lo ‘Spazio unico europeo dell’IVA’, la direttiva del Consiglio "Contro le pratiche di elusione fiscale’ e l’abuso del diritto", in Diritto e Pratica Tributaria, n. 4/2018, pag. 1397 ss.

(18) Considerati gli scopi del presente elaborato, non si ritiene di procedere all’analisi di tale documento, essendo qui sufficiente osservare che esso è volto a rendere le disposizioni della direttiva conformi alle novità proposte. Per una visione d’insieme delle modifiche al testo della direttiva, si suggerisce la consultazione (sul sito dell’Unione europea) del Commission services Working Paper del 10 luglio 2018, da aggiornare con le norme introdotte dalle direttive nel frattempo approvate.

(19) Il cui riconoscimento è efficace nei confronti delle autorità fiscali di tutti gli Stati membri.

(20) Sono esclusi dalla possibilità di divenire soggetti passivi certificati (e, quindi, potranno eseguire acquisti solo con imposta applicata dal fornitore, senza possibilità di attuare il sistema dell’inversione contabile): i produttori agricoli in regime forfetario; i soggetti che operano in regime di franchigia delle PMI (come nel caso dei soggetti forfetari previsti dall’ordinamento nazionale); i soggetti che effettuano solo operazioni che non danno diritto alla detrazione dell’IVA; i soggetti che effettuano la cessione occasionale di un mezzo di trasporto nuovo ai sensi della normativa IVA comunitaria o che svolgono attività che conferiscono la soggettività passiva solo in via temporanea (l’Italia non contempla tale possibilità). Tutti questi soggetti potranno però acquisire lo status di operatore certificato per le altre attività da essi eventualmente svolte.

(21) Si veda l’art. 13-bis della direttiva n. 2006/112/CE di cui il documento propone l’introduzione.

(22) Peraltro, per chi ha ottenuto la qualifica di AEO si considerano soddisfatti i requisiti di cui al nuovo art. 13-bis della direttiva n. 2006/112/CE. In pratica, l’AEO è automaticamente soggetto passivo certificato.

(23) Dal primo luglio 2022, infatti, in tutti i casi in cui il cessionario non è un soggetto passivo certificato, l’imposta (del Paese di destinazione dei beni) è applicata direttamente dal fornitore, il quale potrà servirsi del sistema dello sportello unico, evitando di identificarsi ai fini fiscali in ognuno degli Stati verso i quali sono eseguite le cessioni.

 (24) Art. 13-bis, comma 1, lett. c) della direttiva n. 2006/112/CE.

(25) Nell’attuale sistema di detassazione nel Paese di partenza dei beni e di tassazione in quello di arrivo.

(26) Si veda, per tutte, la sentenza nella causa C-21/16 del 9 febbraio 2017.

(27) Anche l’Amministrazione finanziaria (risposta del 23 gennaio 2019 fornita nel corso di un incontro con la stampa

specializzata), dando conto della posizione assunta dalla giurisprudenza dell’Unione europea, riferisce dell’attuale rilevanza formale dell’identificativo IVA, sottolineando, però, le modifiche in arrivo (già trasfuse, come si dirà in seguito, nella direttiva UE n. 2018/1910 del 4 dicembre 2018).

(28) Al pari delle novità in materia di identificazione IVA, anche le nuove regole sul regime del call off stock hanno trovato spazio nella direttiva UE n. 2018/1910 del 4 dicembre 2018, oltre che nel regolamento UE n. 2018/1912 in pari data (si veda l’apposito paragrafo dedicato a tali documenti).

(29) Per i trasferimenti in regime di consignment stock in ambito comunitario (tralasciando qui le possibili differenze fra la fattispecie del consignment stock e quella del call off stock), si segnalano la risoluzione n. 235 del 18 ottobre 1996 e la risoluzione n. 44 del 10 aprile 2000. Analoga disciplina è considerata applicabile, con i dovuti aggiustamenti, anche per i contratti correnti con soggetti di Paesi non appartenenti all’Unione europea.

