Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 23 novembre 2015, n. 23840

Rapporto di lavoro - Dipendente bancario - Operazioni sospette - Licenziamento per giusta causa

Svolgimento del processo

D.G., dipendente della Intesa San Paolo spa, veniva licenziato per giusta causa in relazione a tre addebiti disciplinari contestati unitariamente e concernenti le transazioni effettuate sulla propria carta di credito nel periodo ottobre 2007-febbraio 2008, un'operazione contabile effettuata in data 2.5.2008 e un'arbitraria contabilizzazione del 23.5.2008. Il Giudice di primo grado rigettava la domanda del D. di annullamento del recesso; la Corte di appello con sentenza del 1.8.2012 rigettava l'appello del lavoratore, salvo il punto concernente la regolazione delle spese del primo grado. La Corte territoriale, ricordata la contestazione effettuata riguardo i tre illeciti, osservava che la contestazione non poteva dirsi tardiva posto che l'accertamento ispettivo, inevitabile per accertare la serietà e gravità del comportamento del dipendente, era stato immediatamente attivato e si era concluso il 12.6.2008; dopo la contestazione del 15.7.2008 e la lettera di giustificazione del D. del 6.8.2008 il licenziamento era stato intimato già il 12.9.2008. Per quanto riguarda la censura relativa alla sproporzione tra gli illeciti e la sanzione irrogata era emerso che l'appellante aveva approfittato della sua posizione di dipendente di Banca per evadere i limiti della sua carta di credito ed aveva riversato del contante sul proprio conto corrente ( in perenne rosso) onde nascondere l'insolvenza. Aveva così creato un giro fittizio di denaro, sistema che aveva necessitato di indagini mirate per essere scoperto. Inoltre, per procurarsi denaro contante,

aveva scorrettamente contabilizzato il pagamento di una rata di mutuo e aveva contabilizzato arbitrariamente una partita viaggiante di euro 100,00. Si trattava di comportamenti idonei ad incrinare il rapporto fiduciario posto che dimostravano l'inclinazione del dipendente a non rispettare gli impegni contrattuali; ininfluente appariva pertanto l'assenza di altri precedenti disciplinari, l'assenza di danno per la Banca e l'ammissione dei fatti addebitati. Non poteva dirsi violata la disciplina di tutela del matrimonio in quanto la stessa norma invocata dal dipendente salvaguardava l'ipotesi del recesso per giusta causa, sussistente nel caso in esame.

Veniva invece accolto il motivo di appello concernente la condanna del lavoratore al pagamento delle spese di lite che venivano, in parziale riforma della sentenza impugnata, compensate.

Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il D. con tre motivi, resiste controparte con controricorso che ha proposto ricorso incidentale affidato ad un motivo corredato da memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c.

Con il primo motivo ( nella prima parte) si allega la violazione dell'art. 7 della legge n. 300/70 e dell'art. 2016 c.c.: la contestazione non era stata immediata Il 27.5. 2008 la Banca era in possesso di tutti i dati o al massimo il 12.6.2008; si era quindi atteso inutilmente il 15 Luglio.

La doglianza appare infondata. La Corte di appello ha già evidenziato come i fatti contestati fossero relativi al periodo Ottobre 2007 - Maggio 2008 e quindi come fosse necessario disporre un accertamento ispettivo conclusosi con la relazione del 12 Giugno ( si evince dalla sentenza, peraltro, che solo a seguito di tale relazione il ricorrente abbia ammesso i fatti oggetto di contestazione); poco dopo, il 15 Luglio, si è proceduto alla contestazione e dopo la lettera di giustificazione del dipendente del 6 Agosto 2008 è stato intimato il 12 Settembre il recesso (al rientro del lavoratore dalle nozze). Pertanto la sequenza temporale tra esame della relazione ispettiva, contestazione, lettera di giustificazione ed irrogazione della sanzione non consente di ritenere violato quel principio di "immediatezza" che esclude che il datore di lavoro possa ritardare la sanzione si da ingenerare un erroneo affidamento del dipendente sulla rinuncia all'esercizio del potere disciplinare essendo il termine di circa un mese tra la conclusione delle indagini ispettive e la contestazione dell'addebito non abnorme e troppo breve per determinare un'erronea aspettativa del lavoratore e facilmente giustificabile per la necessaria valutazione della gravità dei plurimi fatti addebitati.

