Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 14 aprile 2016, n. 7433

Licenziamento - Superamento del comporto - Sospensione - Aspettativa

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 24.1.12 il Tribunale di Caltagirone, in accoglimento parziale del ricorso proposto da F.G. nei confronti della società F.lli A. s.r.l., dichiarava illegittimo il licenziamento da questa intimatogli per superamento del periodo di comporto con condanna della società resistente all'immediata reintegra del ricorrente nel posto di lavoro ed alle ulteriori conseguenze di cui all'art. 18 della legge n. 300\70, nonché al pagamento della somma di euro 47.371,14, oltre accessori, a titolo di differenze retributive ivi compreso il compenso per lavoro straordinario.

Riteneva il Tribunale che il datore di lavoro aveva illegittimamente fatto decorrere il periodo di aspettativa concesso su richiesta del dipendente dal 19 gennaio 2007 anziché dal primo gennaio o quanto meno dal 15 gennaio, con la conseguenza che il maturarsi del periodo di comporto era dipeso dal comportamento contrario a buona fede della società, che avrebbe dovuto invece sospendere il periodo di comporto per effetto del periodo di aspettativa concesso.

Riteneva inoltre il Tribunale che il ricorrente avesse svolto sin dall'inizio del rapporto, per come risultante dal contratto di assunzione, mansioni di quinto livello di cui al c.c.n.I. di categoria pacificamente applicato e che, sempre a norma del suddetto contratto, il dipendente aveva maturato dopo 18 mesi il diritto al passaggio al quarto livello, con conseguente diritto alle relative differenze retributive. Riteneva infine il Tribunale che il ricorrente avesse fornito prova sufficiente dello svolgimento di un orario superiore a quello ordinario e precisamente di cinque ore e mezza il mercoledì e di nove ore al giorno nei restanti giorni, compreso il sabato, con conseguente diritto ai relativi compensi, detratto quanto percepito.

Rigettava ogni altra domanda proposta dal ricorrente.

Avverso tale sentenza proponeva appello la società; resisteva il lavoratore, proponendo altresì appello incidentale quanto alle domande non accolte.

Con sentenza depositata il 22 marzo 2013, la Corte d'appello di Catania rigettava l'appello principale e dichiarava inammissibile quello incidentale.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società F.lli A. s.r.l., affidato a sette motivi.

Resiste il F. con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. - Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e\o falsa applicazione degli artt. 112, 116 e 346 c.p.c.(art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).

Lamenta che la Corte di merito, motivando l'illegittimità del licenziamento per non avere la società accolto la richiesta di ferie avanzata dal lavoratore in prossimità dello scadere del periodo di aspettativa, non aveva considerato che il lavoratore non aveva riproposto alcuna domanda in ordine alla rilevanza della lettera 27.4.07 con cui aveva chiesto la concessione di un periodo di ferie, domanda che pertanto doveva ritenersi abbandonata, mentre il giudice d'appello sostituì d'ufficio la motivazione del Tribunale (secondo cui la richiesta di aspettativa aveva sospeso il periodo di comporto), con altra, mutandone il titolo, e cioè la richiesta del periodo di ferie.

Il motivo è infondato.

Deve infatti osservarsi che non vi è stata alcuna modificazione officiosa della domanda, che è sempre rimasta quella basata sulla dedotta illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto, né alcuna violazione dell'art. 346 c.p.c., risultando peraltro che il Tribunale ritenne assorbita la questione del diritto alle ferie sicché non vi era alcun bisogno, da parte del lavoratore, quanto alla illegittimità del licenziamento vittorioso, di riproporre la questione in appello (Cass. n. 6803\2003). Risulta in ogni caso che la questione del diritto alle ferie venne "ribadita dalla difesa dell'appellato in questa sede" (pag. 5 sentenza), mentre la società non chiarisce (né produce), in contrasto col principio di autosufficienza, il contenuto della memoria di costituzione in appello del F..

2. - Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2109 e 2110 c.c., nonché dell'art. 174 del c.c.n.I. Confcommercio del 2.7.04. Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente che, decorso, oltre al periodo di comporto di malattia (18.1.07), anche quello di aspettativa richiesto dal F. e concesso dalla società (19.1.07-30.4.07), la società non potesse recedere dal rapporto, come previsto dalle norme invocate e segnatamente dal c.c.n.I., in quanto avrebbe dovuto concedere altresì le ferie richieste dal lavoratore il 27.4.07 (per il periodo 1.5.-19.5.07).

Il motivo è infondato.

Deve infatti rimarcarsi che secondo un orientamento di questa Corte il lavoratore non potrebbe scegliere arbitrariamente il periodo di godimento delle ferie, né imputare a ferie le assenze per malattia, trattandosi di evento che va coordinato con le esigenze di un ordinato svolgimento dell'attività dell'impresa e la cui concessione costituisce una prerogativa riconducibile al potere organizzativo del datore di lavoro, Cass. 14 maggio 1997 n. 4217, Cass. 2 ottobre 1998 n. 9797, Cass. 14 aprile 2008, n. 9816, Cass. 22 aprile 2008 n. 10352. Secondo un diverso e ormai consolidato indirizzo, deve invece ritenersi prevalente l’interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto, Cass. 11 maggio 2000, n. 6043, Cass. 17 febbraio 2000, n. 1774; Cass. 26 ottobre 1999, n. 12031, Cass. 15 dicembre 2008 n. 29317, Cass. 3 marzo 2009 n. 5078, conseguendone che il lavoratore ha la facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto, gravando quindi sul datore di lavoro, cui è generalmente riservato il diritto di scelta del tempo delle ferie, dimostrare - ove sia stato investito di tale richiesta - di aver tenuto conto, nell'assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto. L'orientamento risulta confermato dai successivi arresti di legittimità (cfr. Cass. 7 giugno 2013 n. 14471) ove sono valorizzati i canoni di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, con conseguente cassazione della sentenza d'appello che "pur dando atto, correttamente, che non esisteva nessuna norma che imponesse l’accoglimento delle ferie - rimesse ad una valutazione discrezionale del datore di lavoro chiamato a bilanciare esigenze contrapposte - non aveva tuttavia considerato che, al fine di evitare il licenziamento, e quindi la perdita del posto di lavoro, fonte di reddito per il lavoratore e la sua famiglia, l'ordinamento, in ossequio alle clausole generali di correttezza e buona fede, avrebbe imposto alla società di venire incontro alla richiesta del lavoratore, una volta ponderati i contrapposti interessi".