(30) Presupposto venuto meno, in considerazione dell’anticipata entrata in vigore della disciplina (dal primo gennaio 2020), attuata con la direttiva UE n. 2018/1910.

(31) E riservandosi di tornare sul tema in sede di esame della direttiva UE n. 2018/1910 del 4 dicembre nella quale sono state trasfuse le norme proposte.

(32) Si tratta del regolamento UE n. 282/2011 del 15 marzo 2011.

(33) La proposta è contenuta nel documento COM(2017) 568 esaminato nel paragrafo successivo.

(34) I documenti 569, 568 e 567 sono tutti del 4 ottobre 2017.

(35) Vedi sub paragrafo 1.1.

(36) Vedi nota 7.

(37) Vedi nota 14.

(38) Vedi nota 16.

(39) Vedi sub paragrafo 2.

(40) Che istituisce il codice doganale dell’Unione europea.

(41) Resteranno pertanto intatti (e anzi "irrobustiti") gli obblighi di verifica della validità del numero identificativo del cessionario, prima di dar corso all’operazione. Di qui, la necessità che le amministrazioni fiscali curino con tempestività l’aggiornamento e la manutenzione dei dati consultabili dagli operatori.

(42) Salvo che il cedente non giustifichi debitamente la propria mancanza "secondo modalità ritenute soddisfacenti dalle autorità competenti".

(43) La tematica delle operazioni triangolari, categoria cui appartengono anche le transazioni "a catena", forma oggetto di uno specifico separato approfondimento all’interno del presente lavoro.

(44) Si tratta delle sentenze nelle cause C-245/04 del 6 aprile 2006, C-430/09 del 16 dicembre 2010, C-386/16 del 26 luglio 2017, C-628/16 del 21 febbraio 2018, C-580/16 del 19 aprile 2018 e C-414/17 del 19 dicembre 2018.

(45) Che non trova applicazione nelle situazioni di cui all’art. 14-bis della direttiva n. 2006/112/CE (norma introdotta dalla direttiva UE n. 2017/2455 il cui effetto è posticipato al primo gennaio 2021), con riguardo alle operazioni realizzate attraverso i cosiddetti marketplace.

(46) Trattandosi di comunicazione indicata come eventuale, se ne dovrebbe dedurre che, anche qualora l’operatore intermedio sia dotato di un numero identificativo IVA nello Stato del cedente, ma non lo comunichi a tale soggetto, l’operazione possa essere trattata come previsto al paragrafo 1.

(47) Oltre che per poter recuperare l’imposta applicata sulla cessione eseguita da UE.

(48) Sembra possibile affermare che la regolamentazione della fattispecie sia riferibile anche ai rapporti qualificati come di consignment stock, espressione che può sottendere alcune differenze con il contratto di call off stock, soprattutto con riguardo alle finalità d’utilizzo dei beni oggetto di trasferimento (uso industriale o commerciale) che in alcuni ordinamenti potevano determinare una diversa disciplina IVA. In ambito interno, l’Amministrazione finanziaria non pare operare distinzioni, riservando lo stesso trattamento quale che sia l’uso che viene fatto dei beni trasferiti.

(49) A seconda delle regole in vigore nello Stato di arrivo dei beni per le cessioni interne a tale Stato, poste in essere da soggetti che non sono ivi stabiliti.

(50) Fra tali condizioni, considerata l’anticipazione degli effetti della modifica al primo gennaio 2020, non vi è più quella che l’operazione intervenga fra soggetti passivi certificati.

(51) Fra cui la rispedizione (reso) dei beni spediti.

(52) Il controllo dei beni movimentati nell’ambito di un contratto di consignment stock è già previsto dalla prassi interna mediante richiamo al registro di cui all’art. 50, comma 5, del D.L. n. 331/1993 (convertito dalla L. n. 427/1993). Resta semmai da comprendere se, in base alla nuova norma comunitaria, si renda necessaria l’istituzione di un nuovo apposito registro, espressamente dedicato a tali operazioni, oppure se possa continuare a utilizzarsi quello di cui alla disposizione appena richiamata, il quale riporta le annotazioni relative anche ad altre movimentazioni di beni a titolo non traslativo della proprietà.

