Giurisprudenza - CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 17 gennaio 2019, n. 1199

Rapporto di lavoro - Promotore finanziario - Risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali - Perdita di professionalità

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d'appello di Napoli, con sentenza n. 8117 pubblicata il 21.1.14, ha respinto l'appello di C.P. avverso la sentenza di primo grado con cui era stata rigettata la domanda di condanna di U.P. Banking s.p.a. al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali per avere ostacolato, con una serie di condotte illegittime, lo svolgimento dell'attività di promotore finanziario del predetto.

2. La Corte territoriale, sulla base delle prove raccolte, ha ritenuto non dimostrate le condotte illegittime causative dei danni lamentati ed inoltre non comprovati i danni medesimi.

3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il C., affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria, cui ha resistito con controricorso la F. Bank s.p.a., quale beneficiaria della scissione parziale di U. Banking s.p.a. (già U.X. Banca s.p.a, già X. Banca s.p.a.).

 

Ragioni della decisione

 

1. Col primo motivo di ricorso il C. ha dedotto violazione e falsa applicazione dell'art. 2558 c.c.

2. Ha sostenuto che nel caso di specie non fosse configurabile una successione nei contratti, disciplinata dal citato art. 2558 c.c., per l'esistenza di una diversa pattuizione contenuta nella Delibera dei Consigli di Amministrazione di U. e X. che, nel disciplinare l'operazione societaria di scissione parziale del ramo d'azienda costituito dalla rete di promotori finanziari di U. in favore di X. Banca, aveva previsto la novazione del contratto tra la cessionaria e i promotori, al fine di armonizzare la struttura esistente con la rete di promotori acquisita.

3. Col secondo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza per violazione degli artt. 1749 e 1750 c.c. nonché per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

4. Ha rilevato che, una volta riconosciuto il subentro di X. nel contratto di agenzia che il C. aveva con U., la Corte d'appello avrebbe tuttavia omesso di valutare le effettive modalità di svolgimento del rapporto dopo l'1.1.2003, contrarie ai canoni di lealtà e buona fede, e tali da aver provocato al ricorrente pregiudizi in termini di perdita di professionalità e danno alla salute.

5. Il ricorso presenta molteplici profili di inammissibilità.

6. Anzitutto, la denuncia di violazione di norme di diritto (artt. 2558, 1749, 1750 c.c.) è del tutto priva dei requisiti di specificità. Questa Corte ha più volte sottolineato, con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., che il vizio va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l'indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012).

7. Il ricorso in esame non risulta neanche rispettoso del principio di autosufficienza.

8. Secondo un orientamento consolidato, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l'omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non soltanto alla specifica indicazione del documento (eventualmente mediante individuazione della sede processuale in cui la prova è stata richiesta o prodotta (Cass. n. 2966 del 2011; Cass. Ord. n. 22303 del 2008) e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l'errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto (Cass. n. 11501 del 2006), ma deve provvedere altresì alla completa trascrizione dell'integrale contenuto degli atti e documenti in modo da rendere immediatamente apprezzabile da parte della Corte il vizio dedotto (Cass., S.U., n. 20159 del 2010; Cass. Ord. n. 14107 del 2017; Cass., Ord. n. 17915 del 2010; Cass., Ord. n. 12984 del 2006).

9. Nel caso di specie è del tutto omessa la trascrizione dei documenti invocati a fondamento delle censure mosse, in particolare quanto alla Delibera dei Consigli di Amministrazione delle due società che varrebbe a supportare la tesi di inapplicabilità dell'art. 2558 c.c. per l'operatività della deroga ivi prevista.

10. Neppure può trovare accoglimento la censura mossa ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., applicabile nella nuova formulazione introdotta nel 2012 (sentenza d'appello pubblicata nel 2014), in quanto del tutto sganciata da qualsiasi riferimento ad un fatto, inteso in senso storico fenomenico, il cui esame sarebbe stato omesso (Cass., S.U., n. 8053 del 2014).

11. Deve, infine, rilevarsi come nessuna censura sia stata mossa alla statuizione contenuta nella sentenza d'appello sul difetto di prova dei danni di cui il C. aveva chiesto il risarcimento, dal che deriva l'assenza di interesse ad impugnare.

12. Difatti, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle "rationes decidendi" rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa, (Cass. n. 27325 del 2017; Cass. n. 4672 del 2013; Cass. n. 22753 del 2011; Cass. S.U. n. 16602 del 2005).

13. Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente, secondo il criterio di soccombenza, alla rifusione delle spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

14. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis del medesimo art. 13.