Nella specie la sentenza impugnata ha accertato che il datore di lavoro non aveva neppure dedotto, né tampoco provato, la sussistenza di ragioni organizzative ostative alla concessione delle ferie, sicché il motivo è infondato.

3. - Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 18 L. n. 300/970, 2110, 2697, 2727 e 2729 c.c.

Lamenta che la sentenza impugnata ritenne erroneamente infondata la censura della società appellante secondo cui in ogni caso il risarcimento del danno in favore del F. avrebbe dovuto essere limitato alla misura minima di legge, in considerazione del fatto che il lavoratore non aveva provato di essere idoneo a riprendere il servizio dopo la lunga malattia ed il perdurare della stessa.

La censura è infondata, non contestando adeguatamente l'accertamento della sentenza impugnata secondo cui l'eccezione non risultava proposta in primo grado e dunque era inammissibile ex art. 345, comma 2, c.p.c. La Corte di merito ha anche accertato che la società non aveva ritualmente dedotto e\o provato fatti o circostanze idonee a determinare la riduzione del risarcimento di cui all'art. 18 L. n. 300\1970.

Può solo aggiungersi che la società mostra di confondere l'inabilità assoluta (ma temporanea) al lavoro, di cui alla certificazione medica da essa richiamata, con l'inabilità (sempre assoluta ma) definitiva che sola potrebbe consentire di affermare l'inidoneità (o impossibilità) sopravvenuta della prestazione lavorativa per i fini che qui interessano.

4. - Con il quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. Lamenta che la sentenza impugnata non accolse l'eccezione di inammissibilità della domanda del F. diretta al riconoscimento degli importi di lavoro straordinario, riconosciutigli erroneamente dal Tribunale, senza considerare che tale domanda, pur contenuta nel ricorso introduttivo, non era stata riportata nelle relative conclusioni.

Il motivo è infondato, non contenendo una specifica censura in ordine all'argomentazione della sentenza impugnata secondo cui tale domanda ben poteva e doveva ritenersi compresa nell'originario petitum (come emergeva sia dalla pagina 8 del ricorso, ove si indicava esattamente la somma di €.38.342,42 richiesta a titolo di lavoro straordinario, sia dalla somma complessiva del credito contenuta nelle conclusioni, ove nella somma di €.66.389,84 era compreso esattamente il primo importo).

5. - Con il quinto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., 2727 e 2729 c.c.

Lamenta che la sentenza impugnata non considerò adeguatamente che l'onere di provare il maggiore orario di lavoro reclamato dal ricorrente gravava su quest'ultimo, ed a tal riguardo evidenzia che dall'istruttoria espletata, di cui riporta taluni brani di deposizioni testimoniali, tale prova non era emersa.

6. - Con il sesto ed il settimo motivo la società denuncia la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché dell'art. 97 del c.c.n.I. di categoria.

Lamenta che la sentenza impugnata riconobbe al F. le differenze retributive richieste, calcolate sulla qualifica di ausiliario alle vendite (di quinto livello) e non già di operaio comune come in effetti era inquadrato (di sesto livello) in base alle mansioni effettivamente svolte, come era emerso dalle testimonianze raccolte, di cui evidenzia taluni brani.

7. - I motivi da cinque a sette possono essere congiuntamente esaminati stante la loro connessione e risultano inammissibili.

Deve premettersi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa, Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394.

E'evidente che nella specie è censurata l'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, che infatti la società ricorrente cita frequentemente a sostegno del suo assunto, risolvendosi così in un vizio motivo.

Deve poi rimarcarsi che non può ritenersi correttamente denunciato un vizio di violazione di legge, bensì sempre un vizio motivo, allorquando la censura inerente l'erronea ricognizione e valutazione della fattispecie concreta da parte del giudice di merito sia denunciata sub violazione dell'art. 115 e\o 116 c.p.c. (cfr. Cass. n. 15205\14).

Deve dunque rimarcarsi che "..Il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 cod. proc. civ. introduce nell'ordinamento un vizio specifico che concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L'omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. La parte ricorrente dovrà indicare - nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e all'art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), - il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui ne risulti l'esistenza, il "come" e il "quando" (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la "decisività" del fatto stesso" (Cass. sez.un. 22 settembre 2014 n. 19881). Nella specie la Corte siciliana ha adeguatamente accertato, sulla base delle risultanze istruttorie di cui fornisce adeguati riscontri, i fatti storici in questione (orario di lavoro e mansioni svolte dal dipendente), non consentendone dunque un riesame in questa sede nel vigore del novellato n. 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c.

8. Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €.100,00 per esborsi, €.4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.