(53) Introdotto dal regolamento UE n. 2018/1912 del 4 dicembre 2018.

(54) Documento COM(2017) 568 final.

(55) Le vendite a distanza nei confronti di soggetti passivi identificati ai fini IVA in altri Stati membri sono invece "normali" cessioni intracomunitarie. Allo stesso modo, se la cessione ha per oggetto beni che formano oggetto di esportazione, si rendono applicabili le specifiche regole in materia di cessione all’esportazione contenute nel D.P.R. n. 633/1972.

(56) Disciplinate dagli artt. 40, comma 3 e 41, comma 1, lett. b) del D.L. n. 331/1993.

(57) Tale norma conteneva (in origine) le disposizioni IVA per i servizi resi tramite mezzi elettronici a committenti comunitari non soggetti passivi d’imposta da parte di soggetti domiciliati o residenti fuori dalla Comunità europea.

(58) Le modalità di recepimento nella normativa nazionale della direttiva n. 2008/8/CE (che modifica la direttiva n. 2006/112/CE) sono state illustrate dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 22/E del 26 maggio 2016 così intitolata: "IVA.

Prestazioni di servizi di telecomunicazione, di teleradiodiffusione ed elettronici - Territorialità - Regime speciale del c.d. "Mini One Stop Shop" (MOSS)". Nella prima parte di tale documento, l’Agenzia esamina le modifiche alle regole di territorialità IVA delle prestazioni TTE vigenti a decorrere dal primo gennaio 2015. Successivamente, la circolare fornisce chiarimenti sul "regime MOSS", anch'esso applicabile dal primo gennaio 2015 e che, come sottolineato, offre la possibilità a tutti i soggettiche effettuino prestazioni di servizi TTE nei confronti di committenti non soggetti passivi di imposta domiciliati nell'Unione europea, di identificarsi in un unico Stato membro al fine di adempiere gli obblighi connessi all'assolvimento dell'IVA per le prestazioni rese in ciascuno Stato membro. La circolare, inoltre, analizza dettagliatamente i due regimi (quello per i prestatori stabiliti nell’Unione europea e quello per i soggetti stabiliti fuori Unione europea), con particolare attenzione alla normativa italiana di recepimento di cui agli articoli 74-quinquies, 74-sexies e 74-septies del D.P.R. n. 633/1972, nonché alla disciplina dei controlli e delle sanzioni. A livello di chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria, si segnala, per l’attualità della materia conseguente al recente innalzamento dei limiti di ricavi per l’adesione al cosiddetto regime forfettario, la risoluzione n. 75/E del 28 agosto 2015. Tale risoluzione precisa che i contribuenti minimi e forfettari che prestano servizi TTE nei confronti di consumatori comunitari non soggetti passivi IVA, sono tenuti, per adempiere correttamente i propri obblighi, all’identificazione in ciascuno degli Stati membri in cui essi operano o ad avvalersi del regime speciale MOSS. In caso di operazioni B2B, sarà invece il committente comunitario soggetto passivo ad assolvere l’imposta, trattandosi in questo caso di operazioni considerate fuori campo IVA in Italia.

(59) Si veda il paragrafo 1.1.

(60) La direttiva n. 2009/132/CE tratta dell’esenzione IVA di talune importazioni di beni. La disciplina (di cui si dirà successivamente) è interessata dalle modifiche alle regole previste per le vendite a distanza di beni.

(61) Allo stato, infatti, non risulta ancora approvata la legge di delegazione europea che dovrebbe recepire la disciplina di cui alla direttiva UE n. 2017/2455.

(62) O al suo controvalore in moneta nazionale.

(63) Sono pertanto eliminate le soglie che gli Stati membri potevano adottare e che, potendo essere diverse da Stato a Stato, determinavano rilevanti complicazioni amministrative agli operatori.

(64) Limitando l’ambito della norma a telefoni cellulari, console da gioco, tablet PC e laptop, oltre che "dimenticando" di coordinare le nuove disposizioni con le altre norme della direttiva, senza peraltro tener conto delle ulteriori proposte di modifica di cui ai documenti COM(2018) 819 e 821 dell’11 dicembre 2018.

