Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 09 novembre 2016, n. 22862

Indennizzo danno biologico - Invalidità - Sinistro stradale in occasione della prestazione lavorativa

Svolgimento del processo

 

1. Il consigliere relatore ha depositato, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c, la seguente relazione:

"1. J. B. ha impugnata per cassazione la sentenza (1.10.2014 n. 980) con cui la Corte d’appello de L'Aquila ha rigettato il gravame col quale l’odierna ricorrente domandava una più cospicua liquidazione, rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, del danno derivato da un sinistro stradale.

2. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe errato nel determinare il quantum del danno alla persona.

L’errore sarebbe caduto sull’operazione di detrazione dall’ammontare del danno, determinato secondo le regole della responsabilità civile (che la ricorrente non contesta), dell’importo pagato alla vittima dall’lnail, a titolo di indennizzo del danno biologico.

Sostiene la ricorrente che l’inail le avrebbe versato la somma di euro 25.404,01, mentre la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto che l’indennizzo pagatole dall’assicuratore sociale fosse stato di euro 43.113,66.

3. II motivo appare, in primo luogo, inammissibile, perché deduce un tipico vizio revocatorio, censurabile ai sensi dell'art. 395 c.p.c., consistito nell’erronea percezione del contenuto effettivo della documentazione formata dall’lnail e prodotta in causa.

4. In subordine, nell’ipotesi in cui il collegio ritenesse non denunciato un vizio revocatorio, il motivo sarebbe comunque infondato.

Risulta infatti dagli atti che l’Inail, dopo avere accertato una determinata invalidità e costituito a favore della vittima la corrispondente rendita, secondo i criteri stabiliti dal d.Igs. 38/2000, provvide a revisione della rendita, evidentemente sul presupposto che le condizioni della vittima fossero migliorate.

Ne consegue che la pretesa dell’odierna ricorrente di detrarre dal risarcimento del danno civilistico non il valore della rendita Inali originaria, [ma] il valore capitale della rendita Inali revisionata, e infondata in punto di diritto, perché perverrebbe all’irrazionale risultato di far accordare alla vittima un risarcimento maggiore, a fronte di un minor danno.

In teoria, beninteso, non può negarsi che il minor importo della rendita Inali a valle della revisione possa non essere compensato, sul piano civilistico, dal minor grado di invalidità permanente conseguente al miglioramento delle condizioni della vittima; ma tale eventualità doveva essere concretamente dedotta dalla ricorrente, al fine della valutazione dell’interesse a ricorrere, e non può ritenersi in re ipsa.

5. Si propone, pertanto:

(a) in via principale, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;

(b) in subordine, il rigetto del ricorso".

2. La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c., con la quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

 

Motivi della decisione

 

3. Il Collegio non condivide la relazione nella parte in cui prospetta la configurabilità quale errore revocatorio della doglianza formulata col ricorso.

E’ vero, infatti, che la ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello avrebbe ritenuto esistente una circostanza che assume incontrastabilmente esclusa dagli atti, ma è altresì vero che proprio tale circostanza aveva formato l’oggetto del dibattito processuale nel grado di appello.

4. Il Collegio condivide invece le restanti parti della relazione preliminare, e ritiene di conseguenza che il ricorso non possa essere accolto, sebbene la motivazione della sentenza impugnata vada in parte corretta. Ciò per le ragioni che seguono.

5. La sig.a J. B., rimasta vittima il 30.6.2003 d’un sinistro stradale avvenuto in occasione di lavoro, acquisì in conseguenza di esso due crediti: l’uno, risarcitorio, nei confronti del responsabile e del suo assicuratore della r.c.a. (la società N. S.); l’altro, indennitario, nei confronti dell’assicuratore sociale (INAIE).

Il giudice di merito, al quale la vittima si rivolse per ottenere la condanna del responsabile e del suo assicuratore al pagamento del risarcimento dovuto, correttamente determinò il credito risarcitorio sottraendo da esso le somme pagate dall’INAIL alla vittima, e il valore capitale di quelle che l’Istituto le avrebbe pagato in futuro.

Tale valore venne determinato in circa 39.000 euro, sulla base dei documenti in atti alla data della decisione.

5.1. La sentenza venne appellata dalla vittima, la quale dedusse che nel corso del giudizio di primo grado le sue condizioni di salute erano migliorate, ed essendo l’invalidità residuata dal sinistro scesa al di sotto del 16%, in applicazione delle previsioni di cui al d. lgs. 23.2.2000 n. 38 l’INAIL sospese l’erogazione della rendita, e corrispose all’infortunata unicamente un capitale.

Pertanto il valore capitale degli emolumenti dovuti dall’INAIL, che nel 2004 ammontava a circa 39.000 euro, nel 2012 si era ridotto a circa 25.000 euro.

La sig.a J. B. sostenne in appello che il miglioramento delle sue condizioni di salute, riducendo la misura delle provvidenze dovutele dall’INAIL, aveva reso iniqua la sentenza di primo grado, la quale aveva invece calcolato il c.d. danno differenziale (ovvero la differenza tra il valore economico del danno biologico, calcolato secondo i criteri della responsabilità civile, e l’indennizzo dovuto dall’INAIL) sul presupposto che la vittima fosse afflitta da una invalidità ben maggiore, e di conseguenza aveva detratto dal risarcimento del danno civilistico non il valore capitale degli emolumenti dovuti dall’INAIL alla data della decisione, ma il ben maggior valore capitale dell’indennizzo (che sarebbe stato) dovuto dall’INAIL ad una data anteriore, prima che le condizioni di salute della vittima migliorassero.

