Prassi - MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO - Parere 27 aprile 2016, n. 116663

Attività di tintolavanderia. Vendita di prodotti connessi

 

Codesto Sportello ha sottoposto alla scrivente Amministrazione un quesito in ordine alla questione «se l’autorizzazione a svolgere l’attività di [tinto]lavanderia [dia] la facoltà di vendere (...) prodotti connessi all’attività, in analogia a quanto previsto dalla legge sulle estetiste».

La legge 22 febbraio 2006, n. 84, nel disciplinare l’attività professionale di tintolavanderia ne detta, al comma 1 dell’articolo 2, una definizione secondo cui essa deve riconoscersi nella «(...) attività dell’impresa costituita e operante ai sensi della legislazione vigente, che esegue i trattamenti di lavanderia, di pulitura chimica a secco e ad umido, di tintoria, di smacchiatura, di stireria, di follatura e affini, di indumenti, capi e accessori per l’abbigliamento, di capi in pelle e pelliccia, naturale e sintetica, di biancheria e tessuti per la casa, ad uso industriale e commerciale, nonché ad uso sanitario, di tappeti, tappezzeria e rivestimenti per arredamento, nonché di oggetti d’uso, articoli e prodotti tessili di ogni tipo di fibra».

A differenza di quanto stabilito dalla legge 17 agosto 2005, n. 174, in relazione all’attività dell’acconciatore, e dalla legge 4 gennaio 1990, n. 1, con riferimento all’attività degli estetisti (le quali, rispettivamente con l’articolo 2, comma 5, e con l’articolo 7, comma 1, consentono alle imprese esercenti di vendere o comunque cedere ai clienti prodotti connessi ai trattamenti effettuati), la legge 84/2006 non disciplina l’ipotesi in cui l’impresa esercente l’attività di tintolavanderia intenda cedere alla propria clientela prodotti (quali, ad esempio, smacchiatori, deodoranti, o altri prodotti per la cura e l’igiene dei capi di abbigliamento).

Come noto, tuttavia, con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, sono state introdotte disposizioni normative volte a disciplinare il settore del commercio, stabilendo - per espressa previsione dell’articolo 1, comma 1 - principi e norme generali sull’esercizio dell’attività commerciale, ed individuando tra le finalità della disciplina di settore «la trasparenza del mercato, la concorrenza, la libertà di impresa e la libera circolazione delle merci; (...) la tutela del consumatore, con particolare riguardo all’informazione, alla possibilità di approvvigionamento, al servizio di prossimità (...); (...) il pluralismo e l’equilibrio tra le diverse tipologie delle strutture distributive e le diverse forme di vendita, con particolare riguardo al riconoscimento e alla valorizzazione del ruolo delle piccole e medie imprese; (...) la valorizzazione e la salvaguardia del servizio commerciale nelle aree urbane, rurali, montane, insulari» (così l’articolo 1, comma 3, lettere a), b), d) ed e)).

La vendita da parte di una tintolavanderia di prodotti connessi all’attività professionale costituisce senz’altro commercio al dettaglio, definito dall’articolo 4, comma 1, lettera b) del decreto legislativo come «l’attività svolta da chiunque professionalmente acquista merci in nome e per conto proprio e le rivende, su aree private in sede fissa o mediante altre forme di distribuzione, direttamente al consumatore finale». Il successivo comma 2 del medesimo articolo stabilisce però, alla lettera f), che la disciplina introdotta dal decreto legislativo 114/98 non trovano applicazione con riferimento «agli artigiani iscritti nell’albo di cui all’articolo 5, primo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443, per la vendita nei locali di produzione o nei locali a questi adiacenti dei beni di produzione propria, ovvero per la fornitura al committente dei beni accessori all’esecuzione delle opere o alla prestazione del servizio». La norma, del resto, ripete la disposizione di cui al settimo comma dell’articolo 5 della legge 8 agosto 1985, n. 443, ai sensi della quale «per la vendita nei locali di produzione, o ad essi contigui, dei beni di produzione propria, ovvero per la fornitura al committente di quanto strettamente occorrente all’esecuzione dell’opera o alla prestazione del servizio commessi, non si applicano alle imprese artigiane iscritte all’albo [delle imprese artigiane] le disposizioni relative all’iscrizione al registro degli esercenti il commercio o all’autorizzazione amministrativa di cui alla legge 11 giugno 1971, n. 426 (NOTA 1), fatte salve quelle previste da specifiche normative nazionali».

Alla luce delle norme richiamate sembra dunque potersi dedurre che la vendita di prodotti connessi all’attività professionale, in quanto occorrenti alla esecuzione dell’opera o alla prestazione del servizio artigianale offerto al pubblico, sia certamente consentita alle tintolavanderie esercite da imprese artigiane iscritte nel relativo albo, senza ulteriori adempimenti.

Si ritiene viceversa che tale disposizione di particolare favore non possa essere estesa in via d’analogia a tutte le imprese esercenti l’attività di tintolavanderia, pur se sprovviste della qualità di impresa artigiana. A questa soluzione sembrano porsi d’ostacolo tanto la lettera delle norme esaminate quanto la considerazione che l’esercizio dell’attività di vendita al dettaglio su aree private in sede fissa è invece soggetto in generale alle norme di cui al Titolo III del decreto legislativo 114/98, le quali sottopongono l’insediamento di attività commerciali a specifici adempimenti in assenza dei quali la vendita al dettaglio non può essere svolta. E’ invece certamente possibile che una impresa non artigiana eserciti nei medesimi locali tanto l’attività di tintolavanderia quanto l’attività di vendita al dettaglio ove essa presenti l’apposita segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) prescritta per gli esercizi di vicinato ovvero consegua i titoli autorizzativi prescritti negli altri casi dalla disciplina commerciale.

 

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Nota

(1) Abrogata dall’articolo 26, comma 6, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114.