(65) Data d’entrata in vigore dell’art. 11-bis, commi da 11 a 15, del D.L. n. 135/2018.

(66) Data d’entrata in vigore del D.L. n. 34/2019.

(67) Documento COM(2018) 819 final.

(68) Per esigenze di coerenza, la Commissione propone inoltre, in relazione al pagamento dell’IVA all’importazione,

l’armonizzazione dei termini di pagamento, da allinearsi al termine per il pagamento globale dell’obbligazione doganale di cui all’art. 111 del codice doganale UE che prevede una dilazione del pagamento fino alla metà del mese successivo a quello di importazione. Il tutto con decorrenza dal primo gennaio 2021.

(69) Tali disposizioni non possono essere esaminate in questa sede. Si reputa tuttavia opportuno segnalare che, fra le modifiche proposte, sono contenute le regole che disciplinano il momento d’effettuazione delle operazioni realizzate tramite marketplace.

70) Temporaneità ormai permanente, viste le difficoltà di omogeneizzazione degli ordinamenti IVA dei Paesi aderenti alla UE per arrivare al Regime definitivo della debenza dell’IVA del paese di partenza con detraibilità in caso al cessionario/committente ubicato nell’altro paese UE.

71) Per quanto concerne l’ulteriore requisito dell’iscrizione al VIES dell’operatore economico controparte di una potenziale cessione intracomunitaria, vedasi l’apposito capitolo di questo documento.

72) La neutralità dell’imposta nei passaggi e rapporti B2B è requisito fondante della Direttiva 2006/112 UE e tale assunto va sempre ricordato in ogni sede di verifica, di fase precontenziosa e contenziosa in quanto, in certi frangenti, viene strumentalmente dimenticato dalla A.F., con vizio insanabile dell’iter logico giuridico su cui si basa la potenziale azione accertatrice. Il tutto fatti ovviamente salvi i casi di falsità o di abuso comprovati dalla A.F. stessa.

73) Tale carenza genera una sorta di "vuoto normativo" che, vista la univocità della prassi amministrativa in materia, andrebbe colmato con una interpretazione autentica della norma originaria del D.L. n. 331/1993 nell’ottica anche di quanto contenuto nell’art. 10 della L. n. 212/2000 in termini di legittimo affidamento.

74) Per la compiuta verifica delle clausole di resa della merce scambiata vedasi la tabella aggiornata degli Incoterms vedasi, ad esempio, https://www.xpedinternational.com/news-it/incoterms-2010/.

75) Per un completo excursus sull’ambito applicativo delle disposizioni citate di semplificazione in materia di iscrizione al VIES vedasi anche circolare Assonime 17 marzo 2015, n. 6.

76) Cfr. art. 2 della Direttiva (UE) 2018/1910 del 4 dicembre 2018.

77) Cfr. art. 138 della Direttiva 2006/112/CE come modificato dalla Direttiva 2018/1910 citata e punto (7) delle premesse della Direttiva 2018/1910.

78) Sulla valenza giuridica estesa degli interpelli pubblicati (ex art. 10 L. n. 212/2000) sarebbe necessaria una presa di posizione della Agenzia delle Entrate, rispetto al Provvedimento citato, anche e soprattutto alla luce della criticabile pronuncia della Cassazione di cui all’Ordinanza numero 9719 pubblicata il 19 aprile 2018 (non oggetto del presente elaborato).

79) Acronimo di Convention des Merchandises par Route del 19 maggio 1956.

80) Come sarebbe auspicabile.

81) Sezione 3 contro la Direzione Regionale delle Entrate della Lombardia: Sentenza 2154/2019 depositata il 16 maggio 2019.

82) Come già visto nella prassi questa circostanza non sarebbe mai stata sufficiente a comprovare la valenza di non imponibilità della cessione intracomunitaria.

83) Questa precisazione relativamente alla constatata diligenza professionale andrebbe sempre richiesta in fase di ricorso perché potrebbe avere una importante valenza anche nell’eventuale ambito penale, nel quale il comportamento del soggetto accusato potrebbe risultare dirimente.