5.2. La Corte d’appello de L’Aquila rigettò il gravame, sul presupposto che il Tribunale avesse correttamente calcolato il danno differenziale, e che "anche la successiva documentazione prodotta (attestazione del costo infortunistico del 8.2.2012) (...) attesta[va] oggettivamente i versamenti effettuati in favore dell’attrice" (così la sentenza d’appello, p. 2).

Sebbene tale motivazione sia alquanto ermetica, il dispositivo della sentenza impugnata è comunque conforme a diritto.

Il calcolo del c.d. danno differenziale deve avvenire sottraendo dal credito risarcitorio l’importo dell’indennizzo versato alla vittima dall’INAIL, quando l’uno e l’altro abbiano ad oggetto il ristoro del medesimo pregiudizio (ex miritis, Cass. civ., sez. Ili, 26.6.2015, n. 13222).

L’INAIL tuttavia versa agli assistiti un capitale, quando l’infortunio abbia causato postumi permanenti inferiori al 16%, ed una rendita, quando abbia causato postumi permanenti superiori a questa percentuale (art. 13 d. lgs. 23.2.2000 n. 38).

In questa seconda eventualità il calcolo del danno differenziale va effettuato sottraendo dal credito risarcitorio civilistico l’importo capitalizzato della rendita dovuta dall’INAIL, al momento del danno.

Le prestazioni dell’assicuratore sociale possono tuttavia modificarsi nel caso di miglioramento o peggioramento delle condizioni di salute dell’infortunato. In tali casi si può far luogo ad aumento della rendita, riduzione della rendita, o soppressione della rendita.

Se tali variazioni intervengono prima che il diritto al risarcimento del danno diventi "quesito" (e dunque prima della sentenza definitiva, ovvero prima della transazione o dell’adempimento), di esse si deve tenere conto nel calcolo del danno differenziale, sempre che la circostanza sia stata tempestivamente e provata nel corso del giudizio.

5.3. Tuttavia - e qui sta l’errore della odierna ricorrente - il miglioramento delle condizioni di salute dell’infortunato, sino a quando il diritto non sia quesito, riverbera effetti non solo sulla misura dell’indennizzo dovuto dall’INAIL, ma anche sul credito risarcitorio civilistico. Se i postumi d’una frattura (come nel caso di specie) dovessero migliorare col tempo, il grado di invalidità permanente della vittima si riduce: e col ridursi di esso si ridurrà anche il danno biologico, cd il relativo risarcimento, e non solo l’indennizzo dovuto dall’INAIL.

Pertanto il danneggiato il quale deduca in appello che, a causa d’una guarigione parziale, si sia ridotto il valore capitale dell’indennizzo dovutogli dall’INAIL, e sia di conseguenza aumentato il risarcimento dovutogli a titolo di "danno differenziale", ha l’onere altresì di dedurre e dimostrare che tale guarigione, a causa della non coincidenza tra le tabelle utilizzate dall’INAIL per la stima dell’invalidità permanente (di cui al d.m. 12.7.2000) e quelle utilizzate per la stima dell’invalidità permanente in ambito civilistico, abbia ridotto la misura dell’indennizzo dovuto dall’assicuratore sociale, ma non abbia inciso sul danno biologico e sul relativo credito risarcitorio.

In mancanza di tale allegazione, infatti, il giudice di merito:

(a) da un lato, deve presumere che anche il danno biologico si sia ridotto, e che quindi non muti il danno differenziale;

(b) dall’altro, non ha comunque elementi per stimare l’effettivo danno differenziale.

5.4. Nel caso di specie, pertanto, è conforme a diritto la decisione della Corte d’appello dell’Aquila di rigettare il gravame proposto dalla sig.a J. B.. Nel suddetto appello, infatti, la danneggiata pretese di vedersi ridurre il "sottraendo" del calcolo differenziale, lasciando immutato il "minuendo", lesi, questa, insostenibile in iure, giacché se una persona resa invalida da un fatto illecito guarisce in corso di causa, non può pretendersi che la guarigione rilevi nel rapporto indennitario con l’assicuratore sociale, e resti irrilevante nel rapporto risarcitorio col responsabile.

Il ricorso deve essere perciò rigettato.

6. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.

La deduzione da questa svolta con la memoria, secondo cui l’INAIL, - unica parte intimata che si è difesa nel presente giudizio - non aveva interesse a contraddire il ricorso per cassazione, non è esatta e non può rilevare ai fini della regolazione delle spese.

Sebbene la ricorrente non abbia formulato domande nei confronti dell’INAIL, l’assicuratore sociale è parte del presente giudizio per essere stato chiamato in causa dalla convenuta N. S., la quale aveva formulato nei suoi confronti una domanda di condanna ad essere tenuta indenne nel caso di accoglimento della pretesa attorea.

Ne consegue che, in caso di accoglimento del ricorso per cassazione, sarebbe tornata sub indice anche la suddetta domanda di garanzia (Sez. U, Sentenza n. 24707 del 04/12/2015, Rv. 638109): di qui l’interesse dell’INAIL a contraddire il ricorso per cassazione, e il conseguente diritto alla rifusione delle spese.

7. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d. P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).

 

P.Q.M.

 

Visto l’art. 380 c.p.c.:

(-) rigetta il ricorso;

-) condanna J. B. alla rifusione in favore di INAIL delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nella somma di euro 2.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater., d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di J. B. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.