Si allega ancora al primo motivo la violazione e falsa applicazione del principio della proporzionalità della sanzione disciplinare rispetto alla gravità dell'infrazione, di cui all'art. 2106 c.c. I fatti non erano gravi e non avevano causato alcun danno.

La doglianza ulteriore appare infondata. La Corte territoriale pag. 9 della sentenza impugnata ha già evidenziato la gravità degli episodi contestati (ed ammessi dal lavoratore): in particolare l'avere il ricorrente approfittato della propria condizione di impiegato di banca per creare un fittizio giro di denaro onde superare i limiti della propria carta di credito ed avere nascosto l'insolvenza del proprio conto corrente prelevando del contante. Ancora si imputa al ricorrente l'avere contabilizzato irregolarmente il pagamento di un rateo del mutuo di una cliente ed una partita viaggiante di 100,00 euro sempre al fine di procurarsi del denaro contante. Episodi questi che sono stati ammessi. La Corte ha sottolineato come solo un'ispezione mirata sia riuscita ad accertare l'accaduto. La conclusione pertanto cui è pervenuta la Corte per cui tali fatti fossero idonei a rompere il rapporto fiduciario perché idonei a determinare la lesione dell'affidamento sulla lealtà del dipendente da parte della banca ( ed anche dei suoi clienti), posto che alla base dei ricordati comportamenti sussisteva un chiaro abuso delle funzioni svolte dal ricorrente, appare corretta e frutto di un rigoroso accertamento degli episodi contestati; le censure in realtà appaiono di merito in quanto dirette ad una "rivalutazione del fatto" come tale inammissibili in questa sede.

Con il secondo motivo si allega l'insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La contestazione era tardiva essendo intervenuto più di un mese dalla relazione ispettiva.

Il motivo appare infondato per quanto già detto supra. Il termine intercorso tra la relazione ispettiva e la contestazione non appare abnorme e tale da ingenerare nel lavoratore la convinzione che il datore di lavoro avesse rinunciato all'esercizio del potere disciplinare.

Inoltre, stante la molteplicità dei fatti contestati, appare del tutto ragionevole che il datore di lavoro li abbia attentamente valutati prima di emettere la sanzione.

Con il terzo motivo si allega la violazione dell'art. 1 della legge n. 7/1963: non sussisteva alcuna giusta causa per il recesso; la contestazione era tardiva.

Il motivo appare infondato per quanto già detto: non sussiste la tardività della contestazione dedotta ed appare sussistere una giusta causa di licenziamento. Pertanto la normativa invocata di tutela del matrimonio non è stata violata in quanto fa salvo il licenziamento per giusta causa.

Con l'unico motivo del ricorso incidentale la società deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in ordine all'avvenuta compensazione delle spese di entrambi i gradi.

Il motivo appare infondato. La sentenza gravata ha motivato idoneamente in ordine all'avvenuta compensazione delle spese di primo grado riferendosi alla complessità in fatto delle vicende a base del licenziamento e del relativo accertamento ed ha anche motivato sulla compensazione di quelle in appello "atteso l'esito del giudizio", vale a dire l'accoglimento di un motivo di gravame da parte del lavoratore. La sentenza impugnata, infatti, è stata riformata con l'avvenuta compensazione delle spese. Non vi è stata alcuna violazione delle norme di legge posto che la parte vittoriosa non è stata condannata alle spese e che la compensazione è stata congruamente motivata per entrambi i gradi.

Pertanto vanno rigettati entrambi gli appelli. Stante la reciproca soccombenza devono compensarsi anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.