84) Anche questo principio di carattere giuridico andrebbe sempre posto quale questione dirimente in fase contenziosa.

85) Anche questa affermazione coraggiosa della Commissione Tributaria Provinciale di Milano andrebbe sempre ripresa perché genera un onere invalicabile a carico dell’Amministrazione Finanziaria che voglia disconoscere la documentazione prodotta dal contribuente

86) Del resto, la diligenza professionale ex art. 1176 II comma c.c. è connaturata alla accettazione della carica di amministratore e/o alla gestione imprenditoriale in genere e quindi è parte essenziale dello svolgimento di qualunque attività munita di partita IVA.

87) Cfr. art. 39 comma 1 D.P.R. n. 600/1973 e 54 comma 2 D.P.R. n. 633/1972.

88) Al di là del citato dubbio circa la validità nei confronti di tutti i contribuenti delle risposte agli interpelli pubblicate dall’Agenzia delle Entrate che tuttavia non dovrebbe incidere in termini di legittimo affidamento del contribuente riguardo

ad una pronuncia pubblicata dalla Agenzia delle Entrate.

89) Per una questione di uniformità nel presente documento si è preferito utilizzare indifferentemente il termine "comunitarie" o "intracomunitarie" anziché "unitarie" o "eurounitarie", come si sarebbe dovuto dopo la variazione di denominazione da Comunità Europea ("CE") a Unione Europea ("UE"), mentre nel proseguo gli Stati membri si identificheranno in "UE1", "UE2" e "UE3" al pari degli operatori A-B-C per identificare i soggetti che intervengono nelle operazioni triangolari.

90) Le frodi carosello non sono oggetto di questa relazione anche se regole più stringenti e precise nelle operazioni triangolari possono avere un effetto nel settore.

91) Identificandosi direttamente o nominando un rappresentante fiscale.

92) Su iniziativa proprio dell’Italia che già aveva regolamentato il fenomeno delle "triangolazioni con l’estero" (art. 8 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) a partire dal 1° gennaio 1981 con lo scopo di non danneggiare gli esportatori a causa dei forti ritardi nei rimborsi IVA e dei costi che gravavano sulle imprese operanti in un settore da incoraggiare in quanto economicamente favorevole all’economia nazionale.

93) In particolare quest’ultima circolare ha trattato al paragrafo 8 le OPERAZIONI QUADRANGOLARI, cioè quelle transazioni c.d. "a catena", a cui partecipano operatori in numero superiore a tre e dislocati in più Stati comunitari. La circolare min. finanze n. 145 del 1998 osserva che la problematica riguardante tali operazioni ha formato oggetto di esame in ambito comunitario ma, a differenza di quanto avvenuto per le operazioni triangolari, non ha trovato soluzione per una serie di motivazioni legate da un lato alla territorialità dell’IVA, dall’altro alle difficoltà di controllo e alla legittimità della compilazione degli elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie da parte di tutti i soggetti partecipanti a tali transazioni economiche in discorso. Allo stato attuale, tale tipologia di operazioni non può godere delle semplificazioni previste per l’operazione triangolare, ma è sempre necessaria un’interruzione dei rapporti mediante la nomina di un rappresentante fiscale nello Stato membro di partenza o in quello di arrivo dei beni.

94) Questo, come chiarito nella circolare min. finanze n. 13 del 1994, è il sistema semplificato delle triangolazioni comunitarie e presuppone sempre l’intervento di tre soggetti appartenenti a tre diversi Stati membri. Altri tipi di operazioni triangolari semplificate non sono state previste dalle norme comunitarie, per cui ai fini della loro disciplina ogni Stato fa riferimento alla sua disciplina interna per quanto compatibile con le norme comunitarie.

95) i.e. Francia.

96) i.e. Germania.

97) Secondo la circolare min. finanze 23 febbraio 1994, n. 13, in questa situazione l’acquisto intracomunitario dell’operatore francese viene effettuato in Italia ma, per evitare che questi debba identificarsi direttamente o nominare un proprio rappresentante fiscale in Italia che rilevi l’acquisto intracomunitario, è previsto che possa designare l’acquirente italiano al pagamento dell’imposta in Italia in sua sostituzione. Secondo tale regola l’operazione, da un punto di vista giuridico non costituisce acquisto intracomunitario per l’operatore italiano (art. 38, comma 7), ma una cessione interna nello Stato, con esonero per il cedente francese di nominarsi un proprio rappresentante fiscale in Italia o di identificarsi direttamente.

98)Secondo la Risoluzione n. 321/E del 9 novembre 2007, non si applica nessuna sanzione, né ai fini IVA né ai fini statistici, per acquisti intracomunitari inesatti in un’operazione triangolare, se l’errore è stato commesso dal fornitore residente in altro Stato membro e l’acquirente italiano si è comportato in linea con le disposizioni nazionali. Secondo l’Agenzia delle entrate, che rispondeva ad un’istanza di interpello, il principio del legittimo affidamento e della buona fede del contribuente comporta la non irrogazione di sanzioni nel caso in cui le violazioni siano meramente formali, senza alcun debito d’imposta, e non siano pregiudizievoli dell’attività di controllo dell’amministrazione finanziaria. Inoltre, la regolarizzazione a posteriori di una operazione triangolare comunitaria non comporta l’applicazione di sanzioni nei confronti degli acquirenti italiani che all’epoca dei fatti si erano comportati correttamente, in considerazione del fatto che la procedura di correzione esaminata nella risoluzione è stata effettuata a seguito dell’iniziativa di un’autorità fiscale estera per esigenze di coordinamento normativo e di controllo negli scambi intracomunitari.

99) Così la circolare min. finanze n. 13 del 23 febbraio 1994, paragrafo 16.2, ultimo periodo.

100) i.e. Francia.

101) i.e. Germania.

102) "È comunque effettuato senza pagamento dell’imposta l’acquisto intracomunitario di beni spediti o trasportati in altro Stato se i beni stessi risultano ivi oggetto di successiva cessione a soggetto d’imposta nel territorio di tale Stato o ad ente ivi assoggettato ad imposta per acquisti intracomunitari se il cessionario risulta designato come debitore dell’imposta relativa" (art. 40 comma 2 secondo periodo).

103) Da qui la modifica apportata dalla Direttiva 2018/1910 del 4 dicembre 2018 che ha introdotto il nuovo art. 36-bis nella Direttiva IVA per definire nelle operazioni a catena a quale debba essere imputato il beneficio dell’esenzione dall’IVA prevista per le cessioni intracomunitarie (vedi precedente paragrafo 6.1.2)

104) Ad analoghe conclusioni giunge la sentenza Italmoda, ove un olandese acquistava da un tedesco e rivendeva ad un italiano che non assolveva l’IVA nel proprio Paese. La Corte avalla la posizione del fisco olandese che, verificata l’esistenza di una frode, aveva contestato alla società olandese di aver fatto un acquisto comunitario assoggettato ad IVA olandese dalla Germania (anche se la merce non è mai entrata in Olanda) e la relativa detrazione IVA, e contesta l’assoggettamento ad IVA olandese della cessione comunitaria fatta verso l’Italia (cessione di merce che non è mai partita dall’Olanda). La Corte stabilisce infatti che il contribuente che partecipa ad una «frode carosello» può vedersi negare la detrazione dell’imposta e il rimborso dell’IVA pagata a monte per l’acquisto dei beni oggetto della frode. Al medesimo contribuente può essere richiesta l’IVA sulla cessione intracomunitaria effettuata, con perdita del beneficio della «non imponibilità» dell’operazione. L’evasione commessa nello Stato membro di arrivo, inoltre, non pregiudica il recupero dell’imposta nello Stato membro di partenza anche in assenza di disposizioni legislative specifiche in quest’ultimo Stato, ciò anche se lo stesso soggetto passivo abbia rispettato le condizioni formali previste dalla normativa nazionale per poter beneficiare di tali diritti.

105) Il commento dettagliato alla Direttiva è oggetto di precedente capitolo cui si rinvia